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 2015  settembre 11 Venerdì calendario

Notizie tratte da: Vittorio Da Rold, La Grecia ferita. Cronaca di un waterboarding spietato, Asterios 2015, 104 pp

Notizie tratte da: Vittorio Da Rold, La Grecia ferita. Cronaca di un waterboarding spietato, Asterios 2015, 104 pp., 10,00 €.

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• «Qualsiasi popolo che discendesse dagli antichi greci sarebbe automaticamente infelice. A meno che non riuscisse a dimenticarli o a superarli» (Nikos Dimou, L’infelicità di essere greci).

• «La prima bancarotta della storia fu quella dichiarata da dieci municipalità greche nel quarto secolo avanti Cristo. C’era un unico creditore, il tempio di Delo, il luogo di nascita del mitico dio Apollo. Dopo 24 secoli la Grecia è tornata ad essere l’epicentro del maggior bailout del pianeta».

• Tra i principali fattori della crisi del debito sovrano greco sono da annoverare «gli effetti della turbo-finanza, che hanno aiutato un piccolo paese mediterraneo di appena 11 milioni di abitanti a diventare una sorta di “Lehman Brothers” dell’Egeo, cioè a creare e occultare legalmente agli occhi degli investitori e della Ue un debito cinque volte (353 miliardi di euro, pari a 483 miliardi di dollari al cambio del 2011) quello che condusse al default l’Argentina (95 miliardi di dollari)».

• «I mali della crisi greca, e di quella europea, vengono da molto lontano. Dal 1981, quando Atene entrò nella Unione europea, che allora si chiamava Cee, e i greci cominciarono a considerare la Ue come un pozzo di denaro senza fondo, tralasciando la solidarietà e la responsabilità comuni».

• «Il 10 dicembre 1991 il Trattato di Maastricht venne approvato nella omonima cittadina olandese prevedendo la decisione di una “irrevocable monetary union”, un’irrevocabile unione monetaria senza un ministro delle Finanze centrale o un meccanismo esplicito per lasciare l’euro. Nell’euforia del momento nessuno fece caso, salvo alcuni economisti americani come Jeffrey Frankel, Kenneth Rogoff e Martin Feldstein, a questi due elementi di fragilità della costruzione europea, una moneta unica molto simile a rapporti di cambio fissi tra Stati con politiche fiscali autonome. Una costruzione molto simile a un castello di carte».

• «Il 16 settembre 1992 il meccanismo di cambi fissi, un precursore dell’unione monetaria, venne colpito dalla speculazione con la Gran Bretagna forzata ad uscirne. Il finanziere di origini ungheresi George Soros si stima che guadagnò un miliardo di dollari scommettendo contro la sterlina. Successivamente uscì dal meccanismo di cambi fissi anche la lira italiana mentre la peseta spagnola, lo scudo portoghese e la sterlina irlandese vennero svalutate. In quegli eventi non c’era forse già scritta tutta l’evoluzione successiva della crisi del 2010 dei debiti sovrani di Eurolandia?».

• «La Grecia entrò nell’Erm, il meccanismo di stabilità dei cambi, nel 1998. Il primo gennaio del 1999 l’euro debuttò con i primi 11 membri fondatori. La Grecia entrò nel convoglio dell’euro il primo gennaio 2001. A quel momento i rendimenti dei bond a dieci anni erano i seguenti: 10 anni della Grecia a 5,36%, gli spagnoli a 5,09%, gli italiani 5,16%, i tedeschi a 4,85%. Sì, qui sta la sorpresa: all’inizio dell’avventura dell’euro i tassi tedeschi erano quasi simili a quelli greci».

