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 2015  ottobre 02 Venerdì calendario

UN MATRIMONIO CHE S’HA DA FARE


Viste da fuori, le avances che, nelle ultime settimane, Sergio Marchionne, numero uno FCA, ha ripetutamente indirizzato a
Mary Barra, gran capo della General Motors, possono sembrare curiose. Per l’insistenza, per la modalità pubblica e, non ultimo, per una questione di taglia. La società di Detroit produce oltre il doppio e ha una capitalizzazione di Borsa quattro volte maggiore rispetto al gruppo italo-americano (tenuta fuori la Ferrari).
Ora, neppure uno squalo, per quanto predatore temuto, si sognerebbe mai di avvicinarsi alla balena e dirle, benché con modi garbati, «Ti voglio mangiare». Ma il capo della Fiat Chrysler – non ce ne voglia per il paragone – è uno squalo particolare. Con una capacità speciale di massimizzare i risultati della caccia spendendo il minimo delle energie. E ha visto il punto debole della balena: l’essere fatta di tanti piccoli pezzi.
Fuor di metafora, come potrebbe la FCA accostarsi al gigante General Motors senza esserne totalmente inglobata?
Presto detto: l’azionariato diffuso della GM, una public company in cui la quota massima nelle mani di uno stesso azionista supera appena l’8%, garantirebbe agli Agnelli e ai loro alleati un ruolo di primo piano nella nuova società, pur con un peso assai più diluito rispetto al 29% che Exor, la holding di famiglia, detiene oggi nella FCA. Ecco perché Marchionne insiste tanto: non solo per via dei risparmi finanziari e delle opportunità che da una fusione potrebbero derivare. Ma anche perché la balena GM sembra più vulnerabile di tanti pesci medio-piccoli.
Ma, se questo matrimonio – ostinatamente auspicato dal capo della FCA e altrettanto risolutamente respinto dalla manager che guida la GM – si dovesse mai realizzare, avrebbe senso dal punto di vista industriale e strategico? Che cosa avrebbero da guadagnare i due gruppi e che cosa da perdere da un tale sodalizio?

