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 2015  settembre 12 Sabato calendario

CHE ROTTURA ESSERE UN BAMBINO PRODIGIO


[Matteo Manassero]

In questo periodo lo descrivono come ombroso, teso e anche un po’ incazzoso, e in effetti giocare per un anno e mezzo senza portare a casa un risultato non dev’essere la cosa più rilassante del mondo. Invece incontrandolo in campo, a tre settimane dall’Open d’Italia (e proprio sul percorso del Golf Club Milano, che lo ospiterà dal 17 al 20 settembre), Matteo Manassero sembra un’altra persona: allegro, rilassato, in forma (fisica) strepitosa. Magari non ha ancora ritrovato lo swing con cui ha battuto tutti i record di precocità, vincendo a 16 anni il British Amateur Championship e a 17 una gara dell’European Tour, e nemmeno la fiducia con cui a 20 si è imposto nel Bmw Pga Championship facendo gridare al fenomeno, però il sorriso sì. E non è poco, alla vigilia di una gara che potrebbe salvare la stagione (e la faccia) del Golden Boy del golf italiano, “il ragazzo destinato a cambiare la storia di questo sport”, come scrisse tempo fa il New York Times.
A vedere le ultime due stagioni, sembra cambiato lei: perché questo lungo periodo così difficile?
«Sono reduce da un anno e mezzo di alti e bassi... okay, più bassi che alti. Forse difficile è proprio la parola giusta, perché anche nei momenti in cui mi sentivo meglio e pensavo di fare qualche buon risultato, in realtà non l’ho fatto, per un motivo o per l’altro, soprattutto di testa. Poi c’erano momenti in cui proprio non giocavo bene, non sentivo il movimento, non avevo la sensazione giusta. È stato un susseguirsi di cose negative, che si sono incatenate e mi hanno fatto perdere fiducia, oltre che naturalmente le gare. Non dimentichiamo poi che il livello del Tour è altissimo, non ci si può permettere di non giocare al massimo. E per quanto riguarda me in particolare, il fatto di avere iniziato a vincere prestissimo non mi ha aiutato».
Iniziare a vincere a 17 anni, come ha fatto lei, poi si paga?
«Sì: l’asticella è andata subito molto alta e restare a quel livello non è facile. Ma sono ancora giovane, ho solo 22 anni e tanto tempo per sistemare le cose con calma».
Non si è anche adagiato un po’?
«No, anche quando vincevo e giocavo molto bene sentivo dentro di me che avevo delle cose da migliorare, ho sempre lavorato per quelle. Magari mi è mancato il tempo per immagazzinare certe cose».
In che senso?
«Ci ho lavorato ma non mi sono mai entrate dentro pienamente, come fossero mie. Anche perché comunque in gara mi riusciva tutto. Infatti all’inizio andavo in campo tranquillo, fiducioso: facevo quello che sapevo fare e mi veniva facile. In questo modo, però, mi sono trascinato a lungo un “problema in corso”. Come quando vai a scuola e resti indietro in qualche materia, però ti promuovono: così hai sempre cose nuove da fare e non riesci mai a metterti in pari».
Si è reso conto subito di essere rimasto indietro oppure a un certo punto si è accorto di avere dei problemi?
«All’inizio sapevo, come tutti, di avere delle piccole imperfezioni a livello tecnico, ma non mi preoccupavo. Una volta che mi sono reso conto che effettivamente avevo un problema, ho iniziato a lavorarci, a cambiare delle cose. Ma ovviamente a quel punto è stato più difficile, pensavo che il processo fosse più breve, invece si è prolungato nel tempo».
E la gente ha cominciato a chiedere che cosa fosse successo a Manassero: ha sofferto la pressione di dover sempre dimostrare qualcosa?
«È l’altro effetto negativo di aver vinto così giovane. La gente si aspetta che tu continui a farlo, io stesso me lo aspettavo: poi diventa una roba di testa, e la testa nel golf è molto importante, più della tecnica».
Infatti nel golf, così come in altri sport, va di moda lo psicologo: ha mai pensato di andare da qualcuno?
«Mi sono rivolto a un famoso mental coach francese, Makis Chamalidis, con cui sto lavorando da un po’ di tempo. Mi aiuta ad approcciare le cose con più semplicità e con meno timore che vadano male, mi stimola a essere più easy. Mi dice sempre che devo continuare ad allenarmi duramente, ma che devo tornare ad avere tranquillità e serenità. Come quando ero più giovane».
