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 2015  settembre 05 Sabato calendario

FIONA E L’ATLETICA SENZA FUTURO “BISOGNA SPIANARE TUTTO, MA PER RIO È TROPPO TARDI”

[Intervista a Fiona May] –
Nelle sue cento vite Fiona May ha vinto tre ori ai mondiali (uno indoor) e due argenti ai Giochi, ha partecipato a cinque Olimpiadi sotto due bandiere, è stata testimonial di snack e attrice di fiction, ballerina e concorrente di un talent show, siede nella Giunta Coni e lavora in Federcalcio. Ma nella Fidal non c’è un posto per lei, l’azzurra con più podi iridati nella storia.
Fiona May, a Pechino l’atletica italiana ha toccato il fondo?
«Ho smesso da dieci anni, da allora ogni stagione è stata peggiore della precedente. All’inizio tanti mi chiedevano perché le cose andassero male, poi hanno smesso anche di domandarmelo. Quando è stato eletto il presidente Giomi mi sono proposta io: voglio aiutare i ragazzi, gli ho detto, seguirli negli allenamenti, mettere a disposizione la mia esperienza. Non mi ha risposto, si vede che non era interessato».
Perché?
«Chiedetelo alla federazione, sicuramente daranno una bella spiegazione. Non fatemi fare polemiche. Dico solo che sono rimasta delusa. Molto delusa».
A chi attribuisce le responsabilità del flop mondiale?
«Ora è inutile cercare colpevoli. Di buono c’è che possiamo solo ripartire: qui bisogna spianare e ricominciare da zero. È troppo tardi per Rio per la nazionale, ma forse due o tre atleti tornando a casa sapranno cosa fare. Ognuno si assuma le proprie responsabilità, come ho fatto io. Voglio vincere una medaglia? Devo trovare il modo giusto per allenarmi. Con o senza la federazione».
Cosa hanno detto gli ultimi Mondiali?
«Vedo il Kenya in cima al medagliere e vincere in discipline tecniche come i 400 ostacoli. Parliamone. Noi siamo rimasti indietro, non so se perché in mano alle persone sbagliate o per altre ragioni. Ma non posso vedere il mio sport fare queste brutte figure».
Strutture, istruttori, atleti: dove intervenire?
«Su tutto il sistema, dalla A alla Z. Non credo che il Kenya abbia strutture migliori. C’è un grosso problema nella maturazione dei giovani: tante promesse Juniores evaporano a livello Assoluti. Oppure falliscono i grandi appuntamenti. La nuova generazione manca di cultura sportiva: ho visto atleti che non sanno cos’è un riscaldamento, ignorano il defaticante. Poi, evidentemente, abbiamo anche tecnici inadeguati. E c’è un problema di testa se uno arriva alla gara della vita e la fallisce: non puoi trovarti frozen, congelato, ai Mondiali. La psicologia dello sport può essere utile, questi ragazzi vanno aiutati. Così mia figlia Larissa, che fa ginnastica artistica, ha vinto la paura della trave. A 17 anni il mio allenatore mi ha insegnato la meditazione. A 19, a Seul, due atleti inglesi medagliati nel tiro mi hanno regalato un libro da cui ho capito l’incidenza della mente sui risultati. Per le medaglie ho fatto anche yoga, io. Mi ridono in faccia, ma un atleta deve essere completo, imparare dalle altre discipline, aprire la mente. Non serve una vita tutta pista e campo. Altra cosa: in Italia manca un aiuto alle mamme atlete, una mia amica mi ha scritto disperata, non sa come continuare a gareggiare. In Inghilterra è diverso e Jessica Ennis vince l’oro a tredici mesi dal parto».
È lecito nutrire dubbi sui risultati di Pechino?
«Non so, dopo il caso Gatlin c’è un punto interrogativo su tutti. Però guardo la realtà: la Giamaica ha lavorato bene e ha vinto. Bolt è diventato il più grande sportivo di tutti i tempi».
Sebastian Coe è l’uomo che può restituire credibilità?
«Sono felice della sua elezione alla Iaaf, lo conosco da tempo, la sua carriera parla per lui».
Com’è arrivata in Figc?
«Conoscevo il dg Uva dalla giunta Coni, poi ho incontrato Tavecchio e mi ha convinto lui».
Tavecchio si presentò scivolando sulle banane, ricorda?
«La gaffe è stata brutta, ma io non c’ero e non la posso cambiare. In Tavecchio ho trovato una persona squisita e disponibile, che mi sostiene insieme a tutta la Federcalcio. Piuttosto che fermarmi al passato, mi sono chiesta se potevo fare qualcosa e penso di esserci riuscita, anche se sono gocce nel mare. Qui avverto fiducia, dall’esterno invece dicevano: che ci fa questa nel calcio? Beh, sono un’ex atleta che ha delle idee, se ne avevate delle migliori perché non vi siete fatti avanti? Fra pochi giorni partirò per Amsterdam con l’U19 femminile come capo delegazione, sono emozionata e lusingata. Patrizia Panico mi ha detto: abbiamo bisogno di donne come te».
Lei gira l’Italia con il progetto “Razzisti? Una brutta razza”.
«Un viaggio fantastico. Incontro bambini in ogni regione, anche se sono piccoli mi conoscono tutti. Ascolto le loro idee: più intelligenti degli adulti, mi fanno sperare nel futuro. Nessuno nasce razzista: razzisti si diventa per la paura e per l’ignoranza, se non vengono curate in tempo ».
L’Italia è un paese razzista?
«Ni. Ci sono ancora dei razzisti ma non rappresentano tutti, per fortuna».
Il ministro britannico May vuole espellere gli stranieri senza lavoro.
«È una proposta, preferisco non commentarla. In Europa sta crescendo un sentimento di paura. Bisogna dare una possibilità a quanti cercano una vita migliore, ma la politica deve anche far sentire i cittadini sicuri a casa propria. È un equilibrio sottile, delicato. Penso alla foto del piccolo Aylan, da mamma mi si stringe il cuore, non l’avrei mai pubblicata. Dobbiamo arrivare a questo per smuovere le coscienze?».
Francesco Saverio Intorcia, la Repubblica 5/9/2015