• «Il 24 febbraio 2015, il Financial Times metteva opportunamente in prima pagina la notizia relativa al bund a cinque anni tedesco passato da un rendimento dello 0,757% il 27 gennaio 2015 per la prima volta a un tasso di interesse negativo di -0,8%, cioè i risparmiatori avevano deciso di comprarlo pur con interesse negativo, entrando così in un mondo fino ad allora sconosciuto. (…) I bond greci a cinque anni avevano lo stesso giorno un rendimento dell’11,37 per cento. Avere la stessa moneta in tasca non significava affatto avere gli stessi tassi di interesse sul debito: questa era l’amara lezione di Maastricht, 24 anni dopo. Lo spread sui tassi si era sostituito al differenziale sui cambi».

• «Tutti sapevano che la piccola Grecia non era idonea ad entrare nell’euro eppure venne fatta entrare proprio, secondo Rogoff [Kenneth Rogoff, economista americano – ndr], su pressione della Francia. Non solo. Le banche francesi e tedesche finanziarono a piene mani i consumi a credito delle famiglie e imprese e le spese pubbliche di Atene confidando che gli altri paesi europei sarebbero accorsi in suo aiuto, come puntualmente avvenne».

• «Fra i paesi che avevano chiesto l’adesione alla moneta unica sin dal suo esordio, la Grecia era l’unica che non rispettava nessuno dei criteri stabiliti (Belgio e Italia non ne rispettavano solo uno, quello del debito non superiore al 60%); Atene fu comunque ammessa due anni dopo, il 1º gennaio 2001, e l’introduzione fisica della nuova valuta nel paese avvenne contemporaneamente rispetto agli altri undici paesi, il 1º gennaio 2002».

• «In un’intervista al quotidiano tedesco Der Tagesspiegel, alla domanda se fare entrare Atene nell’euro sia stato un errore Prodi ha risposto: “Non parlerei di un errore, è stato fatale solo che non ci fossero controlli sul bilancio. C’erano prima ma non dopo l’ingresso nell’euro. Italia, Germania e Francia hanno voluto così. Nel 2003, da Presidente della Commissione europea, io mi sono impegnato strenuamente per fare in modo che vi fossero dei controlli seri dei bilanci, anche subito dopo l’ingresso nell’euro. Non dimenticherò mai il momento in cui il cancelliere tedesco Gerhard Schröder e il presidente francese Jacques Chirac, durante la presidenza italiana, dissero che avrei dovuto tacere. Poiché non si riteneva opportuno verificare i numeri, la Grecia ha sempre imbrogliato”».

• «Le olimpiadi del 2004 furono l’inizio della fine, il canto del cigno dell’economia greca drogata da prestiti a basso interesse in un momento di crescita globale. Ma le avvisaglie della crisi erano già visibili a chi avesse voluto vederle. Dopo appena un decennio molti ateniesi oggi le chiamano le moderne rovine greche, intendendo gli stadi, i villaggi atletici e le aree attrezzate per i cento sport particolari delle competizioni come kayak, pallavolo, tiro con l’arco e altre simili amenità che dalla fine dei giochi sono chiusi al pubblico da cancelli con catene arrugginite in un mare di erbacce, a futura memoria degli sprechi delle olimpiadi greche che precipitarono il paese agli inferi dei debitori».

• «Il New York Times ha evidenziato come Goldman Sachs, attraverso una serie di meccanismi swap, ha permesso alla Grecia nel 2001 di ipotecare alcuni settori della propria economia, oscurando legalmente così parte del debito alla Commissione europea e a Eurostat. Queste operazioni sofisticate di ingegneria finanziaria infatti non appaiono come prestiti bancari ma come vendite con pagamenti differiti. (…) Ma il New York Times dice anche che il premier greco Giorgos Papandreou a novembre 2009, tre mesi prima che il paese diventi l’epicentro della crisi dei debiti sovrani nell’eurozona, ha rifiutato di continuare con le pratiche contabili proposte dal presidente Gary D. Cohn di Goldman Sachs, giunto ad Atene di persona per proporre un altro di questi meccanismi che abbelliscono il bilancio. È l’inizio della fine».

