Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  settembre 05 Sabato calendario

CORTO CIRCUITO SUI DISOCCUPATI USA E LE BORSE PERDONO LA BUSSOLA

Corre la paura sul filo dei mercati finanziari al termine di una settimana difficile, che si chiude all’insegna dell’incertezza un po’ su tutti i fronti. Di qui la preoccupazione generale, amplificata dalla paura che un’altra mossa sbagliata, dopo la svalutazione dello yuan a inizio agosto, possa mandare in tilt l’economia mondiale, già in frenata. E così, a pagare il prezzo più pesante è stata Piazza Affari che ha lasciato sul terreno il 3,8%. E si moltiplicano i timori per lunedì quando, chiusa Wall Street per il labour day, riapriranno i battenti le Borse cinesi, dopo tre giorni di chiusura dedicati alla celebrazione della potenza militare di Pechino e il vertice del G 20, in cui i governanti cinesi saranno sul banco degli imputati. 1)Nel frattempo i dati sul lavoro Usa non hanno contribuito a far chiarezza sulle scelte della Fed. Ad agosto sono stati creati "solo" 173mila posti di lavoro, assai meno dei 211 mila previsti. Niente aumento dei tassi, si è pensato in un primo momento, con grande sollievo delle Borse. Ma sono bastati pochi minuti perché prevalesse l’interpretazione opposta, per più motivi: è stato rivisto al rialzo il dato dei nuovi occupati a luglio; i salari sono cresciuti (+0,3% in un mese) a tasso sostenuto. Il tasso di disoccupazione è sceso al 5,1% mentre gli occupati a tempo pieno sono risaliti a 122 milioni di unità (più 27 milioni part-time) superando il livello del dicembre 2007. Insomma, la ripresa c’è. E i tassi, se si guarda solo alla congiuntura interna, sono destinati a salire. 2)Le Borse europee hanno registrato un brusco dietrofront. A prima vista è difficile capire il perché della violenta reazione dei mercati. Un eventuale rialzo dei tassi Usa provocherà un calo dell’euro, a tutto vantaggio dell’export e della lotta alla deflazione, il nemico numero uno. Rispetto ad un anno fa i mercati dell’area euro godono di grossi vantaggi: «l’indice Euro Stoxx - fa notare Alessandro Fugnoli - è agli stessi livelli del novembre 2014, quando il dollaro stava a 1.26, il petrolio sopra gli 80 dollari, l’inflazione era a zero, mezzo continente era in recessione e il Quantitative easing appariva una promessa incerta». Ma le Borse, si sa, vivono di aspettative. E queste, in un contesto di crisi geopolitica, si tingono di nero. Nonostante l’ombrello della Bce, del resto, la crescita europea, basata sull’export, perde velocità. 3)La Cina, ha detto Draghi, è la fonte delle maggiori incertezze. Ad Ankara i governanti cinesi dovranno ribadire il rispetto delle regole: niente svalutazioni competitive e trasparenza nelle comunicazioni al mercato. L’opposto di quel che è avvenuto negli ultimi giorni, quando i sostegni al mercato si sono accompagnati a misure repressive (anche contro gli analisti finanziari ed i giornalisti) e a divieti amministrativi che non sono serviti a frenare le vendite ma hanno alimentato le paure in mezzo mondo. Per questo il prossimo week end potrebbe essere decisivo. Anche perché, se non si troverà il modo di scacciare i fantasmi, le prossime settimane potrebbero essere davvero difficili. 4)A pagare il prezzo più alto, come sempre, sono i titoli bancari, la vera cartina di tornasole della fiducia dell’economia italiana. Ieri è finita sotto tiro Unicredit, sprofondata del 5% sull’onda delle notizie dei probabili tagli di personale, intorno alle 10 mila unità, che potrebbero riguardare Austria, Germania e anche l’Italia. Ma registrano forti perdite anche le società manifatturiere e Telecom Italia. Oltre alla crisi dei clienti del Far East e della Cina le aziende italiane pagano il rallentamento di Brasile e Turchia, due aree forti per l’interscambio italiano. Eppure, sotto i cieli della crisi, c’è una gradita novità: i capitali, come dimostra l’ottima tenuta dei titoli di Stato, stanno scoprendo che l’Italia può essere un porto più sicuro di altri.