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 2015  ottobre 03 Sabato calendario

«IO, UN MARZIANO DEL JAZZ»

L’imprendibile Bollani ne ha fatta un’altra. Pianista acclamato, egocentrico di talento, musicista onnivoro, colto e popolare, raffinato e goliardico, può suonare Ravel, Ellington o Prokofiev e passare una nottata a raccontare barzellette, può mettersi a suonare Per Elisa di Beethoven e, improvvisamente, cominciare a fare il pagliaccio. Qualcuno non glielo perdona, la gran parte si inchina al suo indubbio, esplicito estro. «Ormai non ho più vent’anni, penso che si debbano mettere l’animo in pace. È andata così», contrattacca e insiste. Stavolta, con un copo di coda, anzi di grancoda (vista la natura del suo strumento) si è messo a cantare con un’aria (tanto per rimanere in tema) del tutto scanzonata: «Mi sono trovato a scrivere un paio di brani, non troppi, due, due e mezzo. Ho capito che non li avrebbe mai cantati nessuno e, allora, ci ho provato io». Ed ecco Arrivano gli alieni, disco solitario (nel senso che ha fatto tutto da solo: scritto, anche i testi, suonato e cantato) in cui, per essere zelanti, la sua voce si sente in tre pezzi: nella canzone titolo che è un divertente giochino, ritmico, orecchiabile, fresco e piacevole, in cui Stefano si accompagna con il Fender Rhodes. Nella comicamente assurda Microchip in napoletano («ho letto spiega che negli Stati Uniti è possibile acquistare online dei microchip e imporli ai figli affinché possano sempre essere controllati. L’ho trovata una cosa abbastanza raggelante, lo dico dal punto di vista di un genitore»). Nell’astrusa, brevissima (ecco la mezza canzone di cui parlava), quasi gaberiana Un viaggio («Gaber è fra i miei preferiti, assieme a Jannacci e De André. So che sono nomi scontati, ma ammetto di non essere preparato su quelli più recenti, quelli che non hanno cognome»).
IMITAZIONI
Bollani canta bene, del resto non è una sorpresa per chi segue i suoi concerti, visto che spesso gli capita di infilare le sue esilaranti imitazioni di celebri cantanti, Fred Bongusto, Johnny Dorelli, Paolo Conte, Franco Battiato: «Se mi chiedono di farlo, lo faccio. E poi, ormai, sono di dominio generale visto che su you tube ci sono tutte». Stavolta, però, è diverso, anche se non c’è nessun obiettivo di mercato: «Nelle radio passano solo ragazzotte filtrate dal computer che non lasciano tradire emozioni, cantano tutti come a X Factor o a Amici». Poi aggiunge: «Avevo voglia di fare qualcosa di personale, così o scrivevo un libro o cantavo le mie canzoni. Poi, siccome ne mancavano almeno otto per fare tutto un album cantato, sono partito aggiungendo altre cose. Ne è venuto fuori un disco variopinto, dove c’è di tutto». E così canta, suona con la solita fantastica facilità, si muove dal piano elettrico a quello acustico, spazia da Tony Renis con Quando, quando, quando, all’amato Brasile di Sei là di Toquihno e Vinicus de Moraes e di Aquarela do Brasil di Ary Barroso, alla messicana Jurame, allo standard americano You don’t Know What Love Is, a Matilda di Belafonte, alla jazzistica The Preacher di Horace Silver, a un raro Strayhorn & Ellington con Mount Harissa.
Uscito il disco però, tanto per non smentirsi Stefano è già pronto a fare altro. C’è un vago progetto classico e c’è, soprattutto, il teatro: «Girerò marzo e aprile con Regina Dada, lo spettacolo che con Valentina Cenni abbiamo già presentato l’anno scorso, ma che ora abbiamo riscritto completamente» (fra le date è prevista anche una settimana romana, all’Eliseo). Ma non finisce qui, perché è in cantiere anche un ritorno in tv, sempre su Rai 3, un show musicale sulla scia di Sostiene Bollani: «Sarà una cosa simile, ma con un altro titolo». E conclude con una confessione: «Da bimbo sognavo di salire su un palco. Ci sono riuscito e non intendo certo rinunciarci»