• «Il 26 febbraio 2010 il quotidiano finanziario americano Wall Street Journal informava i suoi numerosi lettori di una cena privata svoltasi nella sede di una banca d’affari a Manhattan nella quale alcuni hedge fund, cioè fondi di investimento ad alto rischio, tra cui Sac Capital Advisors Lp e Soros Fund Management Llc, si sono seduti a cena per discutere l’attacco all’euro attraverso la Grecia. L’idea era di speculare sul cambio visto che l’euro era a dicembre 2009 a 1,51 contro dollaro, e a quell’epoca a 1,355. La proposta dei finanzieri era di indebolire l’euro e condurlo verso la parità, scommettendo anche venti volte il capitale posseduto attraverso meccanismi di leva finanziaria, su questo obiettivo puntando sulle debolezze della Grecia, l’anello debole dell’area euro».

• Stando a quanto sostiene Lorenzo Bini Smaghi, ex membro del comitato esecutivo della Bce, «la cancelliera tedesca Angela Merkel ha continuato a pensare che la Grecia avrebbe potuto essere fatta uscire dall’euro senza rischi fino all’inizio dell’autunno 2012, salvo poi essere riportata a più miti consigli dalla stessa Bundesbank di Jens Weidmann, il quale le fece notare i 574 miliardi di euro di crediti che vantava verso le banche centrali di Grecia, Portogallo, Irlanda, Italia, Cipro e Slovenia attraverso il programma Target2. Debiti che, in caso di default di uno di questi paesi, sarebbero rimasti a carico delle banche tedesche esposte con il rischio di far ricadere la valanga sulle spalle dei contribuenti di Berlino. (…) A quel punto la cancelliera venuta dall’Est ha prontamente invertito la rotta, correndo ad Atene per sostenere il nuovo governo guidato da Antonis Samaras e i suoi sforzi».

• In pochi anni, il possesso di titoli greci da parte delle banche tedesche è crollato «dai 45 miliardi del 2009 ai 13,5 miliardi del 2014. Ancora più giù le banche francesi: da 79 a 2 miliardi. Quelle italiane sono passate da 7 a un miliardo. A questo calo dell’esposizione delle banche europee private ha fatto da contraltare l’aumento dei crediti statali: tutti partiti da quota zero nel 2009, Berlino è arrivata a 62 miliardi, Parigi a 46,5 miliardi e Roma a 41 miliardi. Come è stato possibile questo scambio della staffetta nella corsa al debito? È l’effetto del peso dei singoli Stati all’interno delle istituzioni pubbliche creditrici: perché i saldi nazionali, oltre i finanziamenti bilaterali, includono le garanzie statali al fondo di salvataggio Efsf e il pro quota dei titoli greci comprati dalla Banca centrale europea. Così, nel passaggio dalle banche ai bilanci pubblici, la metamorfosi del debito greco è stata anche nazionale».

• «Chi ha vinto e chi ha perso in questa trasformazione? L’esposizione francese è scesa da 79 a 48,5 miliardi, quella italiana invece è cresciuta da 7 a 42 miliardi (+500%). In salita (ma meno) anche il credito tedesco: da 45 a 75,5 miliardi (+68%). In sostanza nel 2009 gli Stati avevano zero crediti e le banche 153 miliardi di euro, nel settembre 2014 gli Stati vantavano 204 miliardi di euro di crediti e le banche appena 18 miliardi di euro. “Noi abbiamo preso un’esposizione che non avevamo, mentre i tedeschi e i francesi hanno semplicemente rimescolato tra privato e pubblico una presenza che già avevano”, osserva Luca Mezzomo, economista di Intesa Sanpaolo».

