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 2015  ottobre 02 Venerdì calendario

RAFFAELLO

Non solo pittura Ecco la Factory del genio rinascimentale–

È difficile realizzare grandi mostre su nomi sacri della storia dell’arte, riuscendo ad aggiungere qualcosa di nuovo, al di là della meraviglia che la contemplazione dal vero suscita sempre. “Raffaello. Il sole delle arti”, esplora l’enorme influenza che questa leggendaria figura ebbe sulle arti minori, nei secoli, e lo fa scoprire non solo pittore, e architetto, ma anche orafo, ceramista, incisore, armaiolo, tessitore e intagliatore. La sua opera divenne archivio e catalogo di soggetti figurativi, di motivi decorativi, di stile e d’impianti
compositivi, a cui le “arti congeneri”, come le chiamava il Vasari, attinsero traducendole nella loro tecnica. In parte fu un’emanazione inconsapevole, in parte, invece, un progetto di lavoro strutturato, che aveva come fulcro operativo la grande bottega romana che Raffaello (Urbino, 1483-Roma, 1520) mise in piedi, ormai famoso e richiesto da tutti, affollata di giovani apprendisti così come di artisti già affermati. Una vera impresa, che partecipava e condivideva tutte le opere a cui Raffaello metteva mano. La mostra alla Reggia di Venaria, curata da Gabriele Barucca e Sylvia Ferino in collaborazione con un comitato scientifico presieduto dal Direttore dei Musei Vaticani Antonio Paolucci, si sviluppa in quindici stanze, attorno a nove opere di Raffaello che danno il ritmo a sezioni affollate d’incisioni e disegni, maioliche, armature, formelle e monili in argento e altri metalli, e poi arazzi, legni scolpiti. Si parte dalla formazione del giovane Raffaello, avvenuta nella città natale di Urbino, uno dei fulcri del Rinascimento. È figlio di Giovanni Santi, artista anche lui e suo primo maestro. Saranno poi il Perugino, Signorelli e il Pinturicchio le figure centrali del suo apprendistato, come mostrano gli accostamenti di opere proposti. L’altorilievo in terracotta invetriata della Madonna della mela di Luca della Robbia, un lucore di bianco e di azzurro, introduce un altro artista, che rappresentò un riferimento per Raffaello, così come introduce il tema a lui caro delle celebri e dolcissime Madonne con Bambino, testimoniato dalla presenza della Madonna del Granduca . Ed è una sorta di project room la sala giocata sull’illuminazione, con tre ritratti che emergono dalla penombra: Elisabetta Gonzaga, la donna detta “la muta” e il giovane con pomo. Ciascuno di loro è descritto con una sontuosità che preannuncia la solennità classica del Raffaello maturo, mentre si colgono sui loro volti espressioni che ne accennano la natura psicologica e le vesti sono così dettagliate, alla maniera fiamminga, da diventare pattern astratti, matrici pronte per essere trasferite nelle arti applicate. Fu attraverso le incisioni che l’opera figurativa raffaellesca iniziò a diffondersi, tecnica seguita da lui stesso, che individuava personalmente gli incisori con cui collaborare, primo fra tutti Marcantonio Raimondi. Quelle incisioni viaggiarono capillarmente e in grande quantità, accessibili anche a un pubblico meno abbiente rispetto ai suoi clienti abituali di ricchi e nobili signori, diventando modello e ispirazione per artisti e artigiani in tutta Europa. I suoi soggetti sacri, mitologici e storici fu- rono delle icone che accomunarono coppe e targhe di maiolica istoriata, realizzate dalle manifatture di Perugia, Faenza, Arezzo, Urbino, Gubbio e Deruta. Così come si materializzarono in incisioni su cristalli di rocca, placchette in metallo, smalti, vetri e intagli lignei. Un’attenzione particolare Raffaello la destinò a gioielli e materiali preziosi, identificando in Valerio Belli il suo “orefice perfetto”. Si trattava di un repertorio figurativo dinamico che attivava idee e stili. Andava oltre la mera riproduzione seriale, ma educava e generava, a sua volta, arte. Raffaello diffuse una cultura iconografica che innestò la classicità e il Rinascimento italiano nel resto d’Europa. L’estasi di Santa Cecilia , per esempio, nata come pala d’altare, costituì un riferimento costante per la pittura devozionale. I grandiosi affreschi per le Stanze Vaticane commissionati da Giulio II e le cinquantadue formelle dipinte con le storie tratte dall’Antico e Nuovo Testamento, realizzate per le Logge del Palazzo Vaticano, che formarono la cosiddetta “Bibbia di Raffaello”, diedero vita a un compendio di temi figurativi e di innovativi decori classicheggianti di portata globale.
Nella sala sviluppata attorno al dipinto La visione di Ezechiele , si anima, poi, una circolarità simbolica con cui si confrontano sia l’omonimo disegno e omaggio di Rubens, sia, sul lato opposto, un grande arazzo realizzato dalla bottega di Pieter Van Aelst a Bruxelles. Ciascuno si riflette nell’altro, in un dialogo colto e virtuoso. Anche gli arazzi furono un campo di grande interesse per l’artista, che se ne occupò traducendoli letteralmente in pittura tessuta. L’opera di Raffaello costituì prima un’onda e poi un vapore che impregnò l’arte occidentale attraverso il tempo, scorrendo libera, da Poussin a Ingres, dalle Avanguardie a Picasso e a Dalí. Un sole che ha irradiato per secoli, con una maniera che ha superato qualsiasi manierismo.