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 2015  settembre 12 Sabato calendario

ARRESTATO IL CASSIERE DEI TRAFFICANTI “COSÌ IN GERMANIA GESTISCE UN TESORO”

PALERMO.
Il segreto dei trafficanti di esseri umani che controllano la rotta mediterranea, il corridoio di mare tra il Maghreb e l’isola di Lampedusa, è nel cuore dell’Europa. In una città del sud-ovest della Germania, Worms. Qui si nascondeva Mulubrahan Gurum, cittadino eritreo di 41 anni, accusato dal Procuratore di Palermo Franco Lo Voi, l’aggiunto Maurizio Scalia e il loro pool, di essere il cassiere di Medhanie Yehdego Mered, uno dei quattro signori del traffico di migranti a Tripoli insieme ad Abdul Razak, Ermias Ghermay, Wedi Issack.
Gurum era scomparso da mesi dal centro di accoglienza di Mineo, dove risiedeva ufficialmente. Fino al 13 agosto scorso quando, a Worms, è stato arrestato dalla polizia tedesca in forza di un mandato di arresto europeo emesso a giugno dalla magistratura palermitana (operazione “Glauco II”) e grazie a una precisa indicazione degli uomini di Renato Cortese, direttore del Servizio centrale operativo della polizia.
L’arresto di Gurum, detenuto in Germania in attesa di estradizione e confermato ai giornalisti del Lena da tre diverse qualificate fonti inquirenti italiane e dal procuratore di Coblenza Mario Mannweiler («L’uomo è stato arrestato in esecuzione di un mandato europeo in un albergo di Worms utilizzato come residenza provvisoria dai richiedenti asilo») è rimasto sino ad oggi coperto per l’importanza attribuita alle informazioni che si ritiene custodisca. Al momento dell’arresto, gli sono stati infatti sequestrati un computer e telefoni cellulari, dalle cui memorie potrebbero ora emergere informazioni decisive per ricostruire non solo il dettaglio di una delle principali reti di trafficanti in Europa, ma, soprattutto, dove, in Germania, è custodito e riciclato il loro tesoro. Un tesoro di cui ha cominciato a parlare con i pm palermitani e gli uomini del capo della Mobile Rodolfo Ruperti un primo “pentito” della rete. Nuredin Atta, cittadino eritreo come Gurum. «I soldi dei trafficanti di Tripoli — ha detto Atta — non sono in Libia, ma in Germania. E a gestirli, a Francoforte, è la moglie di Ermias Ghermay, uno dei quattro principali trafficanti di Tripoli».
In Germania, dove secondo le informazioni raccolte dalla nostra polizia era arrivato a inizio anno, Gurum aveva vestito i panni del profugo in fuga da guerra e miseria. E in Germania, infatti, aveva presentato, dopo quella in Italia, una seconda richiesta di asilo politico, fornendo una falsa identità e sostenendo di avere alcuni parenti a Worms, con cui intendeva ricongiungersi. Un fatto appare certo. Gurum è la chiave per arrivare al tesoro dei trafficanti di Tripoli e ricostruire il meccanismo con cui vengono decise le partenze dalla Libia, i loro numeri, il loro ritorno economico. «Se non arriva la conferma del pagamento non possono partire», si ascolta in una delle sue telefonate intercettate con Medhanie Yedego. Perché non solo il pagamento è anticipato, ovviamente, ma soprattutto i trafficanti ne devono avere riscontro nel Paese in cui viene accreditato attraverso lo strumento della Hawala o del money transfer. Come del resto, oltre alle indagini di Polizia, conferma a Bruxelles Mirjam van Reisen, esperto del traffico di migranti di origine eritrea e direttore del think-tank “Europe External Policy Advisors” (Eepa): «I migranti versano una parte dell’importo prima del viaggio. Il resto è versato da amici e parenti nei Paesi di arrivo, attraverso servizi come Western Union o Money Gram».
Ai magistrati italiani il “pentito” Atta ha raccontato il metodo in questi termini: «Dell’importo del viaggio, tra i 2 mila e i 2.500 dollari, solo il 5 per cento viene versato in contanti in Libia. Il resto, deve essere pagato estero su estero. E per la conferma del buon esito è sufficiente un sms». Il saldo, per quello che sin qui ha potuto ricostruire l’indagine della Procura di Palermo, arriva normalmente in Paesi come Germania, Svezia, Norvegia e Inghilterra. E qui raccolto da cassieri che provvedono a riciclarlo. Nelle intercettazioni si fa persino generico riferimento a «banche internazionali», a trasferimenti «da Dubai all’Europa, così evitiamo i controlli». A cambi da dollari in euro e viceversa. E del resto quello che dice Ermias Ghermay al telefono lascia intuire di quali ordini di grandezze si parli: «Ho guadagnato così tanti soldi da vivere benissimo per 20 anni, per ogni barca che mando verso l’Italia guadagno 80 mila dollari».
C’è di più. Mentre l’Europa procede in ordine sparso e si divide sulle “quote” di migranti da accogliere in ciascun Paese membro, i trafficanti delle “quote” hanno fatto l’architrave del loro commercio. «Due barche sono di Abdul Razak — commenta Ermias Ghermay — 1.000 sono di Medhane, 1.000 non so di chi». Spiega il pentito Atta: «I quattro signori di Tripoli non sono in conflitto fra di loro, anzi collaborano». Al loro tavolo si decidono “flussi” e “quote” tenendo conto dell’andamento del “mercato” e dei rapporti di forza tra trafficanti. Oggi l’uomo più influente a Tripoli è diventato Abdul Razak. «È l’unico ad aver aperto una succursale a Bengasi», dice Atta. Accanto a lui, siedono, appunto, Ermias Ghermay, Medhanie Yehdego Mered (entrambi inseguiti da mandati di arresto della magistratura palermitana) e Wedi Issack, il più misterioso dei quattro. La qualità e lo spessore di questo cartello e fin dove l’indagine che lo riguarda possa portare (si cercano ancora le responsabilità per la strage dei 350 migranti morti nell’ottobre 2013 a largo di Lampedusa), è del resto ancora una volta nelle evidenze delle intercettazioni telefoniche. Gli uomini che lavorano con Ermias hanno il soprannome di “colonnelli”. E almeno due dei “colonnelli” di Ermias — indicati nelle conversazioni come “Yonas” e “Salomon” — vivono a Tel Aviv, piazza su cui convogliare il denaro del traffico pagato come prezzo per la traversata del Mediterraneo dei “Falasha”, come vengono chiamati gli ebrei di origine etiope in fuga dall’Africa. «Sono i clienti migliori — confida a Yonas uno dei trafficanti sulla rotta libica — Pagano di più e subito». E quando non pagano, vengono sequestrati. «Ho otto ebrei nelle mie mani — spiega Ermias Ghemay al telefono — Se vogliono che li liberi e proseguano il viaggio, voglio che i parenti in Israele paghino. Subito».
la Repubblica 12/9/2015