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 2015  ottobre 04 Domenica calendario

Don Mario Bonfante, 44 anni, già viceparroco di Guspini, in Sardegna, che nell’ottobre di tre anni fa venne allontanato per la sua omosessualità (il processo per spretarlo è in corso), dice che il suo vescovo voleva mandarlo in terapia

Don Mario Bonfante, 44 anni, già viceparroco di Guspini, in Sardegna, che nell’ottobre di tre anni fa venne allontanato per la sua omosessualità (il processo per spretarlo è in corso), dice che il suo vescovo voleva mandarlo in terapia. «Esiste un convento nel Nord Italia dove vengono mandati a riflettere i sacerdoti che manifestano tendenze sessuali non consone. Un luogo dove ti aiutano a ritrovare la retta via. Mi sono rifiutato di andarci». «Non ho mai tenuto omelie contro l’omosessualità, contro i separati, contro la comunione ai risposati. Sono tutti argomenti su cui nella Chiesa c’è discussione, non ci sono nel Vangelo indicazioni vincolanti». «Sa quanti sacerdoti di 50-60 anni vivono con angoscia, nel terrore che la scoperta della loro omosessualità li rovini, li privi dello stipendio mensile, li lasci senza un mezzo di sostentamento? E allora vivono storie clandestine, si incontrano in saune di periferia. È questa la pienezza di vita che predichiamo?». «Quest’estate ero a Londra dove mi hanno chiesto di predicare in occasione del raduno della chiesa cui ho aderito, la Metropolitan Community Church di Los Angeles, fondata nel 1968 da un ex pastore pentecostale, cacciato dalla sua chiesa perché omosessuale. Ho predicato sul passo della risurrezione di Lazzaro. Anche Lazzaro è risorto a nuova vita. E sa come è scritto nel Vangelo in inglese? ‘Come out’». Dunque monsignor Charamsa è uscito dalla tomba? «Anche lui. E questo mi fa felice ». Anche se potrebbe essere stato tra coloro che hanno istruito il processo contro di lei? «A maggior ragione. Vede, spesso siamo i più accaniti censori dei comportamenti degli altri che ci ricordano le nostre contraddizioni » (Paolo Griseri, la Repubblica) ••• «C’è un documento della Congregazione per l’educazione cattolica del 2005, poi aggiornato nel 2008, in cui si dice che laddove “risultasse evidente la difficoltà a vivere nel celibato, vissuto come un obbligo così pesante da compromettere l’equilibrio affettivo e relazionale” non si deve procedere con l’ordinazione sacerdotale ». Ma una tendenza omosessuale è peccato per la Chiesa? «Di per sé la tendenza omosessuale no. Ma se l’omosessualità è esercitata, una persona non può essere ordinata. La stessa cosa, del resto, vale per un eterosessuale che non sa contenersi. Un prete deve agire sempre in persona Christi e per farlo deve fare propria una castità sessuale e anche affettiva. Il prete è chiamato a essere padre della comunità affidatagli, e una vita sessualmente disordinata non aiuta. Nessuno impone di farsi prete a nessuno» (il cardinale Velasio De Paolis, esperto canonista, a Paolo Rodari, la Repubblica). ••• La reazione prevalente in queste ore in Vaticano è di «dolore e sconcerto». Anche se la scelta del prelato polacco, in realtà, non ha colto del tutto di sorpresa i vertici dell’ex Sant’Uffizio, dove Charamsa era arrivato come officiale per la sezione dottrinale nel 2003, quando ancora a capo del dicastero c’era Joseph Ratzinger. Per molti anni nessuno ha avuto dubbi su di lui. È nelle ultime settimane che alcune sue prese di posizione pubbliche avevano fatto discutere: in un’intervista a Catalunya Ràdio, aveva sostenuto apertamente il diritto all’autodeterminazione dei popoli e dunque l’indipendenza della Catalogna, provocando le reazioni impensierite dei vescovi spagnoli. Il problema non erano tanto le sue parole, quanto il fatto che a dirle fosse un esponente dell’ex Sant’Uffizio. Il che rischiava di farle passare come una posizione del Vaticano. Qualche giorno fa, Charamsa aveva pubblicato sul settimanale cattolico polacco di Cracovia, Tygodnik Powszechny, un lungo articolo critico contro i toni «omofobi» di alcuni preti della Polonia, suscitando le ire dei vescovi di quel Paese. Intanto, già da qualche tempo aveva assicurato l’esclusiva del suo coming out a un settimanale polacco e negli ultimi giorni non era più andato al lavoro in Congregazione dandosi per malato. La scelta del timing non poteva essere più indovinata: alla vigilia dell’apertura del Sinodo e con un libro già pronto con i dettagli della sua storia» (Andrea Tornielli, La Stampa). ••• Oggi vive a Berlino, dirige «Männer» («Uomini»), una rivista per omosessuali, ed è un noto attivista dei diritti dei gay. Ma fino a tre anni fa Davide Berger era un giovane prodigio dell’accademia pontificia e conduceva una doppia vita. Divenuto a 35 anni il più giovane teologo dell’università San Tommaso d’Aquino, in Vaticano, direttore della prestigiosa rivista tedesca «Theologisches», era fedele alla linea più conservatrice della Chiesa. Quella contrarissima all’omosessualità. Berger, omosessuale, non pensava fosse un problema. Come raccontò a El Pais, incontrava talmente tanti gay, in Vaticano, da ritenere la sua vita sessuale conciliabile con la teologia. Aveva un compagno con cui viveva all’Aventino, in un chiostro domenicano, che si portava in giro ai seminari o agli incontri accademici. Ufficialmente: un cugino, ma Berger sostiene che tutti sapessero che erano una coppia. Un’ipocrisia che condivideva con molti colleghi, sostiene. Finché non gli si è spezzato qualcosa dentro, finché ha capito che non poteva più lavorare per un’istituzione «che è ufficialmente contraria a tutte le libertà di cui io godevo da anni». Tra i tanti gay nella Chiesa, non pochi erano depressi, tormentati per l’abisso tra la vita che conducevano e le teorie che erano costretti a professare. Gli capitava anche di andare ad alcune cene dove qualche sacerdote esprimeva teorie piuttosto spinte. Durante una di esse, come ha raccontato a un giornale tedesco, un teologo disse di rimpiangere l’abolizione del Paragrafo 175, la vergognosa, ottocentesca legge tedesca che prevedeva il carcere per gli omosessuali, che fu la base giuridica per la persecuzione nazista degli omosessuali e che è stata abolita solo nel 1994. Quando Berger ha fatto coming out, è stato immediatamente cacciato dall’accademia pontificia e si è trasferito in Germania. Ha scritto un libro di denuncia sull’omofobia in Vaticano, «La sacra apparenza», che è stato un bestseller e sostiene tuttora che l’unico modo per sopravvivere da omosessuale nella Chiesa è tacendo e mentendo. Ha passato periodi non facili: minacce di morte, violenze. Ora vive a Schöneberg, un quartiere della parte ovest della capitale, e si dedica a combattere i pregiudizi. «L’omofobia uccide» è il suo credo (Tonia Mastrobuoni, La Stampa)