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 2015  settembre 12 Sabato calendario

UNA GERMANIA PIÙ FORTE

Tre milioni di rifugiati in Germania nei prossimi cinque anni, di cui oltre la metà in età e condizione di lavorare, sono un aumento del 4% della forza lavoro tedesca.Nessuno oggi è in grado di valutare le conseguenze politiche dell’apertura dei confini da parte della cancelliera Merkel, ma se non ci saranno contraccolpi, gli effetti economici si sentiranno in tutta l’area euro. L’aumento della forza lavoro spinge il tasso di crescita e riduce il costo unitario del lavoro. La Germania dovrebbe dunque diventare più forte e più competitiva. Stando alle dichiarazioni ufficiali, la Francia accoglierà un trentesimo dei rifugiati rispetto alla Germania. È chiaro che la decisione della cancelliera Merkel rappresenta uno shock positivo, ma asimmetrico, per i Paesi dell’euro. Reggerà l’euro-area che sta appena emergendo da una terribile crisi?
Già nel 2015 il surplus tedesco nei conti con l’estero si avvicina al 10% del Pil ed è considerato un serio squilibrio per l’intera euro-area dalla Commissione. Bisogna ora immaginarsi che cosa succederà con una Germania ancora più forte. In linea di principio i Paesi partner commerciali, come l’Italia, potranno beneficiare di maggiori esportazioni verso l’economia tedesca, ma al tempo stesso dovranno sostenere la competizione dei produttori tedeschi in grado di impiegare nuova mano d’opera molto volenterosa e poco costosa. Se non si è in grado di integrare immigrati nella misura e con la qualità della Germania, allora un Paese euro deve impiegare meglio le risorse esistenti o, in gergo tecnico, aumentare la produttività dei fattori: flessibilità, tecnologia, investimenti. Non esattamente il punto forte dell’economia italiana.
Quello che l’euro-area sta per rivivere è l’esperienza del decennio 1995-2005 quando le riforme del lavoro e fiscali realizzate dai governi tedeschi aumentarono il numero degli occupati e ne ridussero il costo. Stime recenti valutano che non sia stato l’effetto di riduzione del costo del lavoro la causa prevalente dell’enorme surplus con l’estero. L’aumento dell’occupazione ha infatti aumentato anche il reddito aggregato tedesco, con effetti modesti ma positivi sull’export dei Paesi partner. Se queste condizioni si ripeteranno, lo shock di questi giorni non dovrebbe destabilizzare ulteriormente gli equilibri tra Germania e resto dell’euro-area.
Ciò che invece continua a causare squilibri è l’eccesso di risparmio delle famiglie e delle imprese tedesche. Le tre riforme pensionistiche avviate dal 2001 hanno ridotto di un settimo il reddito atteso delle famiglie e l’intenso dibattito pubblico che ha accompagnato le riforme ha reso i cittadini tedeschi molto sensibili al rischio di declino demografico del loro Paese e del loro personale benessere. Per questa ragione da 20 anni comprimono i consumi nonostante la solida performance dell’economia, frenando così anche le decisioni di investimento delle imprese in Germania. Secondo le stime, un aumento dell’1% del numero di chi ha più di 65 anni rispetto ai cittadini in età lavorativa, fa aumentare il risparmio così tanto da causare un incremento dello 0,2% del surplus con l’estero. Finora, questo effetto ha pesato per un terzo del surplus di parte corrente tedesco, ma nei prossimi 20 anni gli esperti del governo calcolano un aumento del 20% dei pensionati e quindi, in teoria, l’effetto sul surplus con l’estero triplicherebbe.
L’integrazione efficiente di milioni di immigrati può modificare le prospettive del sistema previdenziale tedesco. Potrebbe, dopo un periodo di aggiustamento, anche convincere i consumatori e gli investitori della maggiore economia europea a rilassare i propri timori di impoverimento senile e quindi a rilanciare la domanda interna. Per l’euro-area si tratterebbe di un’opportunità.
Tuttavia, gli altri Paesi europei, se non vorranno o non saranno in grado di integrare altrettanti immigrati, avranno una scelta spietata di fronte a sé: da un lato accelerare le riforme che aumentano la produttività dell’economia, spostare gli incentivi a favore degli esportatori anziché delle rendite e fare tutto il possibile per agganciare il traino degli scambi con l’estero europei; dall’altro scivolare verso il basso in un paradosso geografico che ci avvicinerà ai Paesi africani i cui cittadini bisognosi e desiderosi di benessere oggi non vogliamo considerare come parte di noi.
Carlo Bastasin, Il Sole 24 Ore 12/9/2015