AL DI LÀ DELLA MATEMATICA
Intanto i numeri. Quasi 15 milioni di auto l’anno e, secondo quanto promette Marchionne, 30 miliardi di dollari di risultato operativo lordo combinato. Vale a dire più della somma del cash generato dai due gruppi singolarmente presi. Molti analisti danno credito a questo scenario. «Se si fondessero oggi, sarebbero già vicini a 25 miliardi. Calcolando i benefici delle sinergie, è un obiettivo realistico», commenta Arndt Ellinghorst della società Evercore Isi. E altri sottolineano che lo scopo principale della fusione sarebbe ridurre il Capex, cioè il capitale necessario per fare ricerca, per sviluppare i prodotti, realizzare i prototipi, creare gli stampi, attrezzare le fabbriche. Le sinergie in questo campo sono intuibili. Non senza un costo: l’unificazione dei sistemi di progettazione – procedura piuttosto complessa – imporrebbe almeno un anno e mezzo di stop su tutti i nuovi modelli. Un “lusso” che di questi tempi non è facile permettersi.
I numeri dicono anche altro. Parlano di oltre 60 fabbriche sparse per il mondo. Serviranno davvero tutte? E i concessionari? E le attività di back-office (amministrazione, distribuzione, logistica...)? Secondo Ralf Kalmbach, responsabile automotive di ATKearney a livello mondo, è difficile non ipotizzare una razionalizzazione. «I benefici si applicherebbero soltanto ai costruttori, non all’intero sistema, che include i concessionari e i fornitori». I vantaggi sulla distanza sarebbero tali da compensare i costi sodali a breve?
La risposta può cambiare a seconda che la si guardi dal punto di vista della FiatChrysIer oppure da quello della General Motors. Per la prima sarebbe certamente sì. La FCA ha tutto l’interesse a una fusione con la GM per almeno quattro buone ragioni. Primo, ha bisogno di piattaforme moderne. L’unica davvero nuova è quella sviluppata per l’Alfa Romeo. Le altre sono ammodernamenti di architetture esistenti, di qua e di là dell’Atlantico. Secondo, non ha in corso piani di elettrificazione che la portino a commercializzare modelli ibridi plug-in in tempi ragionevoli. Terzo, se può contare su efficienti quattro cilindri turbo, è tuttavia rimasta indietro nello sviluppo dei tre, che i principali competitor hanno abbracciato con successo. Quarto, continua a mancare di un vero ruolo sullo scacchiere asiatico, che, pur in una fase di rallentamento della Cina, rima- ne cruciale per la crescita di lungo termine.
Meno chiaro, invece, che cosa avrebbe da guadagnare GM. «L’unione con la FCA darebbe vita al più grande costruttore al mondo, ma» spiega David Cole, chairman della fondazione Auto Harvest, «oggi l’attenzione si sta spostando dall’essere i più grandi all’essere i più profittevoli. La GM è focalizzata sul cammino di risanamento intrapreso dopo la bancarotta del 3009. Ha le giuste dimensioni e una presenza bilanciata nelle varie aree del mondo».
SUL PONTE DI COMANDO
Altra questione controversa riguarda chi comanderebbe nel gruppo. Dal punto di vista manageriale, Giuseppe Berta, docente di Analisi del management pubblico all’Università Bocconi, ha pochi dubbi: «A gestire il tutto sarebbe il regista dell’operazione, cioè lo stesso Marchionne». Altro discorso è il controllo azionario. Per Kalmbach, la balena finirebbe col mangiarsi lo squaletto. Anzi, Fanalista sostiene che la famiglia Agnelli prepari una "exitstrategy" dal settore auto. «È evidente, e lo era già dal piano del maggio 5014: molti nuovi prodotti posticipati, nessun programma serio di elettrificazione, denaro tenuto in cassa per mostrare liquidità e profitti... Non sono segnali di un costruttore che prepara un futuro a lungo termine. Denunciano, invece, una tattica di breve periodo, orientata a obiettivi finanziari anziché strategici». Ma più che di disimpegno, sarebbe corretto parlare di diversificazione. Dopo l’ingresso nel capitale del gruppo editoriale dell’Economist e della società di riassicurazione Partner Re, la Exor è pronta ad accettare una posizione anche di minoranza, ma all’interno di un gruppo più grande e solido, in grado di generare più cash e quindi più dividendi.

Proprio l’argomento finanziario è al centro della serenata che Marchionne sta intonando agli azionisti GM, dopo il no incassato dalla dirigenza. Obiettivo, un accordo che preveda il puro scambio di azioni o di azioni più denaro. In attesa di sapere se ci riuscirà, vale la pena mettere in fila due o tre fatti. Per cominciare, i negoziati per il rinnovo del contratto che la FCA ha condotto con la Uaw, il sindacato americano dei lavoratori dell’auto, sono andati molto lisci: un’intesa preliminare è stata raggiunta in sole 24 ore di discussioni. Incidentalmente la Uaw, attraverso il suo fondo previdenziale, è il principale azionista della GM. Il finanziere Warren Buffett ne detiene il 3% (ma ha un’influenza sugli investitori ben più grande). Ed è in buoni rapporti con John Elkann. Infine, diversi azionisti della neo-acquisita Partner Re coincidono con quelli della GM.
[-’ABBRACCIO DELL’ORSO
In un’intervista al periodico Automotive News, Marchionne ha parlato di abbracci per descrivere il suo approccio. Con varie gradazioni: teneri, stretti o da orso. Se i primi non daranno risultati, dovrà passare a effusioni più decise. L’ultima risorsa è l’Opa ostile, da lanciare a inizio del 2016, dopo lo scorporo della Ferrari. Ma è una strada impervia: molti analisti fanno rilevare che per la FCA l’unico modo di reperire le risorse finanziarie necessario sarebbe un aumento di capitale, che gli Agnelli tuttavia non sottoscriverebbero (con conseguente diluizione eccessiva della loro quota). Comunque vada, i prossimi mesi si preannunciano piuttosto interessanti.