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 2015  settembre 05 Sabato calendario

IL FILM CHE FECE LITIGARE GUARESCHI E COMENCINI

A tutta prima potrebbe sembrare il gesto di una persona completamente insensibile. Ma il Commendator Angelo Rizzoli voleva molto bene a Guareschi e sapeva che anche Giovannino mai gli avrebbe fatto mancare la propria, profonda amicizia. Così lo stesso Commenda, pochi mesi dopo il «fattaccio» di Don Camillo monsignore... Ma non troppo, il 19 dicembre 1961 scrive a Guareschi: «Caro Guareschi, (...) quando ci vedremo per trattare il quinto Don Camillo?».
Poco più di tre anni dopo inizia la quinta avventura del pretone e del grosso sindaco comunista, questa volta in trasferta nell’Unione Sovietica. Guareschi ha le idee chiare e già nella premessa alla sua prima sceneggiatura, costruisce l’avventura in modo del tutto originale: «L’idea di far raccontare da Don Camillo al vescovo la storia invece di usare il solito speaker non è brillante. Ma è l’unico mezzo per ricordare allo spettatore che il compagno Tarocci è un prete. Se lo spettatore lo dimenticasse, il 90% dell’effetto di certe situazioni andrebbe perduto irrimediabilmente. La cosa non è quindi da mettere in discussione».
Cambia lo scenario e cambia anche il regista: sarà Luigi Comencini a dirigere Il Compagno Don Camillo e, naturalmente, non solo metterà in discussione l’idea di Guareschi, ma relegherà la visita di don Camillo al vescovo solo nel finale del film. Le tecniche di lavorazione cinematografica, seppure in pochi anni, hanno fatto passi da gigante e, almeno sembra, anche Giovannino Guareschi si è ammorbidito, al punto che accetta di prendere in esame la revisione della sua prima sceneggiatura del giugno 1964 già il 19 gennaio 1965.
Bastano due soli giorni e Guareschi, a proposito del primo tempo del film rielaborato da Comencini, scrive ad Andrea Rizzoli: «Caro Andrea, ho ricevuto il primo tempo rielaborato da Comencini e, con mio sommo rincrescimento, debbo dirle che non mi soddisfa. E ciò non per le variazioni apportate al mio originale, ma per quelle non apportate. (...) Infatti il primo tempo rielaborato è praticamente uguale al mio. Intendo con questo che il regista, del quale ho la massima stima e fiducia, si senta completamente libero, dappoiché siamo perfettamente d’accordo sul tono sullo spirito del racconto. Io, il libro l’ho già scritto e, lasciamo perdere la modestia, non è riuscito male. Comencini faccia il film. Spero che lei abbia letto il secondo tempo e, soprattutto la lettera allegata che
funziona da premessa. Mi pare di essere stato chiaro. E spero che lei comprenda lo spirito di questa mia lettera: non intendo procurare grane né al Commenda né a lei. Voglio semplicemente eliminare ogni equivoco che possa ostacolare la buona uscita del film. Lei comprende che l’impresa è difficile. Siamo d’accordo che personaggi ci sono e funzionano: ma, purtroppo, mentre un Maigret può continuare 100 anni le sue inchieste perché i casi che gli possono capitare sono praticamente infiniti e possono avere per teatro ogni e qualsiasi ambiente, Peppone e Don Camillo sono costretti ad agire sempre nello stesso ambiente (anche se vanno all’estero) sfruttando sempre la stessa situazione. Senza contare che, mentre dietro Maigret c’è un colosso come Simenon, dietro Don Camillo c’è soltanto il suo vecchio e semi rimbambito Giovannino Guareschi».
A parte queste scaramucce iniziali, tutto sembra filare liscio, tanto che il 19 giugno 1965 Luigi Comencini da Parma può scrivere: «Caro Giovannino, un saluto affettuoso prima di lasciare Parma. Il
film è finito e, speriamo, finito bene. Mi auguro che anche tu ne sia soddisfatto. Ora non mi rimane, per suggellare l’amicizia con te, che superare la prova del fuoco della copia campione. Comunque posso dirti che l’ho realizzato con il massimo impegno».
Pare davvero che, stavolta, le cose possano volgere in modo completamente diverso rispetto ai quattro film precedenti. Non sarà così e il 29 luglio, da Cervia, Giovannino risponde ad Andrea Rizzoli che gli aveva inviato il dialogo definitivo del Compagno don Camillo: «Come al solito, in sede di realizzazione tutto è stato cambiato tanto che io non riconosco più né il mio racconto, né i personaggi, né il dialogo. (...) Caro Andrea: non ho la forza fisica per rischiare un secondo infarto: però non rinuncio al mio diritto di non essere trattato come una pezza da piedi. Sono certo che Comencini ha fatto del suo meglio e, data la sua bravura, avrà girato delle scene ottime: però, tirate le somme, questa è una storia che non ho mai scritta e non avrei mai scritta. Sarà migliore della mia, ma non è mia. Non incolpo nessuno: sarà il destino. Siccome si vede che, per quellidiRomaiosonouncretinoche non riesce a mettere insieme nemmeno due battute spiritose, si arrangino quelli di Roma: non intendo però che il mio nome e i miei personaggi e i miei libri vengano immischiati in questa impresa cinematografica».
Dello stesso tenore il telegramma che Guareschi invia al regista Comencini: «Non approvando riduzioni et modifiche, pregoti rinunciare mia collaborazione dialoghi. Con immutata amicizia». Ancora una volta l’ultima, per Giovannino il disaccordo con i «cinematografari» è totale. Anche la partenza per gli Usa, introdotta come finale dal regista nell’ultima versione del film, scontenta Guareschi, che aveva previsto di raccontarlo il viaggio in America, scrivendo un’altra, nuovissima storia del Mondo piccolo, più che mai affacciato su quel «Mondo grande» che aveva già conquistato. Giovannino morirà tre anni dopo, il 22 luglio del 1968, ma non morirà con lui la saga cinematografica del grosso sindaco e del pretone della Bassa: nel 1970 inizia la lavorazione di Don Camillo et les contestataires, sempre con Cervi e Fernandel, diretti da Christian Jaque.
Il film non sarà terminato, Fernandel morirà a sua volta e, nel 1972, vedrà la luce Don Camillo e i giovani d’oggi, diretto da Mario Camerini, con Gastone Moschin nella tonaca di don Camillo e Lionel Stander con al collo il fazzoletto rosso di Peppone. Ma questa è tutta un’altra storia.