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 2015  settembre 05 Sabato calendario

GAS, IL PESO GEOPOLITICO DELLA SCOPERTA ENI IN EGITTO

Non è solo una questione energetica. L’enorme giacimento di gas scoperto dall’Eni a 100 chilometri dalle coste egiziane, oltre a produrre rilevanti effetti per la società guidata da Claudio Descalzi, rappresenta uno strumento con cui l’Italia può, finalmente, tornare a fare politica estera nel Mare Nostrum, cambiando lo scenario geopolitico, e può occupare una casella importante nella tecnologia industriale avanzata. Nel primo caso, grazie alla scoperta Eni, l’Egitto potrà raggiungere l’autosufficienza energetica per i prossimi decenni. Un’indipendenza che, oltre a rendere più forte l’industria del paese rafforzando quella crescita economica che è un antidoto naturale all’avanzata dell’estremismo islamico, può stabilizzare politicamente tutta l’area. Il Cairo, infatti, rafforzerà il suo ruolo regionale e il fatto che il giacimento di Zohr sia al 100% di Eni, che opera in Egitto da sessant’anni, attribuisce di conseguenza all’Italia un ruolo fondamentale nel Mediterraneo. In primo luogo, nella mediazione tra il Cairo e Gerusalemme, i cui complicati rapporti in campo energetico (e non solo) sono testimoniati dall’attuale chiusura del gasdotto che collega i due Paesi. Poi negli equilibri su Leviathan, ora il secondo giacimento del Mediterraneo, conteso proprio da Israele (che ha sopportato i costi di estrazione), Libano, Siria e Cipro. Con i lavori al momento paralizzati, infatti, la scoperta di Zohr spariglia le carte. Senza dimenticare che nella confinante Libia, dove l’Egitto ha interessi rilevanti e appoggia il governo di Tobruk, l’Italia - che ha tutto l’interesse a trovare una pacificazione - dispone adesso di maggiori capacità di pressione. Tra l’altro, non è un caso che l’ultima scoperta dell’Eni in Libia risalga a solo due mesi fa, segno che l’azienda, l’unica rimasta nel Paese, crede ancora nei rapporti con Tripoli. E meno male, perchè sarebbe un disastro buttare alle ortiche decenni di relazioni. Insomma, un nuovo giacimento da 850 miliardi di metri cubi di gas dai bassi costi di estrazione e dai rendimenti potenzialmente alti non è solo un modo per liberarci (parzialmente) dalla dipendenza dal gas russo, accrescere il prestigio dell’Eni o rimettere in moto l’impianto di Damietta. Finita la stagione dell’interventismo Usa, è uno strumento con cui l’Italia può ri-equilibrare la caotica situazione nel Mediterraneo, a cominciare proprio dai temi energetici, assumendo un nuovo ruolo strategico. Magari facendosi promotrice di un’iniziativa diplomatica per stabilizzare le forniture di gas nel Mediterraneo e per normalizzare i rapporti energetici tra Egitto e Israele. Ma c’è anche una valenza industriale nella scoperta di Zohr che può aprire nuove frontiere. L’Eni ha trovato il gas laddove in precedenza non si riusciva perché ha perfezionato un metodo di ricerca che potrà essere esportato nella esplorazione del sottosuolo di altre parti del mondo (per esempio gli oceani). Know how che altri non usano, tanto che, a differenza degli altri, l’Eni scopre più idrocarburi di quanti ne consumi (10 miliardi di barili di risorse in 7 anni), essendo anche diventata la maggiore compagnia presente in Africa (a proposito, Descalzi aveva annunciato di volerci puntare fortemente: missione compiuta). Per questo il giacimento egiziano è anche una grande opportunità per la creazione di un forte indotto made in Italy. E adesso che a nessuno venga in mente di vendere il 5% dell’Eni solo per racimolare qualche spicciolo.