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 2015  settembre 10 Giovedì calendario

OGNI GIORNO BUTTIAMO UN MILIONE E 300 MILA CHILI DI PANE INVENDUTO. POTREMMO RIEMPIRE, SEMPRE AL GIORNO, LO STADIO OLIMPICO DI MICHETTE

Oggi sono felice: scrivo di pane. In una recente udienza, Papa Bergoglio, dopo un attacco al modello capitalistico (Santità, meglio precisare «versione bastarda» del capitalismo classico che, mi creda, è tuttora l’insuperato modello di crescita economica dell’uomo), ha detto: «Sono rattristato quando vedo gente che non ha la dignità del lavoro e non può portare il pane a casa». Essendo venuto dal barrio, non poteva conoscere la manipolazione alle quali noi cittadini siamo stati sottoposti dalle élite. Hanno associato il pane alla povertà, per cui la sua assenza dal desco ora significa ricchezza, mentre in passato la sua presenza significava povertà. Capito la genialata?
A proposito di pane, grazie all’amico Stefano Lorenzetto, il grande italiano che ha scoperto oltre «700 grandi italiani sconosciuti», ho letto di Eugenio Pol (discendente del mitico Marco Polo, col dubbio se Pol sia un apocope, o al contrario, i Polo divennero tali aggiungendosi furbescamente una «o»). Stefano lo definisce «padre del lievito madre», giusto, perché il pane o è figlio del lievito madre o non è pane. Nel ’90, Pol era gestore di un’osteria a Varallo Sesia (oggi vive a Fobello), decide di farsi il pane (all’antica) partendo da farine biologiche macinate a pietra dal mugnaio Renzo Sobrino di La Morra, Cuneo (un altro «grande italiano sconosciuto»), e da lievito madre. Oggi è il panificatore italiano di qualità numero 1, vende il suo pane perfino in Giappone.
Noi italiani, da perfetti idioti, ci vantiamo di essere scesi al 19° posto come consumatori di pane, immaginando così di essere diventati ricchi e civili. Consumiamo poco pane, per più motivi: a) ridicole teorie sanitario-markettare; b) qualità spesso orrenda; c) ruolo della grande distribuzione; d) legislazione manipolata dalle lobby. Vediamo il «giochino» del pane destinato alla grande distribuzione (40% del totale). Il contratto (capestro?) prevede che i panificatori debbano fornire pane per garantire l’assortimento completo fino alla chiusura serale. Giusto, però la Grande Distribuzione (posizione dominante) paga solo il «venduto» (rispetto all’ordinato, il reso arriva anche al 30%, quindi il modello di business imposto ai panificatori è fallimentare (devono pure ritirare a loro spese l’invenduto). Il pane, come prodotto di giornata, alla mezzanotte, per legge è un «rifiuto da smaltire». Destinarlo ai poveri, venderlo agli allevatori? Teoricamente possibile, non praticabile. La legge impone analisi Asl, insaccamento, etichettatura, etc., per esempio, le Associazioni benefiche non lo ritirano neppure gratis, costa meno comprarlo fresco. Così giornalmente buttiamo nella spazzatura un milione e 300 mila chili di pane, potremmo riempire lo stadio olimpico ogni giorno di michette. Mi dicono, è tutto legale, sarà, ma provo lo stesso ribrezzo.
Con questo modello di business, stante che il prezzo lo fissa il mercato (pardon, la Grande Distribuzione), i panificatori, per ricuperare il costo dell’invenduto, devono intervenire sulla qualità. Nasce il «simil pane»: a) «buttare» lievito di birra a tavoletta, per ridurre i tempi di panificazione e l’impiego di personale; b) usare farine orfane, importando dall’Est pure semilavorati congelati (500 mln /anno l’esborso) che restano in frigo-magazzini per mesi. Da questo sconcio legale chi è il gabbato? Il consumatore finale che paga a caro prezzo un prodotto scadente e indigeribile, seppur commestibile, e nel nome del quale il sistema politico-industrial-mediatico sostiene di operare sempre e solo nel suo esclusivo interesse.
La parola ora al solo che di pane può parlare, Eugenio Pol. «Il mercato richiede il pane bianco, un insulto alla natura e alla salute. Il grano non è bianco, per farlo apparire tale ci vogliono il bromato di potassio o il diossido di cloro, mentre sul campo per farlo maturare in anticipo, si mette il bromuro di potassio. Per completare l’opera distruttiva, nel panificarlo si usa il lievito di birra anziché il lievito madre. Perché lo usano? Utilizzando farine ricavate da cariossidi troppo secche, alle quali è stato asportato il germe, cioè la parte più ricca di enzimi, per gestire una lievitazione acida devono intervenire col lievito di birra». E il festival della manipolazione continua, però tranquilli, è tutto legale. E curiosamente è ancora commestibile.
Gesù parlava spesso di pane e di vino. A «simil pane» e a «simil vino» (fatto senza uva) però neppure Lui aveva pensato. Attendo di assaggiare (sputandolo immediatamente) il pane made in Ttip , chi sa mi anticipa, sarà tutto legale e commestibile, certo, ma provo lo stesso ribrezzo.
Riccardo Ruggeri, ItaliaOggi 10/9/2015