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 2015  settembre 05 Sabato calendario

LA PASSIONE CHE GUIDA LA RIPRESA USA

È il sogno di una mattina di fine estate.
Alla fine di una stagione dominata dalle esternazioni becere di Donald Trump, le tensioni razziali tra polizia e ceti poveri e le notizie raccapriccianti sulla tragedia umana alle porte dell’Europa, l’America si è svegliata con una buona notizia: ieri mattina, l’ombra minacciosa della crisi finanziaria del 2008 si è finalmente dissipata.
Il tasso di disoccupazione – il numero più importante per accertare la salute dell’economia Usa – è sceso al 5.1% ad agosto, il livello più basso dall’aprile del 2008. Prima del crollo di Lehman Brothers, prima del collasso mondiale che fece temere una Grande Depressione stile Anni 30. Prima del massiccio intervento di governi e banche centrali che fecero la respirazione bocca a bocca a un paziente in fin di vita.
Per fortuna, non si tratta di un sogno. La ripresa in America c’è.
Magari non è fantastica e non si può certo parlare di boom, se non nei dintorni di Silicon Valley.
Ma il recupero nel mercato del lavoro è indiscutibile. L’ho toccato con mano nel corso del mio viaggio da costa a costa nel mese di agosto per questo giornale. Da New York a San Francisco, ho accumulato migliaia di miglia, osservato i cambiamenti radicali causati dalla crisi e incontrato decine di membri della forza-lavoro americana. Il filo conduttore che lega i contadini della Pennsylvania con il metano in fattoria ai piccoli magnati della marijuana di Denver ai tassisti di Uber è la flessibilità di un’economia che non sta mai ferma.
Se l’industria dell’acciaio scompare in pochi anni dall’Ohio, le università e gli imprenditori locali provano a inventarsi qualcos’altro, nel loro caso un centro mondiale per la stampa a tre dimensioni. Se le società americane impiegano meno persone, la gente si mette in proprio, a guidare i taxi, ad affittare le proprie case su Airbnb o ad aprire «farmacie» del fumo. E se le idee tradizionali non bastano, visionari come Elon Musk creano idee nuove, tipo le macchine sportive a elettricità della Tesla, i razzi per fondare una colonia umana su Marte o un grande tubo per treni che viaggiano a velocità supersoniche.
Non è giusto attribuire tutta la crescita nell’occupazione americana a questi nuovi trend. Gran parte del recupero è avvenuto in settori tradizionali: i servizi, la sanità (aiutata dalle riforme di Obama) e, un po’ meno, il manifatturiero. Gli Usa hanno creato circa quattro milioni di posti di lavoro dai tempi della crisi ed è normale che la maggioranza venga da industrie che sono al centro del sistema produttivo americano, non da settori-bambini come la «sharing economy», l’economia della condivisione di Uber e Airbnb.
E non ci si può dimenticare dello stimolo gigantesco pompato nell’economia americana dalla Fed e dal governo nei giorni di fuoco del 2008. Senza migliaia di miliardi di dollari spesi da Washington, senza i salvataggi di Stato di banche e società automobilistiche, senza i tassi a zero imposti da Ben Bernanke, non ci sarebbe stata alcuna ripresa. Anzi, l’economia americana sarebbe sprofondata in un baratro senza fondo. Come mi disse uno dei luogotenenti di Bernanke all’epoca, «non stiamo mica scherzando qui: dobbiamo evitare che la gente vada a vivere sotto i ponti».
Ma la nascita di nuove aziende, la passione degli imprenditori e il potere rivoluzionario della tecnologia sono un fattore decisivo nel ritorno di fiamma degli Usa.
Non è un caso che l’Europa, la Cina e il Giappone fatichino a replicare la capacità rigenerativa dell’economia americana. Le altre tre superpotenze economiche hanno copiato gli schemi americani sullo stimolo di Stato, iniettando miliardi e miliardi nei mercati. Ma tutti quei soldi servono solo a dare una spinta all’economia, il resto spetta ai privati – le aziende, gli imprenditori e i lavoratori – e per ora quei gruppi non stanno facendo abbastanza.
Non sono tutte rose e fiori nel giardino dell’economia americana e non solo perché i numeri di ieri sono più bassi delle previsioni di Wall Street. I dati confermano sperequazione sociali che stanno spaccando gli Usa. La disoccupazione tra gli afroamericani è ancora a più dell’ 8%. Quel gruppo, il più tartassato, povero e inquieto degli Stati Uniti, è stato l’unico ad aver più disoccupati in agosto che a luglio. È un dato allarmante per chi, come Larry Summers, il guru economico di Bill Clinton e Barack Obama, paventa un’economia a due velocità: una per i bianchi benestanti che vivono nei sobborghi e una per tutti gli altri.
I salari stanno crescendo poco, molto meno che in altri periodi di ripresa, e sempre più gente è uscita dalla forza-lavoro per sempre, un fatto non positivo per un Paese che non ha l’infrastruttura pensionistica e sanitaria del vecchio continente.
E c’è sempre il pericolo che una mossa sbagliata da parte della banca centrale o del governo Obama metta a rischio i successi degli ultimi anni. La Fed deve prendere una decisione importantissima tra un paio di settimane: aumentare i tassi per la prima volta dai tempi della crisi o tenerli a zero?
I dati nazionali e le condizioni dell’economia mondiale non rendono facile il compito di Janet Yellen, che ha preso il posto di Bernanke, e dei suoi colleghi. I dati sulla disoccupazione e la crescita del Pil darebbero per scontato un aumento dei tassi ma il caos recente dei mercati, le convulsioni della Cina e il continuo crollo nel prezzo delle materie prime parlano di un mondo fragile, pieno d’incertezze politico-economiche e senza forti pressioni inflazionistiche.
La Yellen è tra la padella di chi l’accusa di star creando una nuova bolla immobiliare se non alza i tassi, e la brace di chi crede che una mossa repentina farebbe lo sgambetto alla ripresa e sconvolgerebbe gli investitori. All’interno della Fed, il dilemma è palpabile, anche se per il momento la maggioranza è a favore di un piccolo aumento dei tassi a settembre.
Questi, però, sono fattori tattici, senz’altro importanti ma che non cambiano la sostanza della ripresa americana. La costituzione flessibile e camaleontica dell’economia conferisce agli Usa un vantaggio sul resto del mondo. Anche se i treni non viaggeranno mai in tubi supersonici o su Marte non ci vivrà nessuno.
Il viaggio di Francesco Guerrera sulla strada della ripresa americana si trova qui: www.lastampa.it/gousago.
Francesco Guerrera, La Stampa 5/9/2015