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 2015  ottobre 02 Venerdì calendario

MAFIA, AMORI, DEPRESSIONE E IL TRADIMENTO DEI KENNEDY. ECCO CHI ERA MIO PADRE FRANK

«Mio padre Frank? Un artista straordinario, ma è riuscito ad essere anche, a suo modo, un magnifico genitore. Certo, la sua è stata una vita intensa, difficile: lui era una forza della natura. Con alti e bassi. I trionfi e la depressione. E, sì, anche gli errori. E i rapporti con i mafiosi: ma chi non li aveva nel mondo dello spettacolo in quegli anni? Lui, per di più, è cresciuto a Hoboken tra ragazzini che poi sono diventati “boss”. Ma non ha mai chiesto nulla per sé. Era un generoso: il suo errore è stato quello di chiedere favori per il suo amico John Kennedy. Sai di cosa parlo? Aiuto per vincere alcune primarie presidenziali. Non ho mai capito se poi si è pentito di averlo fatto. Di certo è stato tradito dai Kennedy».
Cento anni fa nasceva (il 12 dicembre 1915) Frank Sinatra e da mesi l’America sta celebrando, con mostre nei musei, documentari televisivi, rievocazioni e tanti libri (alcuni pubblicati anche in Italia), questo anniversario. Amato quando era in vita per la sua voce calda e inconfondibile, la vera colonna sonora di un’America vincente, prospera e ottimista, è stato spesso criticato per le sue cadute e le ombre che hanno costellato la sua vita. Oggi il cantante e attore italoamericano viene rivisitato in una prospettiva storica diversa. Per un’America non più leader incontrastata che ha smarrito il suo ottimismo, un Paese dubbioso, Sinatra non è solo “the Voice”, l’icona dello “show business”. È anche un pezzo di storia nazionale: l’incarnazione più suggestiva e calzante dell’“American dream”. Un sogno inseguito con fatica, conquistato con la sofferenza e conservato, magari, anche ricorrendo a qualche “scorciatoia”.
Incontro Tina Sinatra per ripercorrere con lei la storia del padre in una conversazione a tutto campo nella quale la più giovane dei tre figli di Frank (oggi ha 66 anni) non si tira indietro nemmeno davanti alle domande sui rapporti con la mafia. Anzi ci si tuffa dentro perché «forse ti apparirò eccessiva, ma voglio che tu capisca, che la gente si tolga dalla testa idee sbagliate. Bisogna sapere che America era quella della metà del secolo scorso: era un’America fatta di stampa, politica, mafia e “business” dello spettacolo. Dovevi muoverti per forza in questo quadrilatero».
Che tipo era Frank? Dicono che, dei tre figli, lei sia quella che ha ereditato il carattere più simile al suo.
«Beh, non ho ereditato il talento, questo è sicuro», risponde Tina che cantò col padre in alcune canzoni natalizie e poi, dopo una breve carriera di attrice, è stata un’importante agente teatrale e, saltuariamente, una produttrice cinematografica. «Il talento no, ma il temperamento forse sì. Anche papà diceva sempre che avevo il suo stesso carattere, che ero la più simile a lui: determinazione, tenacia, il coraggio di rischiare anche a costo di sbattere il muso. Ma anche vulnerabilità nei momenti difficili: la malinconia, la depressione».
E la frequentazione di alcuni “boss” mafiosi era la polizza assicurativa contro questa vulnerabilità, sostengono alcuni.
«Non è vero e questo lo voglio spiegare bene, anche perché il documentario su mio padre realizzato da Alex Gibney per la rete televisiva HBO, che è bellissimo, non va abbastanza a fondo su questo punto. Papà era cresciuto in sobborghi di New York — le cittadine del New Jersey, sull’altra sponda dell’Hudson — insieme a ragazzi che poi sarebbero diventati dei “boss”. Aveva nei loro confronti la lealtà che si ha tra amici. Lui non li giudicava, ma non erano amicizie strette. Una volta cresciuto non li frequentava più. Non andava a prendere il tè, non andava a pranzo con loro. Ma lavorava per loro, questo sì. Ve lo ricordate? In quegli anni la mafia controllava tutti i night club: Las Vegas l’hanno creata loro. E senza di loro uno che faceva il mestiere di mio padre non lavorava».
