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 2015  settembre 04 Venerdì calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - LA MARCIA DA BUDAPEST A VIENNA


LASTAMPA.IT
Un fiume umano. A piedi, da Budapest verso l’Austria. Centinaia di migranti lasciano la capitale ungherese. Si dirigono verso il cuore dell’Europa. Vienna, poi la Germania: nuova terra promessa dei disperati in fuga dalla guerra.
Viktor Orban era tornato in mattinata a definirli una «minaccia per l’Europa». Centinaia di migranti hanno lasciato la stazione di Budapest dopo che è stato loro impedito di salire sui treni. Trecento sono scappati da un centro di accoglienza di Roszke al confine con la Serbia, altrettanti dalla stazione di Bicske (dove ieri le autorità avevano fermato un treno carico di migranti partito da Budapest e diretto a ovest), altri 64 da un’altra struttura vicino alla città di Bicske.
L’Ungheria oggi ha dichiarato lo «stato d’emergenza» sui migranti e il Parlamento, con i voti della maggioranza governativa e degli estremisti di Jobbik, ha approvato un pacchetto di leggi molto restrittive. Fra i provvedimenti ci sono l’istituzione di zone di transito sul confine per bloccare gli arrivi, l’accelerazione della procedura di riconoscimento del diritto asilo e l’inasprimento dei criteri per rilasciarlo. «Noi stiamo rispettando le regole di Schengen, per cui ogni paese è responsabile della difesa della sua frontiera esterna» e perciò «è inaccettabile essere criticati per questo», dice il ministro degli esteri ungherese, Peter Szi. Le autorità hanno disposto intanto la chiusura temporanea del valico di Roeszke, al confine con la Serbia.
Angela Merkel e Francois Hollande hanno chiesto all’Ue che «al massimo entro la fine dell’anno» vengano attivati in Italia i centri di smistamento (i cosiddetti “hotspot”) per il riconoscimento dei migranti. La cancelliera tedesca e il presidente francese, in una lettera inviata al presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, e al presidente dell’Unione europea, Donald Tusk, confermano la loro linea: accoglienza con quote obbligatorie e multe per chi non le rispetta, ma anche serietà da parte di tutti gli Stati. Ed è conclamato che finora l’Italia ha chiuso un occhio permettendo a migliaia di migranti di lasciare il Paese senza essere registrati. Il piano Ue potrebbe prevedere l’accoglienza per 160 mila profughi. L’Onu chiede una sistemazione per almeno 200.000 rifugiati. A parlare di un «programma di dislocamento di massa» è stato l’Alto commissario per i rifugiati, Antonio Guterres, riferendosi a coloro che godono di un «titolo valido per la protezione». Si tratta di una crisi che allarma anche il Pentagono che prevede che «durerà vent’anni». E di fronte ai numeri da esodo biblico anche il premier britannico, David Cameron, ha ceduto, annunciando che il suo Paese fornirà una sistemazione «ad altre migliaia di profughi» dalla Siria.

LASTAMPA.IT
Il 13 settembre una delle più celebri band britanniche, i Muse, dovrebbe suonare nel vecchio aeroporto del ponte aereo, a Tempelhof. Il condizionale è d’obbligo. Nel luogo simbolo della Berlino “anno zero”, degli aiuti degli Alleati nell’immediato dopoguerra, il Senato ha appena deciso di ospitare i profughi bloccati in Ungheria. Non è ancora chiaro quando arriveranno, ma intanto la capitale ha scelto i due Hangar principali per garantire almeno a 1200 rifugiati un posto dove dormire.
Il vecchio aeroporto è anche uno dei simboli più famosi della “democrazia dal basso” della capitale. Quando l’ex sindaco Klaus Wowereit decise di costruire una biblioteca e vari appartamenti sui terreni dove una volta arrivavano i “Rosinenbomber”, gli aerei pieni di viveri degli alleati, i berlinesi si mobilitarono per bloccare l’ennesima cementificazione. Promossero un referendum, lo stravinsero, da allora è stato restituito a comitati di quartiere e organizzazioni no profit. Gli hangar ospitano invece da anni fiere, mega feste e concerti.
