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 2015  settembre 12 Sabato calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - LE TASSE SULLA CASA


REPUBBLICA.IT
MILANO - L’annuncio estivo di Matteo Renzi di tagliare le tasse sulla prima casa è stato seguito da riflessioni di economisti e istituzioni sull’opportunità o meno di agire su un’imposta di tipo patrimoniale, piuttosto che andare subito a cercare di tagliare il costo del lavoro o il cuneo sulle attività produttive. Da Bruxelles alla Corte dei Conti, tutti ricordano che proprio l’incidenza del fisco sul patrimonio è quella meno avversa alla crescita economica, che viceversa è zavorrata da tasse sul lavoro e sulle imprese. Ed è per questo che non sono mancate le critiche agli annunci del governo, che spera di agire - come accaduto con il bonus Irpef - sui consumi (oltre che sugli elettori).
Con l’abolizione della Tasi attesa nella prossima stabilità si andrà ad interrompere una tendenza degli ultimi lustri, cioè dello spostamento del carico fiscale verso il patrimonio. A ribadire il concetto sono oggi i calcoli della Cgia di Mestre, secondo la quale l’anno scorso le imposte patrimoniali sono costate agli italiani la cifra record di 48,6 miliardi di euro. Negli ultimi 25 anni, la loro incidenza sul Pil è raddoppiata, mentre in termini assoluti il gettito è aumentato di quasi 5 volte. Secondo l’associazione degli artigiani, se quest’anno si attende un gettito stabile, dal 2016 dovremmo registrare una decisa inversione di tendenza: "Se il governo confermerà l’abolizione delle tasse che gravano sulla prima casa, dell’Imu agricola e quella sugli imbullonati – commenta Paolo Zabeo – nel 2016 dovremmo risparmiare 4,6 miliardi di euro: vale a dire uno sconto che sfiora il 10 per cento".
La ricognizione riguarda una quindicina di ’patrimoniali’, anche se "le due imposte che gravano sulle abitazioni e sugli immobili strumentali, ovvero Tasi e Imu, garantiscono oltre la metà del gettito complessivo. L’anno scorso, ad esempio, per onorare questi due tributi famiglie, imprese e lavoratori autonomi hanno versato ben 24,7 miliardi di euro", spiega ancora Zabeo. Le imposte patrimoniali sono quelle che di fatto gravano sulla ricchezza posseduta dalle persone in un determinato momento. La ricchezza è intesa in senso ampio e comprende i beni immobili (case, terreni), i beni mobili (auto, moto, aeromobili, imbarcazioni), gli investimenti finanziari e altro.
Cgia, senza Tasi e Imu le tasse sul patrimonio giù del 10% a 44 miliardi
Le imposte patrimoniali in Italia (la crescita del gettito in valore assoluto)
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I dati storici ricostruiti in grafico mostrano due ’strappi’ che hanno radici nel rapporto tra l’Italia e l’europa: è il caso del balzo del 1992, sul quale influì anche il prelievo forzoso dai c/c deciso in una notte dal governo Amato, che a conti fatti permise al Belpaese di entrare nella moneta unica. In quel frangente, le tasse patrimoniali salirono da 11,7 a oltre 20 miliardi di euro, per un’incidenza sul Pil schizzata dall’1,5 al 2,5%. Di nuovo, nel 2012 è stato necessario il ’Salva Italia’ perché - a detta di molti falchi - il Belpaese ci rimanesse nella moneta unica e allora si è messo nuovamente mano ai patrimoni, dalle case (Imu) alle auto di lusso, con il governo Monti. Quell’anno, l’imposizione patrimoniale è cresciuta del 43% sul 2011, di 13,7 miliardi di euro (nel 2008 era stata abolita l’Ici). Venendo quindi all’ultimo assetto, in attesa della prossima Finanziaria, le imposte più pesanti per le tasche degli italiani sono l’Imu/Tasi: nel 2014 hanno garantito alle casse dello Stato e dei Comuni ben 24,7 miliardi di euro. Seguono l’imposta di bollo (7,9 miliardi di euro), il bollo auto (6,1 miliardi di euro) e l’imposta di registro (4,6 miliardi di euro).

