Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  ottobre 02 Venerdì calendario

LA NUOVA RICERCA TRASLOCA NEL SOTTOSUOLO

«Il grande laboratorio costruito sotto la montagna del Gran Sasso è diventato un esempio internazionale per le possibilità che offre e ora questi laboratori si moltiplicano proprio per affrontare le sfide più avanzate della ricerca», spiega il Nobel Carlo Rubbia. Infatti le frontiere della scienza si spostano sempre più nelle viscere della Terra. Ed altrettanto quelle della generazione di energia. Nuovi laboratori sono entrati in funzione in questi ultimi anni in Canada, sotto i Pirenei, negli Stati Uniti e una nuova generazione di veri centri di ricerca ipogei ancora più estesi sta per essere realizzata. Anzi, è in atto quasi una corsa a chi scava quello più gigantesco. L’India inizierà presto i lavori sotto 1.200 metri di roccia a Tamil Nadu, un centinaio di chilometri a ovest di Mandurai; il governo australiano ha stanziato 3,5 milioni di dollari per un osservatorio sotterraneo vicino alla città di Stawell; la Cina sta realizzando il laboratorio più profondo del mondo a 2.400 metri nelle viscere dei monti Jinping. Intanto un’altra ardua sfida si sta affrontando in Sud America. Qui è stato approvato il progetto di un’autostrada che unirà la costa del Pacifico a quella dell’Atlantico e uno dei tratti dovrà passare sotto le Ande tra il Cile e l’Argentina. Tra i due tunnel, sprofondato per 1.750 metri nella roccia, nascerà il laboratorio Andes (Agua Negra Deep Experiments Site). Nel mondo, oltre al Cern di Ginevra che a cento metri ospita il super-acceleratore Lhc scopritore della particella di Dio, sono attivi circa una decina di impianti sotterranei di vario tipo, dalla Russia al Giappone, agli Stati Uniti. Ma si può dire che il Laboratorio italiano del Gran Sasso dell’Istituto nazionale di fisica nucleare, voluto da Antonino Zichichi e completato nel 1987, sia diventato un riferimento tra i più importanti nei cinque continenti come dimostra l’elevato numero di ricercatori non italiani che vi lavorano date le eccezionali opportunità che offre.