Questo l’hanno riconosciuto anche celebrity come Jerry Lewis secondo il quale, cito, «negli anni 40 e 50, prima che la mafia perdesse la sua presa sui locali notturni e Las Vegas, era impossibile per chi faceva intrattenimento di qualunque tipo non avere a che fare con loro». Ma come è possibile che vi sia stata una simile vicinanza — Sinatra ha conosciuto Lucky Luciano, Carlo Gambino, Sam Giancana — senza coinvolgimenti e favori da restituire?
«Come le ho detto, papà non li giudicava, era cresciuto con loro. E quando la sua carriera ebbe momenti difficili, alla fine degli anni Quaranta e nei primi anni Cinquanta, furono i proprietari dei night club a dargli lavoro quando altrove trovò porte chiuse. Come fai a dire di no quando hai tre figli da sfamare e la moglie che hai lasciato da mantenere? Era questo il suo rapporto con quell’ambiente, con la gente con cui era cresciuto. Questa è la base. Ma lui non ha mai chiesto favori. Salvo che per i Kennedy: e questa è storia».
Me la racconta?
«Joe Kennedy, il papà di John, un uomo d’affari molto più vecchio di mio padre, aveva avuto un sacco di rapporti con la mafia. Credo col contrabbando di alcolici negli anni del proibizionismo, e altro. L’America di quegli anni era fatta anche di questo tipo di intrecci. Quando John si mise in corsa per la Casa Bianca, si ritrovò ad aver bisogno di aiuto politico nelle primarie in West Virginia e, mi pare, Illinois: Stati nei quali le organizzazioni mafiose potevano avere una rilevante influenza elettorale, soprattutto perché in grado di orientare i sindacati. Joe disse a papà: non posso farlo io in prima persona, non posso andare da Sam Giancana. Puoi farlo tu che li conosci? Puoi chiedere loro il favore di premere sulle unions a favore di John? Papà accettò. Capì che ne sarebbe nato un debito di riconoscenza pesante, ma era un vero amico di John, si conoscevano dal 1947, e voleva aiutarlo. Non so se se ne sia pentito, visto quello che è successo dopo, non l’ho mai capito».
Rancore nei confronti dei Kennedy? L’Fbi di Edgar Hoover si mise alle calcagna di Frank Sinatra, l’ha sorvegliato per quasi mezzo secolo. Nei suoi archivi ci sono 2.400 pagine di documenti sui suoi rapporti con individui mafiosi. Pare che a un certo punto Sinatra si sia addirittura offerto di collaborare coi “federali” come informatore. E Bob Kennedy fece di tutto per troncare i legami tra Sinatra e il fratello John, quando lui era alla Casa Bianca.
«Certamente alla fine papà è stato tradito dai Kennedy. Eppure si era esposto per loro, non lo avrebbe mai fatto per se stesso. Lui cercava sempre di evitare di trovarsi nella condizione di dovere qualcosa a qualcuno. Soprattutto con gente come quella. Ma era un generoso. Ti dava qualcosa prima ancora che tu gliela chiedessi, fosse un prestito o l’uso di una splendida automobile. Questo era il suo principio. E lo applicò anche ai Kennedy. Solo che qui non parliamo di soldi o auto, ma di primarie presidenziali. Parliamo di questo».
E allora parliamo anche dell’impegno politico di Sinatra: un democratico sostenitore dei Kennedy che poi diventò un fan di Ronald Reagan.
«Mio padre è nato democratico ed è sempre rimasto democratico. Quando è morto, a 82 anni, era ancora iscritto alle liste elettorali come democratico. Quando, vivendo a Los Angeles, si mise a sostenere Reagan che si era candidato come governatore della California, fu seguito a ruota da alcuni dei più celebri democratici liberal di Hollywood, da Gregory Peck a Kirk Douglas. Lì non era questione di partiti, ma di personalità. Tutti apprezzavano l’uomo Ronald, il suo acume, le capacità manageriali, il modo nel quale aveva gestito la Academy of Motion Picture Arts and Sciences. Reagan era un leader nato. E il candidato democratico che gli era stato opposto era un personaggio scialbo. Papà si è sempre sentito democratico ma, come molti in America, ha votato in primo luogo per la persona e poi per il partito».