• «Non a caso l’allora ministro delle Finanze Giulio Tremonti del governo Berlusconi era contrario all’epoca a salvare la Grecia in base al Pil dei paesi europei, ma aveva proposto di usare il criterio di esposizione bancaria per ciascuna nazione. Proposta bocciata senza riserve da Francia e Germania all’unisono». Secondo Tremonti, infatti, alla fine è stata proprio l’Italia, «attraverso il fondo salva-Stati, poi diventato fondo salva-banche, a salvare la Germania e la Francia insieme, esposte com’erano con Grecia, Spagna e via discorrendo, di cui avevano acquistato pacchetti di strumenti derivati. Ricordo che, al top della crisi di questi paesi, l’Italia era esposta a rischio per 20 miliardi di euro con la Grecia, mentre Germania e Francia erano esposte, ciascuna, per 200 miliardi di euro. Capite? La proporzione era questa. Il nostro sistema bancario era più sano ed è stato chiamato a tamponare le falle altrui. Noi abbiamo frenato, all’epoca, perché non ci sembrava corretto essere coinvolti oltre il nostro margine di esposizione, così da fare da salvagente ad altri e rischiare noi. Motivo per cui siamo stati messi alla gogna».

• «Che qualcosa sia andato storto nel salvataggio della Grecia lo pensano in molti. Al punto che lo ha ammesso anche il Fondo monetario internazionale, uno dei tre partecipanti alla cosiddetta Troika [insieme a Ue e Bce – ndr], l’organismo di controllo in rappresentanza dei creditori internazionali. (…) Anche l’Fmi dunque punta il dito sui tempi e i modi di un salvataggio che invece di permettere alla Grecia di fare un haircut [taglio del debito – ndr] volontario ed ordinato nel 2010, come poi avvenuto nel 2012 ma a costi maggiori, è stata salvata senza taglio del debito per consentire alle banche francesi e tedesche di liberarsi dei bond greci che avevano in pancia».

• «“L’Europa nella sua infinita saggezza ha deciso di affrontare questo fallimento caricando il più grande prestito nella storia umana sulle spalle più deboli, quelle del contribuente greco. Quello che abbiamo ottenuto è stato un waterboarding fiscale, un tentativo di soffocamento fiscale”, ha detto in modo colorito il ministro delle Finanze greco, Yanis Varoufakis, del governo di Syriza. Non solo. “Il governo ha tagliato i salari di un terzo in cinque anni. Il settore pubblico ha ridotto i dipendenti di 170.000 unità. La paga media è scesa del 22,5 per cento. Nonostante tutto questo il debito pubblico è aumentato dal 157% del 2012 al 182% del 2014”. Un completo disastro che si spiega solo con il tentativo della Troika di pagare i debiti nel modo più rapido possibile disinteressandosi degli effetti sociali dell’austerità e della sua ingiusta ripartizione sulle spalle dei soliti noti, pensionati e dipendenti, tralasciando autonomi e oligarchi».

• «Il premier greco, Giorgos Papandreou, si reca al vertice di novembre 2011 del G20 a Cannes e propone un estemporaneo referendum sull’accordo appena siglato a Bruxelles, in pratica sulla permanenza dei greci nell’eurozona. Il presidente francese, Nicolas Sarkozy, si infuria e tra i due volano insulti. Alla fine secondo la ricostruzione del Financial Times il presidente della commissione europea José Manuel Barroso si incarica, a titolo personale, di risolvere l’impasse. (…) Sette giorni dopo Papademos [Lucas Papademos, ex vice presidente della Bce – ndr] era il nuovo premier greco. Un “tecnico”, frutto di un accordo tra un ministro delle Finanze del Pasok, il leader dell’opposizione greca fino a quel momento ostile alle politiche propugnate dalla Ue e pochi leader europei, sostituì un primo ministro democraticamente eletto, il quale voleva sentire la voce del popolo attraverso un referendum sulla permanenza o meno nell’euro».

