Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  ottobre 04 Domenica calendario

STORIA DI MELISSA MARGARITA CALDERÓN OJEDA DETTA «LA CHINA», MESSICANA, 31 ANNI DI VITA E 170 OMICIDI ALLE SPALLE

WASHINGTON Melissa Margarita Calderón Ojeda o semplicemente «La China». Trentuno anni e 170 omicidi alle spalle. Nel senso che ha partecipato direttamente o li ha commissionati. Persone assassinate, smembrate, sotterrate in fosse comuni della Bassa California messicana. Vittime alle quali talvolta hanno tagliato le orecchie, prima del colpo di grazia. Target di un’ambiziosa narco-criminale. Che però ha finito di dettar legge: il 19 settembre è stata arrestata nei pressi dell’aeroporto di Cabo San Lucas.
Melissa non si è mai accontentata di essere una pupa al fianco del padrino. Lei ha sempre pensato in grande, non voleva obbedire, ma comandare. Ha iniziato la carriera nel Cartello di Sinaloa come «soldato», pronta a sparare, a trafficare, a rapire. Senza paura o timore reverenziale in un mondo macho. Ed ha salito in fretta i gradini, spinta dalla violenza e dagli omicidi. La China è diventata una delle figure principali delle «forze speciali» dei Los Dalmasos, nome militare per una banda di sicari agli ordini di Sinaloa e fondata da Dámaso Núñez, detto anche El Licenciado. Gang attiva lungo l’asse che dalla punta della Baja corre fino al confine con gli Usa. Solo che i capi avevano altre idee e quando le hanno tolto il comando dell’unità per passarlo ad un altro personaggio, El Grande, lei ha deciso di reagire.
I report della polizia e i racconti degli esperti della guerra messicana sostengono che si è messa in proprio, creando la sua fazione. Con una gerarchia precisa: il fidanzato Pedro «El Chino» Gómez come numero due; Peter Cisneros, incaricato delle vendite e della distruzione dei cadaveri; Sergio Beltrán «El Scar» alla guida dei killer; Rogelio «El Tyson» alla logistica. Un pugno di seguaci che si sono portati dietro la manovalanza per condurre l’offensiva. Melissa ha disobbedito agli ordini, ha acquistato altri pick up per le scorrerie, ha reclutato giovani nella zona. Tra loro anche Gabriel Huizar. In una ricostruzione apparsa su Daily Beast descrivono come si sia finta ubriaca per trarre in inganno un bersaglio, un giovane condannato a morte dai criminali. Quando l’uomo ha cercato di aiutarla è spuntata un’altra ragazza con in mano una calibro nove. Poi quattro colpi in successione e un urlo: «È il regalo de La China». Uno dei tanti episodi della battaglia dura, segnata da agguati e imboscate architettate dalla donna. Incursioni per eliminare gli spacciatori rivali e per imporre il proprio controllo su porzioni di territorio. La presenza in un quartiere, un team in una zona vicina ad una grande arteria, il patto – indispensabile – con poliziotti corrotti sono parte della sfida mafiosa. In Messico come altrove.
L’organizzazione di Melissa ha dovuto vedersela con i banditi di «El Lucifer», un altro che da esecutore è passato a ruoli di comando nel network rivale. I militari hanno trovato un cellulare dove lo si vede torturare una persona per scoprire il nascondiglio della nemica. Sangue versato per nulla. È arrivata prima la polizia, nel modo più classico dopo l’arresto, all’inizio dell’estate, di Gómez. Una volta in prigione si è dimenticato dell’amica ed ha cantato permettendo agli investigatori di intercettare La China mentre stava per imbarcarsi su un aereo. Una fine banale per chi pensava di essere una regina nera.