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 2015  settembre 12 Sabato calendario

IL PARADOSSO DELLA CRESCITA ITALIANA, SENZA L’AUTO È ANCORA POCA COSA

Sergio Chiamparino aveva voglia di togliersi un sassolone dalla scarpa e lo ha detto chiaro e tondo: «Io e Piero Fassino siamo stati gli unici a non aver dato giudizi su Marchionne che cambiavano a seconda dei titoli dei giornali». Il governatore del Piemonte parlava a una platea di industriali torinesi, riuniti nella loro assemblea annuale, e ha commentato a modo suo i vari dati che stavano affluendo: il 44% di incremento della produzione industriale di auto in un anno, l’80% di saturazione degli impianti Fca in Italia e le oltre 2 mila assunzioni targate Fiat entro la fine del 2015. La verità, dunque, è molto semplice: la ripresina italiana è guidata saldamente dall’industria dei mezzi di trasporto che sicuramente evoca le scelte della casa torinese ma anche i successi di Lamborghini, Italdesign e Ducati. Se le cose stanno così sperimenteremo un singolare paradosso, dopo aver passato anni a criticare Sergio Marchionne - come recita la battuta di Chiamparino - alla fine dovremo dolerci che la ripresa italiana sia fatta «troppo» di auto e poco di altro. Accanto ai mezzi di trasporto infatti a spingere all’insù la produzione industriale sono stati il comparto energetico - sollecitato dai consumi elettrici anomali legati al caldo - e quello legato alla raffinazione del petrolio.
Ma quali sono i rischi di una ripresa governata dal monocolore dell’auto? Sul breve non c’è nessun rischio, anzi bisognerà vedere come il mercato accoglierà la nuova Giulia prodotta a Cassino e comunque è assai probabile che quest’anno si venderanno in Italia più auto del previsto (1,5 milioni). I dubbi riguardano il medio periodo, infatti le vendite stanno salendo per effetto degli acquisti di sostituzione da parte delle famiglie che hanno un parco macchine giudicato mediamente vecchio, ma dopo che accadrà? L’economia post Grande Crisi è assai difficile che ci riservi cicli lunghi come in passato e di conseguenza è difficile pronosticare per quanto tempo ancora possiamo accontentarci di essere trainati dall’auto. Il car sharing, ad esempio, sta funzionando bene nelle grandi città e, per quello che sappiamo oggi, non pare un fenomeno temporaneo. Anche se i costruttori guardano con simpatia all’innovazione della vettura condivisa al computo delle vendite verranno a mancare molte seconde macchine di famiglia, perché i giovani neo-patentati sembrano aver abbracciato la causa della sobrietà privilegiando stili di vita estranei all’ostentazione.
Al di là comunque delle riflessioni sul futuro dell’auto resta il fatto che una ripresa «monocolore» rischia di restare gracile. Il presidente della Confindustria Giorgio Squinzi lo ripete quasi ogni giorno: se non si rimette in moto l’intero ciclo del mattone che comprende le piccole opere di ristrutturazione privata, i lavori pubblici dei Comuni e le grandi infrastrutture, la ripartenza non sarà reale. Si obietterà che Squinzi parla pro domo sua visto che la Mapei lavora nel settore ma ciò non toglie che dica una cosa sensata. Un’impennata della domanda interna può venire proprio dal mattone. Resta poi in piedi la querelle sugli investimenti. Molti osservatori, compresa Bankitalia, sostengono che sia in atto se non uno sciopero quantomeno una forma di amnesia dell’investimento che coinvolge la maggioranza dell’industria privata, Confindustria replica che non è vero e anche ieri la presidente degli industriali torinesi, Licia Mattioli, ha citato i dati Ucimu sulle vendite di beni strumentali per sostenere che non c’è alcuno sciopero. Anzi. Matteo Renzi, poi, nelle ultime uscite ha fatto riferimento a nuovi investimenti pubblici come possibile volano del Pil. La sensazione è che si riferisca in particolare al piano della banda ultra-larga, vero obiettivo del blitz che ha portato al ricambio dei vertici Cdp. Saperne di più non sarebbe male.