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 2015  settembre 12 Sabato calendario

IL RICATTO SUL WEB AL CONSIGLIERE PD “IL MIO INFERNO PER UNA CHAT”

[Intervista a Attilio Solinas] –
ROMA.
Accettare l’amicizia sbagliata su Facebook e ritrovarsi sotto il ricatto di un’organizzazione criminale della Costa D’Avorio. Per tre giorni. Con la propria reputazione d’un tratto appesa a un paio di foto erotiche, false ma manipolate talmente bene da sembrar vere e diffuse su Internet. «È accaduto a me, ma potrebbe capitare a chiunque», dice Attilio Solinas, ora che l’incubo è passato.
Di lavoro Solinas, 58 anni, fa il dirigente medico a Perugia ed è anche consigliere regionale Pd dell’Umbria. Presiede la Commissione Sanità, è persona conosciuta e stimata. Basterebbe questo per convincersi che è opportuno tenere una disavventura del genere chiusa a chiave in un cassetto. «Invece io la voglio raccontare, il mio è un atto di denuncia. Perché quello che ho dovuto passare non succeda anche ad altri».
Come è nato il ricatto?
«Molto tempo fa su Facebook mi è arrivata la richiesta di amicizia da parte di una donna molto bella che non conoscevo. Si chiamava, o meglio, diceva di chiamarsi Maria Ottello. L’ho accettata e abbiamo cominciato a chattare».
In italiano?
«Sì. Mi chiedeva informazioni sul mio lavoro e quando gli ho detto che ero un medico, mi chiedeva consigli. Poi voleva sapere se ero sposato e cosa facevo nel tempo libero. Insomma, cose così. Un giorno mi ha cercato su skype e ho fatto una videochat di un minuto e mezzo con lei sul telefonino».
In quell’occasione si è tolto i vestiti davanti alla telecamera?
«Certo che no. Se avessi qualcosa di cui vergognarmi non starei certo a parlarne su un giornale. Non facevo niente di male, abbiamo solo chiacchierato».
Cosa è successo poi?
«Per molto tempo non l’ho più sentita. Poi un mese fa, di domenica intorno alle 14, mi è arrivato un messaggio sulla stessa chat. Diceva: “Se non vuoi che tutti i tuoi amici e i colleghi vedano questo, ci devi pagare 2.500 euro subito”. E c’erano allegati una foto e un link a un video postato su youtube. Quando li ho visti, sono sbiancato...».
Che cos’erano?
«La foto era un frame del video. Si vedeva la mia faccia, presa da quella chat su skype, montata però su un corpo nudo che non era mio ma che posizionato in quella prospettiva poteva trarre in inganno. Il video era postato su un link privato di youtube, perché solo io lo vedessi e mi spaventassi. Non solo. Mi hanno mandato anche una lista di nomi di persone a me molto vicine, aggiungendo: “Ti roviniamo la vita, tutti questi tuoi amici sapranno chi sei veramente, ti facciamo licenziare. Hai 12 ore per pagare”».
E lei come ha reagito?
«Non volevo certo pagare, però temevo davvero per la mia reputazione. Nella chat ho risposto che non sapevo come mandargli i soldi, perché di domenica le banche sono chiuse. E la loro risposta mi ha fatto gelare il sangue: mi hanno scritto l’indirizzo e l’orario di apertura di un money transfer vicino a casa mia. A quel punto ho chiamato la Polizia postale, che mi ha consigliato di non rispondergli più, avvertendo nel contempo youtube perché rimuovesse quel video».
Si sono fermati, a quel punto?
«No, anzi. Dopo un’ora e mezzo un mio amico assessore mi ha chiamato avvertendomi che era apparso sul web qualcosa di compromettente».
Cioè?
«I ricattatori avevano aperto un profilo fake col mio nome e cognome e sul diario avevano messo la foto taroccata, il link al video, delle immagini di bambini e anche delle finte prime pagine di giornale, tra cui Repubblica, con titoli inquietanti, del tipo: “scandalo al consiglio regionale”, “pedofilo italiano”. Non contenti, avevano chiesto l’amicizia ai miei amici di Facebook i quali, credendo fossi io, avevano letto quella robaccia».
Poteva sembrare uno scherzo di pessimo gusto?
«I fotoritocchi erano grossolani, certo. Ma le assicuro che non erano divertenti e potevano essere scambiati per veri. Ero molto preoccupato, perciò ho richiamato la Postale. Quando gli ho spiegato nei dettagli tutto, compresa la iniziale chat di Skype, mi hanno spiegato che il modus operandi era quello di una grossa banda di criminali ivoriani. La polizia di Perugia riceve 2-3 segnalazioni del genere ogni giorno, e purtroppo c’è poco da fare perché non riescono ad arrestarli nel loro paese. Comunque ho fatto la denuncia».
È riuscito a far rimuovere il profilo falso di facebook?
«Sì, ma solo il giorno dopo, con una lentezza inaccettabile. Per molte ore è rimasto online, nonostante avessi compilato il form per toglierlo. E non è mica finita qui».
Cos’è successo ancora?
«Durante la notte i ricattatori hanno aperto un altro profilo finto a mio nome. Naturalmente stavo sveglio a controllare e l’ho fatto rimuovere, bloccando tutti i loro contatti. La mattina dopo hanno smesso, ma non auguro a nessuno di passare una notte così».
Finita qui?
«No. Per i due giorni successivi hanno bombardato la mia casella di posta elettronica con la solita minaccia di farmi passare per pedofilo agli occhi dell’opinione pubblica. E sono sicuro che se uno è un po’ più sprovveduto o si fa prendere dal panico, finisce per pagare».
Fabio Tonacci, la Repubblica 12/9/2015