Se i Muse potrebbero ritrovarsi a suonare dunque accanto a centinaia di rifugiati siriani o iracheni, Zalando ha già preso una decisione diversa. A gennaio del 2016 il gigante tedesco delle vendite online avrebbe voluto resuscitare un evento popolare degli anni scorsi, “Bread & Butter”, organizzando un festival musicale al posto della vecchia fiera di moda. Appena il Senato berlinese ha fatto sapere di voler dedicare gli hangar I e II ai rifugiati, un portavoce di Zalando ha fatto sapere che l’appuntamento di gennaio sarà annullato e che l’azienda sta pensando di organizzare invece un evento di beneficenza per aiutare i profughi. «Da noi lavorano 3.800 persone di 100 Paesi diversi. Vogliamo contribuire anche noi», ha fatto sapere René Gribnitz.
Resistono invece gli organizzatori della mega fiera del vino “Classics” del Baden-Württenberg. Il 7 e l’8 novembre un’ottantina di espositori del sud-ovest della Germania dovrebbero occupare i due hangar dove il comune vuole ospitare i profughi. Sono attesi settemila visitatori, dicono gli organizzatori della sedicesima fiera dei viticoltori. I produttori hanno già prenotato gli alberghi ed etichettato le bottiglie, aggiungono. E mentre la Germania sta dimostrando un’enorme solidarietà con l’ondata di profughi in arrivo e gli slogan “refugees welcome” fioccano ovunque, gli organizzatori della fiera del vino si ostinano a dire: i contratti vanno rispettati.

CORRIERE.IT
In Ungheria venerdì centinaia di migranti hanno deciso di lasciare Budapest per raggiungere il confine austriaco a piedi lungo l’autostrada forzando un posto di blocco della polizia, e contemporaneamente altre centinaia ne hanno forzato un altro nei pressi della stazione di Bicske e hanno iniziato a correre verso ovest, verso l’Austria. Qui sarebbe morto un pakistano, riferisce l’agenzia Reuters, caduto sui binari. Si tratta della maggioranza delle 500 persone che erano bloccate sul treno rifiutandosi di entrare nel campo di accoglienza. L’Ungheria ha dichiarato lo «stato d’emergenza» sui migranti e il Parlamento, con i voti della maggioranza governativa e degli estremisti di Jobbik, ha approvato un pacchetto di leggi molto restrittive: secondo le nuove leggi, chi attraverserà o danneggerà la barriera al confine con la Serbia sarà perseguibile penalmente, rischiando sino a 3 anni di carcere.
Centinaia di migranti a piedi verso l’Austria
Borsoni e zaini, i migranti superano le auto della polizia che bloccano l’accesso all’autostrada da Budapest a Vienna (Reuters/Laszlo Balogh)
Tra giovedì e venerdì il Paese aveva registrato l’arrivo di 3.313 migranti e profughi, nuovo record per flusso migratorio in una sola giornata: circa mille in più rispetto alle 24 ore precedenti. Fuori dalla stazione Keleti di Budapest venerdì mattina erano rimasti ancora circa 3.000 profughi, accampati da giorni in attesa di prendere i treni verso Austria e Germania, ma le autorità ungheresi avevano bloccato i convogli per l’estero. Così centinaia di loro hanno lasciato la zona di transito per raggiungere il confine a piedi: nel pomeriggio sono riusciti a imboccare l’autostrada M1 che inizia alla periferia della capitale, superando un posto di blocco della polizia. Lungo questo percorso la frontiera si trova a 170 km di distanza. Un gruppo di estremisti di destra nel tardo pomeriggio ha attaccato le persone rimaste in stazione ma è stato rapidamente disperso dalla polizia.
Ungheresi e austriaci in soccorso
Ungheresi a bordo autostrada portano rifornimenti ai profughi in marcia (Twitter/‏@nabihbulos)
Numerosi degli automobilisti che li hanno affiancati hanno offerto loro bottiglie d’acqua e altri generi di conforto e, dove possibile, anche passaggi, riferiscono i media locali. Altri hanno superato le barriere a margine dell’autostrada per portare loro dell’acqua e del borotalco. Sui social network almeno 2.400 persone si sono rese disponibili per organizzare un «convoglio» Budapest-Vienna, una serie di passaggi a profughi, nel prossimo fine settimana. E promettono anche una app per annunciare quali siano i valichi più favorevoli per l’impresa. Intanto sul sito di mappe istantanee Live UaMap è possibile seguire il percorso attraverso dei tweet.
