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 2015  ottobre 02 Venerdì calendario

Svelato al popolo tifoso dai suoi assalti prepotenti nei giorni gloriosi dell’Eurobasket, Alessandro Gentile è il giocatore simbolo del campionato che verrà, ancor prima che cominci

Svelato al popolo tifoso dai suoi assalti prepotenti nei giorni gloriosi dell’Eurobasket, Alessandro Gentile è il giocatore simbolo del campionato che verrà, ancor prima che cominci. Già volati nelle Americhe gli azzurri della Nba, qui è rimasto soprattutto lui: a 23 anni scarsi, certamente l’italiano più forte della serie A e probabilmente il più forte in assoluto, stranieri compresi. Il figlio di Nando cortesemente lascia dire, ma in proprio se lo nega. «Non mi sento l’uomo immagine di niente e di nessuno, sono solo un giocatore di basket che cerca di far vincere la sua squadra ». Se qualcosa è cambiato, sotto i cieli di Berlino e di Lille, del suo stato di primus con pochi pares , non è cambiato dentro di lui. Insomma, siamo solo noi a disegnarlo diverso. Gentile, dagli ultimi Europei è uscito un giocatore migliore? «Credo di sì, ma come sempre accade quando ci si misura coi più forti, giocando tante partite al massimo livello. Non si può che progredire. Io come tutti». In un torneo così pieno di giocatori della Nba, Italia compresa, sente di aver salito un piano, raggiungendo il loro? «A che piano mi trovo devono dirlo gli altri. Ho tanto lavoro da fare per migliorare il mio rendimento e il mio approccio alle partite, ho la fortuna d’esser giovane e di aver tempo davanti. Ed anche alla Nba, adesso, non ci penso per niente. Tutto al suo momento. Ho scelto di restare a Milano, perché è la cosa migliore da un punto di vista sportivo e umano. E perché provo riconoscenza verso la società che mi ha dato tantissimo. Mi alleno ogni giorno curando ogni aspetto di questa crescita. Fisico, tecnico, mentale, caratteriale. Se ci riesco, è un giudizio che danno altri». Intanto, certe sbandate di nervi viste in campionato lassù in azzurro si sono viste meno. «Ho cercato di contenere i momenti di rabbia, di tenere un buon atteggiamento con compagni, avversari, arbitri. Se si è notato, mi fa piacere». Prossimo difetto da eliminare? «Non ci penso. Voglio fare passi avanti, sono ambizioso, punto al massimo. E sono critico di me stesso. Non mi vedo un solo difetto, ma tante cose da migliorare ». Sarà il campionato delle sue rivincite? «No, un campionato da cercare di vincere, dopo quell’ultima stagione fallimentare di Milano. Vogliamo fare meglio e credo sia stata allestita la squadra giusta per riuscirci». Le avversarie? «Leggo i roster come tutti, ma giudico solo dopo aver visto giocare. Le quattro della Supercoppa, noi, Sassari, Venezia e Reggio, partono da valori più alti, da tanti bei nomi. Ma io di chi è forte sulla carta non mi fido più». Tornando alla Nazionale, a bocce ferme, è maggiore la soddisfazione per l’obiettivo centrato del preolimpico o l’amarezza per quello mancato del podio? «Una via di mezzo, pesando tutto con equilibrio, senza gli estremi che sento in giro, e soprattutto rileggendo con ordine la storia del torneo. Partiamo e si fa male Datome, perdiamo con la Turchia, vinciamo a fatica con l’Islanda. Lì davvero c’era da lottare per non affondare, come poteva succedere. Poi arrivano le vittorie, con partite incredibili. La Spagna, la Germania, Israele... Ecco, lì ci crediamo parecchio, di poter fare qualcosa di più. Adesso, se di tutto questo faccio un bilancio finale, non lo trovo per nulla negativo». Lei decise molto presto di fare il giocatore professionista. Quando? «A quattordici anni sono uscito di casa. Deciso, avrei giocato a basket. Ancora non da professionista, ma disposto a far di tutto per diventarlo. Ho cambiato tre città, a Bologna stavo ancora coi miei, perchè mio padre allenava a Imola, a Treviso vivevo in foresteria, a Milano sto a casa mia. È stata dura agli inizi, i sacrifici si sentono, ma mi ritengo un ragazzo fortunato, che ha potuto seguire la passione, capitando nei posti giusti. Un ambiente fantastico a Treviso, bravissimi allenatori. Poi, arrivando a Milano, mi sono sentito in una città stupenda per fare pallacanestro ». Anche tanto tentatrice, dicono, per un giovane campione. «Vero, ma un cervello e la facoltà di fare le proprie scelte aiutano a conoscere in fretta ogni luogo dove vuoi e puoi andare e ogni cosa che vuoi e puoi fare». È servito alla sua carriera essere il figlio di Nando? «Se parliamo di insegnamenti, consigli, sostegno, tantissimo. Se parliamo di politica, insomma raccomandazioni, niente. Mio padre non è proprio quel tipo lì. E alla fine è il campo a dare i responsi. E il campo non sbaglia mai».