Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  settembre 12 Sabato calendario

FED, PREMIATI E BOCCIATI

Solo un crash estivo o una fase di ribasso destinata a durare nei prossimi mesi? Se lo chiede la maggioranza degli investitori, mentre gli specialisti si cimentano nelle più svariate interpretazioni sul crollo dei listini azionari, dominati dalle incertezze sulla vulnerabilità dell’economia cinese, in uno scenario di alta volatilità.
Molto dipenderà, nella direzione che imboccheranno i mercati finanziari, dalle decisioni che prenderà il prossimo 17 settembre la Federal Reserve e più avanti la Bce. La banca centrale Usa aumenterà i tassi, invertendo la rotta della politica monetaria espansiva, oppure rinvierà il rialzo? Quale impatto avrà la decisione sulle varie asset class? Per rispondere a queste domande, Milano Finanza ha svolto un sondaggio presso gestori, strategist e analisti, per capire quale sia la loro percezione sull’andamento dei mercati.
I risultati? Partendo dal primo quesito che è stato rivolto agli esperti, la maggioranza (il 50%) si aspetta che la Fed rinvierà la mossa a dicembre, mentre il 27% pensa che agirà già la prossima settimana. «Sebbene ci siano state richieste ufficiali di posticipare il rialzo dei tassi alla Fed alla luce della volatilità in Cina e in alcune parti dei mercati emergenti, credo che la Fed rialzerà i tassi il 17 settembre», dice Azad Zangana, economista di Schroders. Gli eventi in Cina hanno inasprito le pressioni deflazionistiche sull’economica globale e hanno peggiorato le condizioni finanziarie a causa di un dollaro più forte, mercati azionari e del credito più deboli. «Tuttavia questi sviluppi», prosegue Zangana, «vanno osservati in un contesto in cui l’economia statunitense sta attraversando una crescita continua e superiore all’andamento tendenziale e ha superato la maggior parte delle sue debolezze».
I dati del mercato del lavoro, secondo la maggior parte degli intervistati (44%) sono il fattore chiave che farà propendere la decisione della Yellen in un senso o nell’altro, dopo il recente calo del tasso di disoccupazione Usa al 5,1%. In particolare, «sarà la valutazione che l’impatto di rialzo sulle attese di inflazione, dovuto alla forza del mercato del lavoro, sia superiore agli effetti deflazionistici indotti dalle politiche monetarie delle altre principali banche centrali» sottolinea Luca Gianelle, client portfolio manager per il team multiasset di Russell Investments, «a determinare la decisione di alzare o meno i tassi d’interesse». Ma non tutti la pensano così. Per il 14% degli interpellati nel sondaggio, la Fed aspetterà il primo trimestre 2016. A questo proposito Daniele Scognamiglio, responsabile investimenti di Jci Capital, spiega: «La volatilità dei mercati innescata dalla debolezze dell’economia cinese e dalla svalutazione dello yuan, la caduta del petrolio e un dato inferiore alle attese per il mercato del lavoro Usa hanno notevolmente complicato lo scenario. La probabilità di un rialzo a dicembre 2015 rimane alta, ma mi aspetto che la Fed alzi i tassi nel marzo 2016. Ricordiamo che l’importanza del primo passo verso la normalizzazione è stata di recente molto sopravvalutata».
L’opinione condivisa dagli operatori è che le sorti dei mercati finanziari saranno determinate dalle prossime mosse che prenderà, oltre la Fed, anche in sede europea Mario Draghi, che secondo il 54% estenderà il piano di Quantitative easing oltre il settembre 2016, come già ventilato nella scorsa riunione dell’istituto centrale. L’incremento della soglia dal 25 al 33% nell’acquisto su singole emissioni e l’ipotesi dell’inserimento di nuovi strumenti nell’ambito del piano indicano la volontà di Francoforte di mantenere una politica espansiva e flessibile, per sostenere un’economia che resta fragile.
Tornando a uno scenario di breve termine, quale sarebbe l’impatto di un aumento dei tassi Usa a settembre? Il dollaro si apprezzerebbe rispetto all’euro, con il risultato di sostenere la redditività delle società di Eurolandia e di conseguenza le borse, che da qui a fine anno, hanno un potenziale di rialzo (per il 50% degli intervistati) compreso fra il 5 e il 10%; per il 18% possono salire oltre il 10%, mentre per il 23% hanno un rischio di ribasso del 5-10%. Le opinioni ribassiste sono quindi nettamente minoritarie. Fra i mercati azionari di Eurolandia, c’è chi preferisce quelli periferici, come Daniele Scognamiglio di Jci Capital, che segnala Paesi, come Italia e Spagna, «che sono in ritardo nelle fasi di ciclo economico e che dovrebbero in qualche modo risentire di meno di un calo improvviso di liquidità».
C’è invece chi è più ottimista su Wall Street. «Un aumento dei tassi», secondo Maria Paola Toschi, market strategist di Jp Morgan Asset Management, «sarebbe la conferma che l’economia Usa si sta rafforzando. Ciò potrebbe alimentare le attese di un rafforzamento del dollaro e le aspettative di un migliore profilo di crescita degli utili. I flussi di capitali potrebbero riportarsi verso i listini azionari Usa, che da inizio anno sono stati interessato da una fase prolungata di deflussi». Il 41% dei gestori ritiene probabile un incremento delle quotazioni di Wall Street dal 5% e oltre, mentre il 32% è pessimista e ipotizza un calo del 5-10%, contro il 27% che pensa che il listino a stelle strisce resterà stabile.
Sempre nell’eventualità di un rialzo dei tassi a settembre, quali asset class sarebbero più penalizzate? In questo caso l’opinione dei gestori è netta. A soffrire di più, secondo il 47% degli interpellati nel sondaggio, sarebbero i mercati emergenti. «Il rialzo dei tassi statunitensi potrebbe esercitare pressioni sull’azionario dei Paesi emergenti, sulle valute e sull’obbligazionario, per via di una riduzione della liquidità in dollari», dice lo specialista di Schroders. Dopo il difficile periodo che già stanno attraversando, gli emerging market potrebbero soffrire ancora a causa delle implicazioni dirette e indirette di un rafforzamento della valuta americana. Tuttavia una forte correzione ha già interessato sia le divise che i mercati dei Paesi meno sviluppati. La reazione successiva potrebbe quindi essere inferiore.
Anche per i mercati obbligazionari Usa la situazione non sarebbe però rosea. «Se la Fed cominciasse ad alzare i tassi, i bond Usa potrebbero cominciare a scontare uno scenario di rialzo, anche se moderato, che progressivamente potrebbe alimentare una fase di debolezza verso i Treasury», conclude Toschi.
Ester Corvi, MilanoFinanza 12/9/2015