Ha appoggiato anche Nixon.
«Solo nella rielezione. Quando il leader repubblicano si presentò la prima volta, Frank appoggiò Hubert Humphrey. Fece campagna per lui, anche se era perplesso, se vedeva la sua debolezza. Humphrey perse e Nixon divenne presidente. Quando, nel ‘72, si ripresentò, i democratici gli opposero il “ticket” McGovern-Eagleton. A papà non piacque, fin dal primo momento. E scelse Nixon mentre noi, i suoi figli, facevamo campagna per McGovern. Non so perché lo fece. Voglio dire, io non sarei mai arrivata fino al punto di votare Nixon, mentre papà lo ha fatto. Ma su McGovern aveva ragione lui: alla fine anch’io ero talmente delusa da questo cadidato che, detto fra me e te, non sono nemmeno andata a votare».
Cosa ha significato per voi figli avere un padre celebre ma anche complicato come Frank? Era sempre in giro per il mondo e aveva lasciato vostra madre, Nancy Barbato, per Ava Gardner.
«Quando sono stata abbastanza grande da andarlo a vedere nei concerti, h0 messo tutto insieme nella mia testolina. Ho capito che ero la figlia di una persona davvero speciale e la cosa mi piaceva. Ho anche imparato molto rapidamente a capire che la gente mi trattava in modo speciale per questo, che qualcuno poteva cercare di approfittarne. Ma, comunque, ero molto orgogliosa di lui anche perché Frank è riuscito a rimanere sempre una presenza constante nelle nostre vite, sicuramente nella mia vita. E, considerato quello che faceva, è veramente una cosa straordinaria».
Ho letto che, avendo magari intrattenuto il suo pubblico fino a tardi, in genere si alzava all’una e mezzo di pomeriggio. Alle tre chiamava gli amici che voleva invitare a cena e alle cinque, in qualunque parte del mondo fosse, chiama lei, Tina, Nancy e Frank Jr, i suoi tre figli.
«È vero, non mancava mai all’appuntamento, aveva molto il senso della famiglia. Certo, ha avuto momenti difficili, alti e bassi. La storia con Ava Gardner è stata tormentatissima, e noi questo lo sentivamo. Ma, anche se con tutti i suoi problemi, lui c’era sempre».
Quando la incontrò, Ava Gardner divenne per lui un’ossessione: il matrimonio durò solo sei anni, dal 1951 al ‘57, ma la tempesta era cominciata già prima. Quando si conobbero nel ‘48 quasi finirono a letto. E poi quando si rividero un anno dopo cominciò la loro relazione. La Gardner resta incinta e abortisce per due volte. Nancy Barbato, che tollerava le scappatelle di Frank, gli nega il divorzio. Ava per ripicca torna dal suo ex. Sinatra inscena, pare, un finto suicidio. La seconda volta fa sul serio: lo salvano in extremis. Alla fine riescono a sposarsi, ma litigano di continuo. Anche quindici volte al giorno, raccontano i biografi. E voi? Cosa vi arrivava di questa vita incandescente?
«Erano i tempi difficili di cui ti dicevo prima: papà era caduto in una spirale negativa su tutti i fronti, alla fine degli anni Quaranta. La carriera andava male, aveva un bisogno disperato di Ava ma non riusciva a divorziare. Era infelice. Ci diceva che per lui ogni giorno della settimana era un lunedì. Che per lui era, evidentemente, il giorno più cupo. Era davvero disperato, gli cadeva tutto addosso. Poi riuscì a coronare il suo sogno, ma il matrimonio con Ava non andò bene. Siamo troppo uguali, diceva lei. Ma, nonostante la separazione, sono rimasti amici e hanno continuato ad amarsi anche dopo. Ava non si è mai risposata. E papà si è curato di lei fin sul letto di morte».
Frank irrequieto, infelice, ma anche vittima della depressione. Lei una volta ha detto che se lo Zoloft (un antidepressivo immesso sul mercato pochi anni prima della morte di Sinatra) fosse stato inventato prima, la vita di vostro padre sarebbe stata diversa.
