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 2015  settembre 05 Sabato calendario

IL RITORNO DEL PADRE DI AYLAN IN SIRIA «HO RIPORTATO I MIEI FIGLI A CASA LORO»

ISTANBUL Adesso che il piccolo Aylan e il suo fratellino Galip non ci sono più, come pure la loro mamma Rehan, Abdullah Kurdi vuole solo restare a Kobane a vegliare sulle loro tombe. Il padre del bimbo che con la sua foto dopo l’annegamento è diventato il tragico simbolo della crisi umanitaria dei migranti è tornato ieri nella martoriata città curdo-siriana, simbolo mondiale della resistenza all’Isis, per seppellire la sua famiglia.
IL VIAGGIO
Un drammatico viaggio a ritroso che mai avrebbe voluto fare, ma che ora diventa il suo punto d’arrivo. Perché, racconta il fratello Suleiman, lui «voleva andare in Europa solo per il bene dei suoi figli». A Kobane c’è arrivato accompagnato da una delegazione di deputati turchi, e da lì non si muoverà più. Ora Abdullah non è più in cerca di un altro futuro: «Mia sorella vive in Canada. Le
autorità canadesi mi hanno chiamato per chiedermi se volevo seppellire mia moglie e i bambini in Canada, ma non ho accettato» aveva spiegato. Era perché sapevano di poter contare sull’appoggio della sorella che Abdullah, con sua moglie e i suoi bambini, aveva deciso di affrontare un viaggio di mesi. Tutta l’estate, e poi il tragico epilogo nelle acque davanti a Bodrum, in Turchia.
«Voglio seppellirli a Kobane» ha detto ancora Abdullah, distrutto dal dolore. E così è stato ieri per Aylan, 3 anni, Galip, 5, e la loro mamma. Ad accoglierne le spoglie è la polverosa terra battuta del Cimitero dei martiri, chiamato così per ragioni diverse eppure tremendamente appropriato al loro destino.
LA DISPERAZIONE
«Pagherò il prezzo di tutto questo per il resto della mia vita», ha detto Abdullah, sopravvissuto al naufragio, portando a braccia i corpicini dei suoi figli fino alla loro tomba. Da Kobane erano fug-
giti insieme a giugno, dopo che l’Isis era tornato ad attaccare la comunità capace di sconfiggerlo a gennaio, al termine di mesi di combattimenti.
Le controversie irrisolte con le autorità canadesi, che hanno negato di aver ricevuto una richiesta formale di asilo dalla famiglia di Abdullah e spiegato di aver registrato solo quella di un altro suo fratello, per lui sembrano ormai contare poco. Anzi, nulla.
OLTREOCEANO
Non andrà Oltreoceano nè tornerà in Turchia, dove pure gli sarebbe stato offerto riparo. Quello che gli importa, invece, è che la morte dei suoi piccoli serva almeno a scuotere le coscienze di chi, in un modo o nell’altro, avrebbe potuto evitarla: «Voglio che i governi arabi non i Paesi europei vedano i miei bambini, e grazie a loro aiutino le persone».
Ma oggi quell’immagine continua a interrogare proprio l’Europa, che sembra ancora non sapere come rispondere alla speranza di Abdullah: «Vorrei almeno che i miei figli fossero gli ultimi a morire in questo modo». Non sarà così, ma la storia di Aylan non solo una fotografia, ma il poter ricostruire quale dramma ci
fosse dietro ha perlomeno scosso tante coscienze e aperto gli occhi di chi ancora non voleva vedere il martirio del popolo siriano, straziato da anni dalla guerra civile. La tv panaraba al-Arabiya ha trasmesso in diretta le immagini della sepoltura dei corpi, una cerimonia sobria e struggente. E tutti, nel mondo, hanno così potuto vedere le immagini della cerimonia, che poi sono state girate sul web, e la desolazione del posto, un deserto che è diventato terreno di scontri e di morte.