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 2015  settembre 05 Sabato calendario

SUPERSTIPENDI DA 300MILA EURO L’ANNO E ZERO CONTROLLI SU BILANCI E PATRIMONIO

ROMA Sono l’altra casta i sindacati. Perfino più vorace di quella rappresentata dal ceto politico. Perfino più impenetrabile del Palazzo dei partiti, per quanto riguarda i bilanci, gli stipendi, le prebende, i favoritismi interni e corporativi, le manchevolezze nei confronti dello Stato costretto a risparmiare e a tagliare tutto a tutti mentre la casta sindacale come un corpo a sè si auto-governa, si auto-premia e si crogiola usque tandem? nel proprio mondo a parte ben remunerato tra stipendi e pensioni.
Il reddito dei sindacalisti, per esempio, è uno dei punti oscuri di questa storia italianissima. L’unico modo di saperne qualcosa è che qualcuno che li conosce davvero si decida a parlarne. Così è avvenuto venti giorni fa a Fausto Scandola, iscritto alla Cisl dal 1968 (e ora espulso), che ha pubblicamente chiesto alla sua organizzazione come possano davvero dirsi rappresentanti dei lavoratori dei dirigenti sindacali – dei quali ha fatto nomi e cognomi – che, sommando compensi per il proprio ruolo e quelli per incarichi ricoperti grazie al proprio ruolo, arrivano a sfiorare i 300 mila euro lordi di reddito annuo. Il che significa più del Capo dello Stato italiano, ovviamente più di Barack Obama. E più del massimo consentito per legge a qualunque dirigente pubblico. Ma soprattutto, 15 volte di più rispetto al reddito medio degli italiani.
RICHIESTE
Ogni tanto, qualcuno osa a chiedere chiarezza, ma il muro di gomma sindacale assorbe tutte le velleità di certificazione. Matteo Renzi sembra insistente su questo tema, o almeno ci prova e ci riprova a sbrecciare quel muro. Con dichiarazioni così: «I sindacati mettano on line le spese che hanno, esattamente come fanno tutti gli altri». Ma Cgil, Cisl e Uil e le altre sigle e siglette non ammettono intrusioni di sorta. La cifra più accreditata dice che i tre sindacatoni valgono complessivamente due miliardi di euro all’anno. Ma le stime sono difficili, causa non trasparenza del sistema di casta. Quanto agli stipendi, ogni tanto negli anni le confederazioni hanno dichiarato delle cifre di compenso dei massimi dirigenti. Fino ai tempi di Epifani segretario della Cgil, la sua retribuzione mensile lorda dichiarata era di poco superiore ai 3 mila euro (netti) e la dozzina di membri della segreteria nazionale confederale sotto i 3 mila euro. Leggermente superiore quella di Angeletti alla Uil, e dei suoi membri della segreteria rispetto a quelli Cgil. Mentre il capo della Fiom, Landini, ancora oggi starebbe sotto i 3 mila euro.
La vicenda del predecessore della Furlan, Raffaele Bonanni, è paradossale. E’ stato travolto proprio dall’emergere della incredibile crescita della sua retribuzione negli ultimi 5 anni di guida della Cisl. Bonanni è andato a casa e sparito in silenzio, dopo che dai 118 mila euro lordi del 2006 passò vertiginosamente ai 336 mila dell’ultimo anno di leadership del sindacato. E naturalmente facendo media piena a fini previdenziali degli ultimi 5 anni di maxi-salari, perché non soggetto alla riforma Dini né Fornero e potendo contare su pensione pienamente retributiva.
Nessuna trasparenza, ad esempio, sui nomi dei 17.319 sindacalisti che hanno beneficiato della norma contenuta nel decreto 564 del 1996, sulle cosiddette ”pensioni d’oro”. Il problema generale è che in Italia e la colpa è della politica ci si è ben guardati dall’attuare l’articolo 39 della Costituzione, disciplinando cioè per legge i diritti ma anche i doveri dei sindacati, tra cui il rispetto pieno della democrazia interna e gli obblighi di trasparenza finanziaria. E così, i sindacati nel nostro Paese sono praticamente associazioni private, non tenute a redigere un bilancio consolidato nazionale, né economico né patrimoniale. Il patrimonio dei sindacati è gigantesco ma può soltanto essere ipotizzato senza allargarsi troppo: oltre diecimila immobili tra Cgil, Cisl e Uil.
IL MODELLO
Tutta questa oscurità, a fronte di consistenti finanziamenti pubblici. Circa un miliardo e mezzo di euro all’anno. E pensare che, di fronte a tanta generosità di Stato, i sindacati per di più allo Stato tolgono altri soldi attraverso i permessi sindacali. Un privilegio a cui si è finalmente, in parte, messo mano, ma che nel 2010 è costato secondo una rilevazione della Corte dei Conti un ammanco di 151 milioni di euro nel settore pubblico.
Qual è l’alternativa, a questo regime di pazzesca discrezionalità difeso con le unghie proprio dai sindacati che gridano ogni giorno per la mancata trasparenza delle imprese e della pubblica amministrazione? Gli esperti sostengono che l’alternativa sia il modello britannico. Nel Regno Unito un organo pubblico, il Government Certification Officer, ha il compito di tenere ufficialmente gli elenchi degli iscritti a sindacati e associazioni datoriali. Annualmente i lavoratori e i cittadini britannici sanno tutto delle retribuzioni di migliaia di sindacalisti. Ma è la Gran Bretagna, bellezza, e noi non possiamo farci niente!