«Papà era perfettamente sano di mente e quasi sempre di buon umore. Ma voleva evitare la solitudine: aveva sofferto per la sua adolescenza da figlio unico. Avere sempre gente intorno era anche una protezione psicologica: lui poteva diventare improvvisamente triste, poteva cedere alla malinconia. Anche noi siamo tutti così. Non posso parlare di mio fratello con troppa cognizione di causa, ma io e mia sorella siamo sicuramente così. Ci sono pesi psicologici che per noi sono troppo pesanti da sopportare. La depressione vera e propria arrivò dopo, quando era più avanti con gli anni. È per questo che ho parlato di medicine contro questo stato. È un problema che riguarda gli anziani, i più vulnerabili alla depressione, non è roba da teenager».
Sinatra ci ha fatto sognare con canzoni come My Way e Stangers in the Night. Ha venduto più di 150 milioni di dischi. E anche al cinema è stato una star. Un Oscar come attore non protagonista e altre nomination. Film di successo come Bulli e Pupe e interpretazioni di spessore come quella nel Manchurian Candidate. Ma, tra le 55 pellicole girate, anche film di bassa qualità. Suo padre si è mai pentito di qualcosa?
«Direi di no. Di errori ne ha fatti certamente tanti. E tanti sono stati i film sbagliati. Ma chi è che non sbaglia? Lui mi diceva sempre: non mi pento mai delle cose che ho fatto, anche quelle non riuscite bene. Mi pento di quello che ho rinunciato a fare. Era questa l’essenza della sua natura umana. La radice delle sue cadute. Ma anche della sua grandezza».
Dalle cadute è risorto più volte: nel 1951, dopo la sua crisi. E poi, ancora, nel 1974: il ritiro e l’improvviso ritorno. Forse anche per questo la gente, oltre ad amare la sua musica e la sua voce, l’ha sempre sentito vicino: un vincitore che ha flirtato più volte con la disfatta.
«Al momento della nascita papà è quasi morto ed è stato riportato in vita nell’arco di pochi minuti. È sopravvissuto ed è venuto fuori determinato e straordinariamente preparato per la sua missione: cantare. Io credo che ci sia una qualche grande forza che l’ha reso quello che è stato. Una forza della natura, come dicevo prima. Una forza che sentiamo anche noi, i suoi figli. Ma che non ci è di certo arrivata con la stessa intensità».
Dopo Ava Gardner, Sinatra è stato sposato con Mia Farrow. Anche lì è durata poco, un paio d’anni. Ma qualche tempo fa la Farrow, che poi divenne la moglie di Woody Allen, ha dichiarato, probabilmente con l’obiettivo di far infuriare il regista e attore, che loro figlio Ronan, un conduttore televisivo di successo, potrebbe essere in realtà figlio di Frank Sinatra. Lei ha smentito subito. Perché è così sicura?
«È una burla per ferire il suo ex, quella di Mia. È impossibile. Papà si era sottoposto a un’operazione di vasectomia ben prima del concepimento di Ronan. Parlai con la Farrow dopo aver letto la storia. Le dissi: “Sai che non è vero, come ti è venuto in mente di dire una cosa simile?”. Mi spiegò che voleva prendere in giro la stampa inventando una burla scandalosa: ma in due ore e mezzo la notizia aveva fatto il giro del mondo. Io credo non volesse fare del male a nessuno. Voleva solo vedere fino a che punto la stampa può essere responsabile, o irresponsabile. Ma il gioco le è sfuggito di mano».
«Il migliore di tutti noi, il più grande di sempre»: parola dei mostri sacri Elton John, Bob Dylan, Bruce Springsteen. Sinceri?
«Perché dovrebbero mentire? È anche un omaggio al talento naturale di Frank. E poi Bruce condivide le sue umili origini. Anche lui nato e cresciuto nei sobborghi del New Jersey, con origini italiane da parte di madre».
E, allora, l’ultima parola a Springsteen: «La sua era la musica del Ventesimo secolo, un’era moderna e complessa. Aveva swing e una personalità inquieta. La sua voce esprimeva un bisogno sfacciato di libertà e la triste consapevolezza di come va il mondo».