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 2015  settembre 12 Sabato calendario

“SENZA DONNE NON SAREI MANARA. MI È SERVITO PER ESSERE PIÙ LIBERO”

[Intervista a Milo Manara] –
Milo Manara – nato Maurilio in un piccolo paese altoatesino, Luson, il 12 settembre 1945 – compie settant’anni. E dunque tutti a scrivere delle sue donne (di carta, perché si è sposato quando di anni ne aveva 25, e mai separato), dell’eros, dello scandalo. Si parla sempre di bellissime ragazze, quando si parla di Manara. “Quando mi sono reso conto che i miei personaggi femminili colpivano l’immaginario più di quelli maschili, che le donnine tiravano di più, sinceramente ne ho un po’ approfittato”, spiega lui.
“Le ragazze sono diventate la mia etichetta, mi hanno aiutato a essere riconoscibile in mezzo al mare di libri che vengono stampati ogni giorno. Non vorrei arrivare a dire che tengo famiglia”, ridacchia, “Ma è stato un modo per conquistarmi la libertà di proporre agli editori i libri che voglio. Senza donnine non avrei potuto fare Caravaggio. La tavolozza e la spada, che è già andato esaurito e ristampato più volte in Italia, Francia, Brasile…”.
Però forse gli uomini che ha disegnato dicono più cose di lei, rispetto alle donne. A iniziare da Giuseppe Bergman, nel 1978.
Che non sarebbe mai esistito se il mio amico Hugo Pratt non mi avesse praticamente costretto a scriverla, quella prima sceneggiatura. Ha fatto come quei genitori che buttano il bambino in acqua per fargli imparare a nuotare. Giuseppe è il mio personaggio più autobiografico, e mi piacerebbe frequentarlo ancora: vorrei che fosse parte di una rilettura di America di Kafka che sto progettando da un po’. Una storia in cui parlare anche della strada che ha preso l’Occidente, della finanza che comanda tutto. Io vorrei che fosse la cultura a dominare il mondo… Nel Sessantotto si diceva che ogni scelta fosse una scelta politica, oggi io credo sia una scelta culturale, e che la cultura venga prima della politica.
A proposito di personaggi “politici”, non possiamo dimenticare Alessio, il borghese rivoluzionario creato nel 1977 con Saverio Pisu.
Anche lui mi assomigliava: un personaggio rinunciatario, che assume una posizione di spettatore rispetto agli eventi. Condivido con lui la fatica di trasformare in azioni le mie posizioni critiche rispetto alla società e alla storia, e mi giustifico illudendomi di fare la mia parte con i fumetti. Se la cultura è prepolitica, io cerco di agire su quella. E a volte ci riesco – almeno credo, visto che ad esempio in Francia i miei libri hanno vinto anche premi letterari…
In Italia non succederà mai…
Beh, il fumetto si sta muovendo: Gipi e Zerocalcare sono stati nella dozzina finale del premio Strega.
Zerocalcare, se non avesse venduto centinaia di migliaia di copie, non sarebbe mai stato candidato allo Strega.
Come ho detto, la cultura oggi è succube dell’economia.
Continuiamo con i personaggi maschili. Ne “L’uomo di carta”, uno splendido racconto western del 1981, c’è un ragazzo che si strugge per la sua amata lontana…
Quello doveva essere il primo episodio di una serie western propostami dall’editore francese Dargaud. Era un personaggio che avrebbe dovuto evolversi, diventare un uomo sempre fragile, scivolare verso il vizio. Mi dispiace non essere riuscito a continuare quella serie. Ma Dargaud è stato comprato dal gruppo Média Participations che ha una chiara impronta cattolica, e io sono finito nella lista degli autori che era meglio non pubblicare…
Un altro personaggio fondamentale della sua carriera è Giuseppe Mastorna, che Federico Fellini aveva immaginato come protagonista di un film mai realizzato. Ne ha fatto invece un fumetto, con i suoi disegni, nel 1992.
Era una storia che lo tormentava. Tanto che penso abbia pensato di farne un fumetto – dopo aver rimandato il film decine di volte – proprio per liberarsene, una volta per tutte. Il Mastorna è opera di Fellini, non mia: lui decideva tutto. Io gli mandavo le vignette di prova e lui mi diceva tipo: va bene, ma devi cambiare l’illuminazione… Cose così.
Un personaggio molto diverso è invece il Robespierre di “Rivoluzione”, del 2000. L’uomo che taglia la testa a chi lavora in televisione.
Quel racconto riflette il mio umore dopo la morte del mio amico Hugo Pratt: ero triste e arrabbiato, scrivevo storie che mi permettessero di sfogare questa rabbia. Robespierre rappresentava il mio lato cattivo. Me la sono presa con la televisione perché la credevo, e la credo tuttora, colpevole della decadenza culturale italiana… Oggi abbiamo sostituito lo schermo della tv con quello del pc. Forse sarebbe stato meglio tornare a leggere, ma credo che comunque sia un gran passo in avanti.
La sua galleria di grandi uomini si chiude con Caravaggio.
Eh, ormai credo di conoscerlo molto bene… ma lui rimane altro da me. Su Caravaggio non si scherza. Nel secondo volume che sto preparando sarà ancora più evidente quanto il suo carattere è diverso dal mio: è un attaccabrighe, pieno di sbalzi d’umore. Vedrete.
Michele R. Serra, il Fatto Quotidiano 12/9/2015