Le frontiere della fisica. «È stata una grande idea sviluppata 25 anni fa e oggi è un grande laboratorio nazionale dominato dagli stranieri», riprende il Nobel Carlo Rubbia. -«Da qui può arrivare pure un’altra spinta per il futuro della fisica italiana». Nei laboratori sotterranei battezzati Dul (da Deep Underground Laboratories) gli scienziati esplorano energie più elevate di quelle raggiungibili dagli acceleratori. Il loro ambiente è ideale perché ha un bassissimo livello di radioattività naturale e quindi non inquina i risultati consentendo di catturare fenomeni rarissimi altrimenti impossibili.
«Il progetto finanziato dall’America Latina offre anche a noi delle opportunità», -continua lo scienziato, «perché si potranno studiare meglio certi fenomeni, come la caccia a particelle componenti la materia oscura e provenienti dal cosmo. Questo è uno dei temi più appassionanti su cui si concentrano gli sforzi della ricerca fisica al quale si aggiunge la sfida riguardante la mutevole natura del neutrino, la particella più effimera dell’universo. Ce ne siamo occupati proprio con un esperimento tra il Cern e il Gran Sasso e altri se ne stanno preparando in Cina, in Giappone e al Fermilab negli Stati Uniti, sempre con impianti sotterranei».
Oltre la ricerca, nel sottosuolo sta anche maturando un nuovo modo di produrre energia con maggior sicurezza. Il governo armeno sta decidendo la costruzione di una centrale nucleare completamente interrata che sarà la prima al mondo. L’Armenia è un Paese del Caucaso con poche risorse naturali che dispone soltanto di piccole quantità di carbone e importa gas dalla Russia. Il 42 per cento dei consumi elettrici è adesso garantito dall’impianto nucleare di Metsamor. La natura geologica del suolo è complessa e difficile essendo forte il rischio vulcanico ed elevato soprattutto quello sismico. Il paese, infatti, si trova nel bel mezzo dello scontro tra la placca Araba a sud che si sposta alla velocità di 2,5 centimetri all’anno verso Nord, e la placca euroasiatica a nord.
Il governo di Erevan ha varato un piano energetico per aumentare l’affidabilità degli impianti energetici sfruttando importanti risorse naturali come la geotermia, l’eolico e il solare. In questo ambito intende sostituire la vecchia centrale di Metsamor di fabbricazione russa stabilendone la dismissione entro il 2021. Per allora vuole costruirne, nello stesso sito, una nuova da 1.060 Megawattelettrici. Essendo però la sicurezza la prima esigenza da soddisfare, la centrale sotterranea è in grado di soddisfarla aprendo una prospettiva finora mai messa in pratica a livello internazionale anche se ampiamente suggerita da decenni da illustri scienziati.
Andrei Sakharov scriveva nel 1990: «Chiaramente, l’umanità non può rinunciare all’energia nucleare. Così noi dobbiamo trovare soluzioni atte a garantire la sicurezza ed escludere la possibilità che si verifichi un’altra Chernobyl. La soluzione che prediligo è quella di costruire i reattori nucleari in sotterraneo. In tal modo anche in caso di peggior incidente non sono rilasciate sostanze radioattive nell’atmosfera». Della stessa opinione era il fisico Edward Teller nel 2001: «Per quanto riguarda il contenimento di sostanze radioattive in caso d’incidente il mio suggerimento è di collocare i reattori nucleari da 100 a 300 metri di profondità. Penso che il malinteso sul rischio nucleare diffuso nell’opinione pubblica potrà essere dissipato solamente adottando una soluzione lampante come quella di ubicare un sito nucleare in sotterraneo».
Ma finora la tecnologia sviluppata dagli inizi dell’epoca dell’atomo prevedeva impianti in superficie e alle industrie impegnate nel settore era più conveniente e redditizio continuare a replicare la vecchia concezione tra l’altro complessivamente più dispendiosa per gli utilizzatori. Infatti una centrale tradizionale presenta costi proibitivi per la sicurezza la quale rimane comunque parziale perché è esposta a catastrofi naturali (ricordiamo Fukushima) o altri eventi esterni; è inoltre vulnerabile ad attacchi terroristici o bellici e rimane la possibilità di dispersioni di radioattività verso l’ambiente.

Sostanze radioattive. «Della soluzione sotterranea se n’è parlato molto in passato», ribadisce il Nobel Carlo Rubbia, «proprio per gli elementi associati alla sicurezza. A questo punto l’alternativa è praticabile e probabilmente fattibile eliminando tanti problemi. Con impianti del genere non esiste il pericolo di fuga di sostanze radioattive come è accaduto in Ucraina e in Giappone. Si tratta di risolvere qualche aspetto tecnologico per adattare il sistema in profondità». Per quanto riguarda il rischio terremoti l’esperienza ha dimostrato che le strutture realizzate nel sottosuolo trasmettono le onde sismiche senza subire danni. In aggiunta, contrariamente alle centrali in superficie, quelle interrate hanno un ridottissimo impatto ambientale con un consumo di territorio nullo, sono più facili da collocare, hanno costi di dismissione quasi trascurabili mentre i costi “a vita intera” dell’intero impianto sono significativamente più ridotti.
«Anche per lo stoccaggio delle scorie radioattive i depositi sotterranei sono l’unica prospettiva», nota lo scienziato. «Resta solo una questione aperta riguardante il calore prodotto che necessita una risposta legata al raffreddamento».
Lo sviluppo della conoscenza, dunque, apre ora prospettive che nel sottosuolo soddisfano obiettivi scientifici, economici e di sicurezza prima impossibili.