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 2015  settembre 12 Sabato calendario

IL FREDDO HA PAURA: ORA È SENZA SCORTA NELLA ROMA MAFIOSA

Maurizio Abbatino, il “Freddo” di Romanzo Criminale, ultimo capo storico della fu Banda della Magliana, lo scorso marzo è stato abbandonato al proprio destino dallo Stato. Una liquidazione di fine rapporto, 20 mila euro e tante grazie. Fu lui con le sue rivelazioni, a smantellare nel 1993 la più potente organizzazione della malavita romana – operazione Colosseum – mandando in carcere una quarantina di criminali tra boss e affiliati. Qualcuno è morto, qualcuno è vivo e potrebbe approfittarne colpendolo nel rifugio segreto dove tuttora a 61 anni sconta la pena agli arresti domiciliari.
L’ex Crispino, cresciuto negli anni ‘70 tra le marrane e i palazzi in costruzione alla Magliana, a 22 anni era già il capo di una spericolata batteria di rapinatori, entrò presto in contatto con Franco Giuseppucci e ne carpì i segreti: fu lui a rivelare i santuari su cui poggiava lo smisurato potere di personaggi come De Pedis, ma anche del giovane Massimo Carminati.
Che, se si volesse tornare a indagare sul giro di protezioni di cui ha sempre goduto il “Cecato”, proprio da Abbatino bisognerebbe tornare per riprendere il filo di tanti segreti che hanno portato l’ex terrorista al vertice di Mafia Capitale.
Ora il “Freddo” sa quel che rischia e ha cercato di correre ai ripari facendo ricorso al Tar. A luglio però la prima sezione ha sentenziato che l’istruttoria è ben congegnata. Del resto i processi nati dalle sue rivelazioni sono chiusi da tempo. Non si capacita il procuratore generale aggiunto Otello Lupacchini che ha tenuto battesimo il pentimento di Abbatino.
“Una sentenza di assoluzione e di condanna, non circoscrive un’inchiesta. Restano aperti tanti filoni di indagine che aspettano di essere utilizzati quando emergono quelle prove che al momento non erano state trovate”. Poi aggiunge: “Del resto cosa ci si poteva aspettare da chi nulla sa che Vittorio Casamonica è morto, del funerale, dell’aereo… manca il coordinamento, manca il controllo del territorio”. Tutto ci si poteva aspettare alla vigilia del processo a Mafia Capitale, che inizierà il 5 novembre, con il comune di Ostia sciolto per mafia, che un pentito che sa tutto della genesi di questo potere criminale venisse liquidato con una notula di fine rapporto.
Fu Crispino, nel 1993, appena sbarcato dall’aereo che lo aveva riportato dal Venezuela, a svelare a Lupacchini come e perché il Cecato avrebbe, a suo dire, ammazzato il giornalista Mino Pecorelli “ucciso per fare un favore a Claudio Vitalone, ci teneva agli agganci politici ma anche ai canali con la procura di Roma”. Conosceva anche il tortuoso percorso di quel mitra Mab, uscito dalle cantine del ministero della Sanità dove Banda della Magliana e Nar nascondevano le armi, ritrovato nella valigia, insieme ad altre armi ed esplosivo, sul rapido Taranto Milano.
Un depistaggio ordito dal vertice del Sismi, allora rappresentato dal generale Musumeci e dal colonnello Belmonte, entrambi piduisti, per attribuire la strage di Bologna a quattro inconsapevoli anarchici tedeschi.
Quel mitra portava il marchio di Carminati, era stato silenziato con degli stoppini. “L’ho visto uscire due volte dal ministero della Sanità, la seconda fu ritrovato su quel treno”, disse Crispino indicando per la prima volta il filo che legava quel gruppo di terroristi e malavitosi all’intelligence di osservanza piduista. Finì che ad essere condannati per depistaggio furono Musumeci, Belmonte e perfino Gelli. Carminati no, fu scagionato da un altro pentito nero, Sergio Calore, che poi fu trovato sgozzato a Guidonia, nel 2010, dove si era ritirato, massacrato da 30 colpi di piccone. Uno strano omicidio: la gola viene tagliata ai traditori e lui aveva tradito Ordine Nuovo, i trenta colpi sono i trenta denari di Giuda Escariota. “Un giorno stavo interrogando Aleandri – dice Lupacchini – e lui mi disse: può passare un secolo ma chi ti ha giurato di fartela pagare lo farà. Due ore dopo uccisero Claudio Sicilia, aveva finito di parlare otto anni prima”. L’unico a difendere Carminati è l’avvocato Giosuè Naso: “Ormai è famoso non per quello che ha fatto ma per quello che non ha fatto”.
Rita Di Giovacchino, il Fatto Quotidiano 12/9/2015