REPUBBLICA.IT DEL 2/9
MILANO - Il de profundis delle tasse sulla prima casa sarà celebrato dal governo Renzi il prossimo 16 dicembre, con la scadenza della seconda rata della Tasi, l’imposta più odiata dagli italiani: verrà abolita dal 2016, insieme all’Imu sull’abitazione principale (per le case di lusso), quella agricola e sui macchinari ’imbullonati’ al suolo. La Tassa sui servizi indivisibili dei Comuni porta nelle casse dello Stato 3,5 miliardi di euro, lo 0,21% del Pil, ma che di fatto per le fasce più deboli della popolazione, pari al 31% dei contribuenti, era già stata cancellata. I numeri dell’Agenzia dell’Entrate lasciano poco spazio all’immaginazione: al netto degli esentati, il 30% più "povero" paga il 10,9% della Tasi (381 milioni di euro); il 30% più ricco versa il 54,9% (1,92 miliardi). Insomma se il bonus di 80 euro è stato senza dubbio di sostegno alle fasce più deboli, il taglio delle imposte sulla prima casa assomiglia piuttosto a un favore nei confronti dei contribuenti più facoltosi. Soprattutto dopo il naufragio della riforma del Catasto che - con la rimodulazione della rendite - avrebbe dovuto garantire un Fisco più equo.
D’altra parte basta ricordare che l’abolizione delle tasse sulla casa era uno dei cavalli dei battaglia del Pdl durante la campagna elettorale del 2013. E in molti avevano criticato la scelta del Pd - allora guidato da Pierluigi Bersani - di seguire il centrodestra sul suo stesso territorio. Addirittura, nel dicembre 2013, con il cambio di segreteria, il Partito democratico prendeva posizione sul tema con il responsabile economico, Filippo Taddei che diceva: "Il Pd non può passare più tempo a parlare dell’Imu che del Fisco. L’importo medio dell’imposta sulla casa era di 250 euro l’anno, parliamo di 20 euro al mese, senza dimenticare che le fasce più deboli erano già esentate". Nel frattempo, la situazione è cambiata ancora e la Uil ha calcolato che la l’importo medio della Tasi è sceso a 180 euro l’anno (15 euro al mese). La Cgia fa conteggi simili: la media dei risparmi sarà di 204 euro a famiglia, ma i più ricchi arriveranno a risparmiarne oltre 2000.
Certo in un periodo di crisi anche un piccolo aiuto può alleviare le difficoltà degli italiani, ma è più facile immaginare che a Natale siano soprattutto i più ricchi a stappare lo champagne offerto dallo Stato con il taglio delle imposte sulla casa. Gli effetti della promessa del governo non sono certo passati inosservati a Bruxelles dove il mese prossimo inizierà l’esame della manovra finanziaria italiana. Ufficialmente non è arrivato alcun commento, ma è chiaro l’Unione europea non ha intenzione di appoggiare il taglio di Tasi e Imu, perché ritiene più urgente agire sull’Irpef e sulle tasse sul lavoro. Un punto di vista condiviso anche dalla Corte dei Conti e da Bankitalia che continuano a inviare segnali d’allarme al governo.
L’analisi sulla cattiva distribuzione del peso fiscale italiano è nota, ma le parole usate dai magistrati contabili nel Rapporto sul coordinamento della finanza pubblica 2015 sono cristalline: "Il confronto con l’Europa segnala una distribuzione dell’onere fiscale che penalizza i fattori produttivi rispetto alla tassazione dei consumi e del patrimonio". Proprio quello che dice Bruxelles, che chiede a Roma meno tasse sul lavoro e di più su Iva e casa. Il raffronto dell’Italia con il resto della Ue parla chiaro: siamo al primo posto nel prelievo (implicit tax rate) sui redditi da lavoro, sette punti oltre la media, al secondo in quello sui redditi d’impresa (tre volte il livello dell’Irlanda e 10 punti oltre la media), mentre siamo ventiduesimi sui consumi (2,1 punti sotto l’Unione). Nella tassazione sugli immobili, invece siamo quarti, con un gettito pari all’1,6% del Pil: poco sopra la media Ue, ma la nostra posizione è diventata tale solo dopo il significativo aumento (+0,9 punti) ottenuto con l’introduzione dell’Imu, quindi dal 2011 in poi.

Lavoro Impresa Consumi Immobili
Aliquote implicite di tassazione: Italia-Ue (2012) - Corte dei Conti % ranking % ranking % ranking % Pil ranking
Italia 42,8 1 26,5 2 17,7 22 1,6 4
Ue 36,2 16,2 19,8 1,5
Differenza 6,6 10,3 -2,1 0,1
Ranking: posizione occupata dall’Italia nella classifica Ue per peso delle tasse
La diagnosi della Corte dei Conti, che richiama tutti i massimi organismi economici internazionali, fa da eco alla Ue: "Si tratta di evidenze che contrastano con le indicazioni delle istituzioni interne (Banca d’Italia) e degli organismi internazionali (Ocse, Eurostat, Fmi): tutti d’accordo nel disegnare la graduatoria delle imposte che più ostacolano la crescita economica (1° quelle sui redditi d’impresa, 2° quelle sui redditi da lavoro, 3° le imposte sui consumi, 4° le imposte patrimoniali) e nel suggerire uno spostamento dell’onere tributario dai fattori produttivi verso i consumi e il patrimonio". Una classifica ben presente al ministro Pier Carlo Padoan, che ne aveva fatto il suo manifesto fin dai tempi dell’Ocse. Esattamente le parole delle raccomandazioni Ue richiamate in queste ore, mentre il programma di choc fiscale triennale del governo rimanda nel tempo (al 2017 e 2018) l’importante partita del taglio delle imposte sui redditi d’impresa (la promessa è di scendere sotto la Spagna) e della revisione dell’Irpef.
D’altra parte proprio il governatore Ignazio Visco, con i suoi toni pacati, a colloquio con il Foglio nel luglio scorso rigettava l’appena annunciato taglio delle imposte sulla casa. "In generale la casa è un asset che, a livello internazionale, viene normalmente tassato. Perché è un cespite che non si sposta, e perché la casa solitamente sfrutta servizi pubblici basilari che devono essere finanziati". Per il Governatore più che un taglio servirebbe una "semplificazione" per i contribuenti. Un’urgenza già espressa nell’audizione del suo vice direttore generale in occasione della prima stesura del Def, quando benedì l’avvento della Local Tax come unione di Imu e Tasi, pur non conoscendo ancora le caratteristiche specifiche del nuovo tributo: "Sebbene una semplificazione e razionalizzazione della materia sia auspicabile, è essenziale che si giunga finalmente a un assetto permanente, dati gli alti costi dell’instabilità normativa per i cittadini e per le stesse amministrazioni".