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 2015  settembre 11 Venerdì calendario

TASSA DI SOGGIORNO

Il vantaggio sarebbe non secondario: aumentare le tasse soprattutto a chi non vota in Italia, e cioè i turisti stranieri. La difficoltà sta nel convincere due categorie, sindaci e albergatori, molto sensibili all’argomento. Il rischio quello di mettere il bastone fra le ruote a un settore, il turismo, decisivo per i segnali di ripresa arrivati nelle ultime settimane. Il governo studia una stretta sulla tassa di soggiorno, l’imposta che paga chi dorme in hotel.
In questi giorni c’è stato un primo incontro fra i tecnici dei ministeri di Beni culturali ed Economia. Le ipotesi sul tavolo sono ancora diverse, ma l’obiettivo è chiaro: tirar fuori più soldi da una tassa che finora non ha funzionato. Oggi è applicata in pochi Comuni, 650, neanche uno su dieci. E porta nelle casse dei sindaci 270 milioni di euro l’anno. Briciole in un’epoca di tagli. Un aumento del tetto massimo — oggi fissato a 5 euro per notte a persona, con l’eccezione di Roma che arriva fino a 7 — è tra le ipotesi sul tavolo. Ma ha poche possibilità di riuscita perché già oggi la nostra tassa di soggiorno è molto pesante. A Parigi, solo per fare un esempio, non si va oltre un euro e 50 per notte. Piuttosto si studia un incentivo (fiscale) che spinga verso la tassa di soggiorno anche quelle città che finora hanno detto no. E si pensa di slegare la tassa dal numero di stelle dell’albergo, fissando un importo in percentuale sul costo della camera, come avviene oggi in Olanda.
C’è poi un problema da risolvere. Negli ultimi mesi sono in aumento i casi di «evasione» della tassa di soggiorno. In hotel l’imposta si paga separatamente dal conto. E se il cliente non la vuole saldare l’albergatore non lo può obbligare. L’idea è recuperare i soldi evasi dai turisti direttamente dall’hotel, che a quel punto avrebbe tutto l’interesse a trasformarsi in esattore per conto del Comune. Un’idea che piace al ministero dell’Economia ma meno, molto meno, a quello dei Beni culturali. In ogni caso la stretta non servirebbe a compensare i sindaci dai soldi che l’anno prossimo non avranno più da Imu e Tasi sulla prima casa, che il governo ha promesso di abolire. I due piatti sulla bilancia sono troppo diversi. Se la tassa di soggiorno vale 270 milioni di euro, Imu e e Tasi valgono 3,5 miliardi. Pareggiare i conti significherebbe moltiplicare la tassa di soggiorno più di dieci volte. E l’ipotesi non è presa in considerazione nemmeno dal più feroce custode dei conti pubblici. L’idea è trovare altre risorse per le politiche nazionali sul turismo e sulla cultura. Tenendo presente che il presidente del consiglio ha promesso una legge di Stabilità che taglierà le tasse. E difficilmente darà il suo ok politico a qualche segnale che vada in direzione contraria.