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 2015  settembre 12 Sabato calendario

“CATALOGNA INDIPENDENTE ANCHE SENZA IL 50% DEI VOTI”

[Intervista ad Artur Mas] –
Artur Mas, presidente della Generalitat catalana, ha lo sguardo di chi vive ore importanti. «Storiche», precisa. Nel giorno in cui la Catalogna celebra la sua festa nazionale, la «Diada», con più di un milione di persone in strada, il leader moderato, che si gioca tutto con la scommessa indipendentista, incontra un ristretto numero di giornalisti internazionali. Tra due settimane si vota per il rinnovo del Parlamento di Barcellona, elezioni locali che Mas e soci hanno convertito in un plebiscito per la secessione da Madrid. Una mossa azzardata, difficile da spiegare ai media di tutto il mondo.
Ammetterà che dichiarare l’indipendenza attraverso delle elezioni regionali non è una cosa comune.
«Lo penso anch’io. Infatti avremmo voluto un referendum con un mandato chiaro: sì o no all’indipendenza. L’abbiamo chiesto e Madrid non l’ha mai concesso. Così, per rispettare le legge utilizziamo l’unico strumento che abbiamo: le elezioni. Abbiamo formato una coalizione di partiti diversi che vogliono l’indipendenza, se vinceremo allora andremo avanti con il processo di separazione dalla Spagna».
Cosa vuol dire vincere le elezioni? Maggioranza assoluta di seggi o di voti?
«Se ci sarà la maggioranza di voti benissimo, ma anche con la maggioranza dei seggi andremo avanti».
Si può dichiarare l’indipendenza con meno del 50 per cento, imponendo una scelta così importante al resto dei catalani (e degli spagnoli)?
«Lo ripeto: farei cambio subito con un referendum. Come quello scozzese o quello che per due volte si è celebrato in Québec. Madrid prima ci nega di votare, com’è successo lo scorso 9 novembre, e poi ci dice che vanno contati i voti, è curioso. Non hanno considerato che l’80 per cento del parlamento catalano vuole un referendum».
Lei è alla guida di un partito moderato, nel passato avete sostenuto governi centrali, perché questa conversione all’indipendentismo?
«La nostra gente ha preso troppi schiaffi. Noi abbiamo collaborato con la Spagna nei momenti cruciali: entrata nell’Ue, ingresso nell’euro, lotta al terrorismo. Ma poi non siamo mai stati ascoltati. La storia dello statuto catalano è indicativa: il governo Zapatero lo ha scritto dopo lunghi negoziati, un referendum lo ha approvato e poi il tribunale costituzionale ne ha cancellato gli articoli principali. È finita che avevamo meno autonomia di altre comunità spagnole. Potevamo rimanere quelli di sempre, ma voleva dire accettare l’immobilismo».
L’Unione europea vi ha fatto capire che non sarà scontata la vostra presenza nell’Ue. Correte il rischio?
«Ricordo che si diceva lo stesso della Scozia: se avesse vinto il sì sarebbe rimasta fuori dall’Unione. Ma si sa per certo che è vero il contrario e la stessa Londra aveva già chiesto di ammettere la Scozia. In Catalogna ci sono centinaia di grandi imprese europee, qui vivono 300 mila stranieri. Siamo 7 milioni e mezzo di cittadini europei, conviene a qualcuno, a cominciare dalla Spagna, lasciarci fuori dall’Unione? L’Ue è sempre pragmatica».
Merkel e Cameron, però, dicono il contrario.
«Di Cameron voglio ricordare queste parole sulla Scozia: “Avrei potuto impedire il referendum, ma sono un democratico”. Il punto è questo, è un fatto di democrazia».
I sondaggi vi vedono in testa, se fossero confermati, cosa succederà il 28 settembre?
«Il nuovo parlamento farà una dichiarazione formale, si cominceranno a creare le strutture del nuovo Stato. A quel punto tenderemo la mano a Madrid per cominciare un negoziato».
E cosa vi aspettate che vi rispondano?
«Spero che apprezzino il fatto che stiamo facendo tutto nella legalità. La nostra non è una scelta contro Madrid, ma un cammino ragionevole. Il Partito popolare, invece, sta cambiando le regole, dando potere al tribunale costituzionale di sospendere i parlamentari eletti. Ma la Spagna non può fermare delle elezioni democratiche».
Se non dovesse ottenere la maggioranza che succede?
«Il processo si ferma. Accettiamo il rischio di una sconfitta. Spero anche che accetteranno la nostra vittoria».
È convinto di farcela?
«Sì, non stiamo chiedendo la luna».
Francesco Olivo, La Stampa 12/9/2015