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 2015  settembre 05 Sabato calendario

«PALAZZO MADAMA NON È UN INTRALCIO, È LA COSTITUZIONE A ESSERE A RISCHIO»

[Giulio Tremonti] –
ROMA «Vorrei fare una necessaria riflessione razionale, non strumentale e priva di controfinalità».
La riforma del Senato è la battaglia finale tra chi vuole affossare il governo Renzi e chi lavora per salvarlo.
«La mia riflessione — assicura Giulio Tremonti, senatore del gruppo Gal — non è diretta a farlo cadere, né a tenerlo in piedi. Un esempio. Negli ultimi anni è già venuta fuori una importante riforma costituzionale, più materiale che formale, ma pur sempre una riforma costituzionale. Il che è evidente nel cambiamento radicale del sistema della fiducia».
Renzi governa a colpi di voti di fiducia?
«Non voglio fare polemica. Dico che la fiducia, per decenni prevista come eccezione, è diventata la regola, il che ha modificato il rapporto tra governo e parlamento. Renzi ha posto la fiducia in Senato 40 volte in 18 mesi, Letta 10 volte in otto mesi e Monti 38 volte in 15 mesi».
Sono 88 in circa 40 mesi.
«Il sistema della fiducia ormai è costituzione materiale e non si torna indietro. Il rapporto governo-Parlamento è cambiato e non dipende dal fatto che c’è il Senato, dunque viene meno l’argomento principe per la sua abolizione. E non è una difesa del Senato, per me si può anche eliminare».
Renzi ha legato alla fine del bicameralismo paritario le sorti della legislatura.
«Quando il processo legislativo viene compresso in 60 giorni, al ritmo di due fiducie al mese, tempi e modi sono tali da soddisfare ogni fabbisogno di potere dell’esecutivo. È un fatto di sistema, ormai. E il Senato non è più un fattore di ostacolo. Con questa evoluzione della Costituzione è indifferente che le Camere siano due, una sola o al limite nessuna, come vorrebbe qualcuno».
Allude a Palazzo Chigi?
«Guardi che io non voglio mica accusare nessuno. Dico che quello del bicameralismo come ostacolo al processo legislativo non sta più in piedi. È ormai un argomento falso e sbagliato, che va eliminato se si vuole fare un ragionamento sulla riforma. Nella strategia delle riforme, il Senato non è la questione centrale».
Vuole dire che non tutta la riforma è da buttare?
«Per un male che può essere evitato, si mette a rischio un bene che può essere acquisito: il riequilibrio sull’asse verticale tra potere centrale e poteri locali. Il punto chiave del testo è la riforma dello Stato, non del Senato. Bisogna evitare gli errori del 2000, quando la sinistra inventò il Titolo V sovrapponendolo alle leggi Bassanini e facendo insieme il decentramento dello Stato centrale e la federalizzazione dei poteri locali. Una follia, approvata in una logica elettorale con quattro o cinque voti marginali».
Renzi rischia?
«È la Costituzione che rischia. La storia dovrebbe insegnare che una riforma costituzionale con una base marginale non è l’ideale, sarebbe l’esatta replica del Titolo V. Nel 2000 alcuni maitre à penser dicevano che il deficit di voti in parlamento poteva essere integrato con lo spirito del popolo, come teorizzato da Carl Schmitt ai tempi del nazismo».
Citazione ardita...
«Arditi loro. Io vedo un rischio confusionale. Se il Titolo V ha moltiplicato i conflitti verticali tra Stato e regioni, qui c’è il rischio di conflitti orizzontali tra i due rami del parlamento. E gli incidenti peggiori nel funzionamento degli organi derivano da inerzia, più che da contrasti. Questa riforma del Senato sembra un orologio meccanico dove alcune rotelle non si incastrano con le altre».
Quindi non la voterà?
«Non l’ho votata all’inizio e non mi sembra migliorata alla Camera. Però considero assolutamente positivo il riequilibrio dei poteri, è la parte più rilevante del ddl Boschi».
Vuole il Senato elettivo?
«Spero ancora in un ragionevole compromesso. Voterei un Senato che sia elettivo, senza effetti labirinto nei rapporti tra i due rami. Il rischio che vedo è che dalla padella del Titolo V si finisca nella brace della seconda parte della riforma, dove il campo delle competenze di Palazzo Madama si configura come un’area di conflitti orizzontali».
Scambierebbe il suo voto con il premio di coalizione?
«Per me, che l’Italicum non l’ho votato, la formula della coalizione sarebbe più organica e fisiologica. Ma uno scambio no, mi contraddirei. La Costituzione è più importante della legge elettorale».