• Al G20 di Cannes del novembre 2011 «l’euro è andato molto vicino alla rottura. E il culmine è la scena in cui il presidente Barack Obama prende il sopravvento e dice agli europei cosa devono fare, facendo scoppiare in lacrime la cancelliera Angela Merkel: “Ich bringe mich selbst nicht um” (“Non voglio suicidarmi”). Questo è stato uno dei tre episodi (maggio 2010, decisione del primo piano di crediti, novembre 2011, congelamento del referendum di Papandreou, e luglio 2012, intervento di Mario Draghi a Londra) in cui senza misure drastiche l’eurozona si sarebbe frantumata».

• «Il 26 luglio 2012 il presidente della Bce, Mario Draghi, dice a Londra che la Bce farà qualsiasi cosa necessaria per proteggere l’euro: “All’interno del nostro mandato, la Bce è pronta a fare tutto quanto è necessario per preservare l’euro. E credetemi, sarà abbastanza” (“Within our mandate, the Ecb is ready to do whatever it takes to preserve the euro. And believe me, it will be enough”). Successivamente Draghi lancia l’Omt (Outright Monetary Transactions), il programma di acquisto illimitato di titoli di Stato in cambio di riforme il cui solo annuncio ha contribuito in maniera determinante a calmare le acque sul mercato del reddito fisso. È uno dei passaggi chiave delle crisi dei debiti sovrani e dell’euro».

• Uno dei primi propositi dichiarati dal nuovo governo di Alexis Tsipras, uscito vincitore dalle urne il 25 gennaio 2015 alla guida del partito della sinistra radicale Syriza, fu quello di riassumere «dai 2.500 ai 3.500 lavoratori del settore pubblico licenziati con grande difficoltà dal precedente governo, tra cui un manipolo di donne delle pulizie al ministero delle Finanze diventate una specie di simbolo della svolta sociale. Il nuovo ministro delle Finanze Yanis Varoufakis lo dice chiaro: “Penserò soprattutto a chi ha perso il lavoro come le donne delle pulizie al ministero delle Finanze e non agli spread”. È il segnale della necessità politica di verificare la sostenibilità sociale delle misure di austerity che non possono essere più considerate come “effetti collaterali”. Le 600 donne delle pulizie del ministero delle Finanze greco, licenziate in tronco, hanno iniziato un contenzioso durissimo con proteste quotidiane condotte ogni volta che l’ex ministro delle Finanze, Yannis Stournaras, poi diventato governatore della Banca centrale, si presentava in pubblico, subendo però la dura reazione della polizia. Una vicenda che ha diviso l’opinione pubblica diventa un simbolo della resistenza alle politiche della Troika e del ministro Stournaras, e ha fatto dire al giornalista Panos Polyzoidis: “Le donne delle pulizie sono il Vietnam del governo”».

• «La fine dell’alternanza dinastica greca rappresenta uno spartiacque nella vita politica greca con la rottamazione della vecchia classe dirigente. Dal 1974, data della caduta del regime dei colonnelli, si alternano due grandi partiti: il conservatore Nea Dimokratia e il socialista Pasok, guidati da eredi di famiglie che hanno scritto la storia del paese. Si tratta di quello che viene definito bipartitismo dinastico. Dal 1944 la famiglia Papandreou ha fornito al paese ben tre premier: Georgios Papandreou, suo figlio Andreas e suo nipote Giorgos. Stessa situazione nell’area conservatrice, dove Constantinos Karamanlis diviene premier e poi cede lo scettro al nipote omonimo, che perde le elezioni nel 2009. L’altra famiglia è quella dei Mitsotakis, che si alterna nell’area conservatrice con i Karamanlis. Insomma sono tre le famiglie che come fossero dinastie reali si contendono il ruolo di primo ministro. L’ingresso di Syriza mette fine al duopolio delle dinastie familiari, che contano le ferite. Il 25 gennaio 2015 per la prima volta un membro della dinastia dei Papandreou non entra in Parlamento perché il suo partito non supera seppur di poco la soglia di sbarramento».