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 2015  settembre 12 Sabato calendario

L’ABBECEDARIO VENEZIANO: UNNI DA BAR E ROMANI DA CINEMA

A come Anomalisa. Per alcuni il film (animato e non) migliore visto a Venezia.
B come Berger. In un vecchio film di Nanni Moretti, sul molo di Panarea, Conchita Airoldi prometteva la sua presenza a un’imperdibile festa isolana: “Helmut ha detto che viene direttamente in mutande”. Senza più presenzialismi né apparenze da salvare, lo abbiamo visto invece sull’isolotto del Lido. Era in uno straordinario ritratto di Andreas Horvath. Imprecava contro il regista: “Sei solo un borghesuccio”, si masturbava, indossava antiche stole di visone. Nudo. Molto più di ieri.
C come Cappelli. Quelli di forma elicoidale indossati da Marina Ripa di Meana e quelli dati in sorte dal destino sotto forma di cognome a inviati del Corriere chiamati alla battaglia del vino da Nastassja Kinski. Lei incontra il giornalista alla festa di inaugurazione e memore di un’intervista non gradita, innaffiandolo di rosso, lo insulta: “Sei uno stronzo”. Lui risponde al lancio e semina consigli: “Impara a vivere”.
D come degrado. Paolo Baratta, presidente della Biennale, giura che la vergogna del buco che sarebbe dovuto diventare Palacinema e invece è rimasto soltanto voragine, sarà sanata. In attesa del miracolo, Ground Zero è diventata quasi un’attrazione.
E come Excelsior. Innervositi dal continuo via vai hanno smarrito diplomazia anche nell’ultima oasi del lusso. “Dormite qui? No? Allora potreste spostarvi dalla hall? Date fastidio agli altri clienti”.
F come ferocia. A Mariarosa Mancuso de Il Foglio, va il Leone della perfidia. Non le sono piaciuti più di tre film in tutto e mentre i suoi colleghi innalzavano i peana, lei lavorava di paziente demolizione.
G come Guadagnino. Il suo A bigger splash ha diviso, entusiasmando gli americani (Variety ha parlato di capolavoro) e irritato alcuni critici italiani perché il comandante dei Carabinieri interpretato da Corrado Guzzanti avrebbe offeso (sic) l’Italia e l’Arma.
H come harakiri. Ci si lamenta ogni anno della progressiva marginalizzazione dell’evento e ogni anno, regolarmente, si rimpiange la mancanza di un vero mercato. Quando gli ultimi americani a Venezia saranno i soli turisti, mancherà tempo anche per rimpiangere.
I come immagini. Quelle montate in tutta fretta da Tornatore per i 40 anni di Amarcord sono magnifiche.
K come Kammerspiel. Nella giungla africana, tra le alture di Bobbio o nelle strade di un Brasile violento, il cinema respira e chiude a chiave il tinello. Segnali di vita.
L come Laurie Anderson. autrice di un bel film – Cuore di cane – su ciò che si perde, ma non svanisce e continua a parlarci.
M come Mortacci vostra. Grido di dolore sovente ascoltato all’uscita di una proiezione infelice o alla presentazione di un conto sanguinoso al ristò, dalla folta pattuglia di romani in trasferta al Lido.
N come lo volete chiamà nichilismo? Ipotesi filosofica-ancora romana – all’uscita di Boi Neon, film del giovane Mascaro sui mandriani, con generosa presenza di eiaculazioni cavalline, merda e sesso selvaggio.
O come Ordalia. Per arrivare al giudizio di dio, nel film di Marco Bellocchio, si sottopone la presunta indemoniata a qualsiasi tipo di afflizione fisica.
P come Polonia. Quella dell’esercizio di stile di Skolimovski ambientata in un albergo polacco, a prezzo di qualche compiacimento e di qualche furbizia narrativa, ha almeno una sequenza memorabile.
Q come quando accade è sempre troppo tardi. Non essere cattivo di Claudio Caligari è un grande film. Arrivato, come da maledizione trentennale del regista, in delittuosa differita con la vita.
R come Rohrwacher. Di metamorfosi in metamorfosi. Nel piccolo ruolo di una ragazza travolta dalla curiosità per il cavaliere Federico Mai, Pier Giorgio Bellocchio, nel film diretto da suo padre Marco, è irriconoscibile.
S come ’sti cazzi. Marco Giusti, interrogato sulla durata dell’opera di Sokurov: “Un’ora e ’sti cazzi”.
T come Trapero. El clan, l’allucinata immersione in una famiglia dedita ai sequestri tra dittatura e nuova Argentina di Alfonsìn è cinema che a intrattenimento e riflessione offre la stessa comoda poltrona.
U come Unni. Alle feste, all’assalto del bancone del bar, ovunque ci sia l’ipotesi di non pagare, eccoli.
V Valeria Golino. Passa l’ultimo giorno. E resta in fondo agli occhi.
Z come l’orgia del potere. Finita, come la centralità del Festival.
Malcom Pagani, il Fatto Quotidiano 12/9/2015