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 2015  settembre 12 Sabato calendario

BERGKAMP, IL CAMPIONE CHE NON DECOLLÒ MAI

Le cronache del calcio sono ricche di giocatori che dopo aver combinato poco in Serie A si sono guadagnati altrove la fama di campioni. Fra i casi nei quali la discrepanza fu più clamorosa mi è tornato in mente, grazie a un bel ritratto di Francisco Orti su elenganche.es, quello di Dennis Bergkamp: due stagioni fallimentari all’Inter, seguite da una carriera all’Arsenal così brillante da meritare una statua all’ingresso dell’Emirates Stadium. Delle imprese londinesi di Iceman si sa tutto: il lavoro di Orti, Bergkamp in Wonderland (una citazione dal coro che i tifosi dei Gunners dedicarono all’olandese), ha allora usato per incuriosirmi un trucco molto furbo, quello di riempire la prima parte della narrazione con la fobia di Dennis per il volo, tema notissimo ma in realtà mai esplorato (l’ex ragazzo prodigio dell’Ajax è un tipo riservato, come possono testimoniare i cronisti che ai tempi dell’Inter lo aspettavano sotto casa, e dopo un po’ a farli sfollare arrivavano i carabinieri, allertati dal giocatore).
Bergkamp racconta che la sua tolleranza al volo, già piuttosto fragile, andò in mille pezzi nel viaggio di trasferimento con la nazionale olandese verso gli Stati Uniti per il Mondiale del ’94: da quel che si intuisce l’aereo incappò in un vuoto d’aria particolarmente lungo, dando la sgradevole sensazione della caduta per parecchi secondi. È un’esperienza che chiunque voli con una certa frequenza ha vissuto, ma nella psiche decisamente poco predisposta di Dennis ebbe un effetto definitivo: basta, niente più aerei.
Bergkamp ha percorso tutte le autostrade del Regno Unito per non mancare alle gare di Premier, e anche grazie all’Eurotunnel è riuscito a perdersi pochissime trasferte europee dell’Arsenal. Un notevole surplus di fatica – equamente diviso fra macchina e treno – che l’olandese ha tentato di risparmiare frequentando psicologi e analisti, ma senza successo. «Ho provato diverse volte a riprendere un aereo», ha spiegato. «Ma invariabilmente il giorno prima dovevo arrendermi perché il panico mi congelava gli arti impedendomi di prendere sonno anche un solo minuto». È probabile che le (poche) partite perse da Bergkamp coincidano con questi tentativi. Se provi a vincere le tue paure fino all’ultimo, poi non hai il tempo tecnico per raggiungere la sede della trasferta in macchina. E Wenger, che a Bergkamp e alla sua generazione deve i tre campionati vinti in quasi vent’anni di Arsenal, gli ha sempre concesso ampia libertà in questo senso.
In tempi in cui volare non è più un privilegio, ma grazie ai low cost è davvero diventato un prendere l’autobus appena più burocratico, la storia di Bergkamp che viaggiava su tutti i treni d’Europa mentre i compagni l’aspettavano in ritiro sembra un portentoso nonsense. Un po’ come la sua carriera sbilenca, grandissima altrove ma impalpabile da noi.