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 2015  settembre 11 Venerdì calendario

I CAPITALI IN FUGA DAI PAESI EMERGENTI FANNO DANNI

I flussi di capitale che si stanno spostando dal mondo emergente a quello maturo, per lo più America ed Europa, sono centinaia di miliardi di dollari dall’inizio del 2015. Da un lato, nello scenario di breve termine, questo fenomeno premia la stabilità comparativa di economie inefficienti come quella europea o dagli andamenti prospettici incerti come quella statunitense, dando loro capitale aggiuntivo «esterno» a quello generato dalla postura espansiva delle rispettive banche centrali. Dall’altro, nello scenario di medio termine, tale situazione, se non riequilibrata, comporta il rischio di un eccesso di concentrazione del capitale finanziario nel sistema euroamericano e una sua scarsità nel resto del mondo. Questa eventualità è fonte di gravi rischi o in forma di bolla, poi a sgonfiamento violento, nel sistema euroamericano e/o di recessioni a catena nelle economie emergenti, la cui somma poi, via implosione della domanda globale e crisi dell’export euroamericano, destabilizzerebbe l’unico centro rimasto forte del mercato mondiale. Soluzioni? Sostenere la Cina affinché non imploda e mantenga, pur ridotto, il suo contributo alla domanda globale. Ma questo sostegno, e quello alle altre economie emergenti esportatrici, implica che America ed Europa importino da loro molto di più.
In altri termini, l’assorbimento da parte del sistema euroamericano di più importazioni sembra l’unico modo per colmare il gap di fiducia nel mercato mondiale e per ripristinare una globalizzazione diffusa del ciclo del capitale contro il rischio di quella concentrata. Nella crisi asiatica del 1997-98 il problema fu simile e la Fed lasciò basso il costo del denaro, mentre avrebbe dovuto alzarlo per frenare la bolla che stava montando, proprio per aiutare con più assorbimenti le economie esportatrici in panne. Oggi Fmi, Banca mondiale, e altri stanno raccomandando alla Fed di fare lo stesso. Probabilmente non c’è altro da fare. Ma sembra corretto segnalare che per evitare la crisi peggiore a livello globale bisognerà rischiare una crisi «minore» in termini di bolla-sbolla nel sistema euroamericano.
Carlo Pelanda, ItaliaOggi 11/9/2015