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 2015  ottobre 02 Venerdì calendario

La strana passione per il bavaglio del giornalista di "Libero" Filippo Chatouche secondo Marco Travaglio

La strana passione per il bavaglio del giornalista di "Libero" Filippo Chatouche secondo Marco Travaglio. «Da che pulpito Chatouche ci insegna che il bavaglio è cosa buona e giusta e chi si oppone è un “passacarte” che vuole “sputtanare la gente tanto per sputtanarla”?»– Filippo Chatouche è sfortunato. Ieri, su Libero che caritatevolmente lo ospita, ha scritto l’ennesimo pezzo pro legge bavaglio e contro chi la contrasta (il sottoscritto e l’avvocato Caterina Malavenda) e pubblica intercettazioni penalmente irrilevanti (tipo De Girolamo, Maroni e altri, come sta facendo il Fatto a puntate). Titolo: “Travaglio vuole libertà di sputtanare e pubblica intercettazioni irrilevanti”. Sono dieci anni che ci prova. Chiedeva di essere imbavagliato già nel 2006, ai tempi del bavaglio Mastella: non passò. Ci riprovò due o tre anni dopo col bavaglio Alfano, quando tornò al governo l’amato Silvio, che l’ha in carico da vent’anni dopo la dipartita degli adorati Craxi e Pillitteri: invano. Oggi che con Renzi & Orlando pare la volta buona, è tutto eccitato: finalmente i politici vieteranno ai giornalisti di pubblicare intercettazioni di personaggi non indagati e su vicende penalmente irrilevanti. Ora, a parte il fatto che un giornalista gongolante perché gli mettono la museruola è come un fornaio che invoca l’abolizione del pane, almeno si capisce quale mestiere non esercita Chatouche (e resta da comprendere quale eserciti). Ma la sua posizione è bizzarra sotto altri profili. 1) Se un giornalista non vuole pubblicare notizie penalmente irrilevanti, può benissimo non farlo già oggi, senz’attendere che il governo glielo proibisca: il fatto che sia (ancora per poco) consentito, non significa che sia obbligatorio. Ma Facci non si accontenta di fuggirle e scansarle come la peste bubbonica: vorrebbe che gli altri che, facendo i giornalisti, le pubblicano, venissero sanzionati con pene esemplari, affinché non lo facciano più evitando così di creare una spiacevole distinzione tra giornalisti che danno le notizie e giornalisti (si fa per dire) che non le danno. 2) Chatouche sostiene che già oggi è proibito pubblicare intercettazioni non penalmente rilevanti e cita un articolo del Codice di procedura penale a lui particolarmente caro: il 114, che vieta “la pubblicazione, anche parziale, degli atti non più coperti dal segreto” fino al processo e consente soltanto “la pubblicazione del contenuto di atti non coperti dal segreto”. Cioè: si può riassumere il “contenuto” di atti depositati, ma non si può riportarli testualmente. È una norma ambigua e assurda, che nasce dall’antico principio per cui il giudice, prima di decidere nel contraddittorio delle parti, non deve conoscere gli atti nel dettaglio, ma solo in sintesi. Roba che poteva avere senso nel mondo arcaico, non nel villaggio globale dell’informazione immediata e totale. Del resto, è interesse dei cittadini conoscere le parole esatte di atti e intercettazioni, senza che intervenga il giornalista a riassumerle secondo la sua soggettività. In ogni caso, l’art. 114 è sostanzialmente inapplicato perché è punito con una piccola multa. Ma soprattutto perché la giurisprudenza della Corte di Strasburgo ha stabilito infinite volte che l’interesse pubblico, specie quando ci sono di mezzo personaggi pubblici, è prevalente su tutto: e l’unico criterio a cui deve attenersi il giornalista è la verità dei fatti. Dunque lo Stato che condanni un giornalista per aver pubblicato un atto autentico e interessante viene a sua volta condannato a risarcirlo. Chatouche però cita l’art. 114 senza conoscerlo: infatti lo tira in ballo a proposito delle intercettazioni penalmente irrilevanti, mentre il divieto di pubblicazione testuale le riguarda tutte: penalmente rilevanti e irrilevanti. E allora: se è già vietato pubblicarle integralmente tutte, che bisogno c’è di vietare quelle irrilevanti? Il problema è la sanzione, che oggi è irrisoria (una multa di 200 euro o giù di lì), e domani potrebbe essere ben più severa e dissuasiva. Sarebbe incompatibile con la giurisprudenza europea, ma lasciamo andare, perché c’è un altro punto che fa cascare l’asino. 3) Da che pulpito Chatouche ci insegna che il bavaglio è cosa buona e giusta e chi si oppone è un “passacarte” che vuole “sputtanare la gente tanto per sputtanarla”? Il pulpito è quello di uno che da 24 anni, da quando Di Pietro osò toccargli il suo Bettino e il suo Pillitteri, raccoglie dossier e scrive sempre lo stesso libro e lo stesso articolo contro Di Pietro, accusandolo di fatti penalmente irrilevanti (case, Mercedes, prestiti), dai quali infatti è stato sempre archiviato o prosciolto o assolto. E pubblica intercettazioni penalmente irrilevanti, come quelle del 1995 fra l’ex pm e De Benedetti, Passera, Tremaglia e Veltri. Ed è il pulpito di Libero diretto da quel Belpietro che nel 2006, quando guidava il Giornale, pubblicò la famosa telefonata tra Fassino e Consorte sul caso Unipol, rubata da un dirigente della ditta privata che l’aveva registrata per conto della Procura di Milano e portata in dono a Paolo e Silvio B. Fu quest’ultimo – la Cassazione l’ha definitivamente accertato proprio l’altroieri – a dare l’ok alla pubblicazione sul suo Giornale alla vigilia della campagna elettorale, per “sputtanare” – direbbe Chatouche – il leader avversario. La telefonata rubata non era neppure stata trascritta né depositata perché penalmente irrilevante, dunque segreta. Belpietro fece benissimo a pubblicarla, perché era politicamente e moralmente rilevantissima, visto che dimostrava il pieno coinvolgimento del segretario Ds nella scalata Unipol-Bnl. Ma sarebbe interessante conoscere la sua posizione, magari in un articolo su Libero con sei anni di ritardo dal titolo “Belpietro vuole libertà di sputtanare e pubblica intercettazioni irrilevanti”: mica vorrà far arrestare il suo direttore? Marco Travaglio