Pensa di essere cresciuto troppo velocemente?
«Può essere. Da quando sono piccolo ho sempre vissuto a pane, acqua e golf (ha cominciato a giocare a 3 anni e mezzo; ndr): per mia scelta, sia chiaro, questa è la vita che ho sempre voluto fare. Però è un mondo un po’ complesso».
Lei è uno forte di carattere?
«No».
Che cosa riesce a darle forza?
«Vincere! E stare con gli amici».
Riesce ad avere tempo per la vita privata?
«Adesso sì, abbastanza».
E per le donne?
«Non sono fidanzato».
Però avrà parecchie pretendenti...
«... ma non sono fidanzato».
Che cosa le piace fare nel tempo libero?
«Giocare a calcio, quando posso: sono centrocampista e tifo Milan. Adesso che abito da solo, a Monticello, quando sto a casa mi piace passare il tempo con gli amici, a dire vaccate. Purtroppo sono spesso in giro».
Va mai a ballare?
«Adesso sì».
Ci va per scatenarsi o per cuccare?
«Diciamo che non amo scatenarmi...».
E quando va in giro la gente la riconosce?
«Non molto, ma è meglio così: posso fare quello che voglio. E condurre una vita normale».
Beh, la sua non è proprio una vita normale...
«Lo so, però ho imparato a ritagliarmi degli spazi di normalità. Ho sacrificato troppo della mia adolescenza, sto recuperando. Adesso so che se nella mia vita ci fosse solo il golf, com’è stato per molti anni, allora sì che avrei un problema!».
A proposito di problemi: da tempo continua a dire che le manca pochissimo per essere al top. Dobbiamo pensare che sia un po’ più di “pochissimo”?
«No, e poi l’ho detto solo negli ultimi mesi. Secondo me a livello di testa davvero mi manca pochissimo per essere di nuovo nella forma che mi permetta di vincere le gare. Dal punto di vista del gioco sto ancora lavorando, ma è normale: il golf è uno sport talmente difficile che anche un professionista è alla continua ricerca di migliorare qualcosa nella sua tecnica. Questa per me è stata una stagione difficile, ormai mancano due mesi di gioco, è come se stessi lavorando per il 2016. E poi per un po’ mi sono fermato».
Perché?
«Avevo bisogno di staccare un po’. Ho fatto due settimane di vacanza, poi ho ricominciato solo ad allenarmi, in vista dell’Open d’Italia: è l’obiettivo per finire la stagione nel miglior modo possibile. Anche se è chiaro che sono già proiettato sulla prossima».
Parlava di testa e di gioco: che cosa le manca, esattamente, per l’una e per l’altro?
«A livello di testa mi manca fiducia, cioè la sicurezza che può succedere di tutto ma che comunque qualcosa lo porto a casa. Quella fiducia lì è un po’ che mi manca, e solo i risultati la danno. A livello di gioco devo migliorare nel backswing e nella ripartenza del braccio, cioè un pezzo dello swing abbastanza importante, ci vuole una velocità di movimento che devo ancora fare mia. È su questo che sta insistendo il mio allenatore, Alberto Binaghi».
Nel calcio, quando una squadra va male, la soluzione più immediata è cambiare l’allenatore: lei ci ha...
«... no! Non ci ho mai pensato, anche se l’ho letto ovunque nell’ultimo periodo. Alberto mi allena da nove anni, cioè da quando ne avevo 13: sa tutto di me, mi conosce benissimo, e mi ha fatto fare un lavoro davvero grande. Sono convinto che sia l’unico che mi possa aiutare veramente. È lui che mi porterà fuori da questa situazione».
Magari proprio all’Open d’Italia...
«Non vedo l’ora di giocarlo, spero arrivi tanta gente. La posizione è strategica, perché a Monza subito dopo il Gran Premio di Formula 1 ci sarà tanta gente, e il periodo è quello giusto, visto che a Milano è ancora in corso l’Expo. Io quando arrivo in campo e vedo tanta gente mi esalto».
Le piace il campo del Golf Milano?
«Mi è sempre piaciuto e lo conosco bene: la prima volta che ci ho giocato avevo 11 anni. Spero di togliermi delle belle soddisfazioni, l’aria di casa a me fa bene. Le sensazioni per ora sono buone: speriamo di far bene, ci tengo tantissimo. Di più: mi serve proprio».