Anche a Bicske (65 km a ovest di Budapest), dove era stato fermato l’unico treno partito giovedì, si è registrato un episodio analogo: la maggioranza delle 500 persone a bordo - ha riferito l’agenzia Reuters - hanno colto di sorpresa gli agenti nella parte anteriore del convoglio e hanno iniziato a correre verso Gyoer, a occidente. Un uomo, un cittadino pachistano, è caduto sui binari ed è morto. Sul treno si trovavano per lo più famiglie siriane e afghane, con molti bambini. Prima della fuga gli adulti avevano iniziato uno sciopero della fame e della sete. Poco dopo le 16 le persone rimaste sul treno, riferisce la Bbc, sono scese e salite su un pullman senza ulteriori resistenze.
Altre 300 persone erano fuggite dai campi d’accoglienza di Roszke (al confine con la Serbia), ha segnalato l’agenzia di stampa ungherese Mti, iniziando a percorrere la M5 verso Budapest. Nel pomeriggio di venerdì la polizia ha annunciato che questi profughi, circa 300, sono stati tutti ripresi e riportati al centro di accoglienza.
Il regolamento di Dublino, che regola in Ue la procedura per la richiesta di asilo, impedisce infatti di presentare la domanda di asilo in più di uno stato membro e prevede che i richiedenti presentino domanda nel Paese in cui hanno fatto l’ingresso nell’Unione o dove sono stati identificati. Quindi in questo caso in Ungheria. Il premier ungherese Viktor Orban ha detto che l’Ungheria deve proteggere le proprie frontiere - quella con la Serbia, dalla quale passano i migranti, sarebbe stata nuovamente chiusa - e applicare le regole dell’Unione Europea sui migranti anche tra coloro che sono accampati all’esterno della stazione ferroviaria di Budapest. «Noi ungheresi, se vogliamo continuare a poter muoverci liberamente in Europa, dobbiamo proteggere i nostri confini e anche applicare le regole Ue alla stazione orientale di Budapest», ha detto Orban parlando ai microfoni della radio pubblica ungherese. Il premier ha confermato che la maggior parte dei migranti che si trovano attorno alla stazione, che non intendono essere registrati in Ungheria, vogliono andare in Germania, ma ha spiegato che l’Ungheria non può lasciarli passare dato che c’è il rischio che poi l’Austria chiuda le sue frontiere. «Se la Germania rilascia visti per loro, possiamo farli uscire», ha detto Orban.
L’Inghilterra: «Accoglieremo altri profughi»
Intanto il premier britannico David Cameron ha confermato che il Regno Unito accoglierà «migliaia di rifugiati in più» con un piano i cui dettagli saranno resi pubblici la prossima settimana. I rifugiati, ha precisato il primo ministro nel corso di una conferenza stampa in Portogallo, arriveranno dai campi profughi in Medio Oriente. Parlando a Lisbona dopo l’incontro con il collega portoghese, Pedro Passos Coelho, il titolare di Downing Street ha confermato l’apertura che era già trapelata sui media d’Oltremanica dopo le crescenti pressioni sulla spinta emotiva della foto di Aylan, il bimbo siriano annegato davanti alle coste della Turchia. «Date le dimensioni della crisi e della sofferenza delle persone, posso annunciare che faremo di più per dare sistemazione ad altre migliaia di rifugiati siriani», ha detto Cameron, ricordando peraltro i 5.000 profughi siriani già accolti. Il premier conservatore ha spiegato che Londra agirà con la testa ma anche con il cuore per far fronte a quella che ha definito come «la maggiore sfida» che ha di fronte l’Europa. Cameron ha spiegato che fornirà maggiori dettagli la prossima settimana, ma secondo i media inglesi i rifugiati arriveranno dai campi gestiti dall’Unhcr nei Paesi confinanti con la Siria e non da Calais o da altre zone vicine alla Gran Bretagna.
Quei muri della vergogna che separano i popoli
Rotta balcanica, un centro di smistamento ad Atene
I migranti raggiungono l’Ungheria via terra, attraverso la rotta balcanica: Grecia, Macedonia, Serbia e Ungheria. Da lì le mete preferite sono quelle del nord Europa, in particolare la Germania. Adesso la Grecia si prepara a organizzare un grande centro di identificazione per rifugiati e migranti nei pressi del porto del Pireo, ad Atene. Lo ha annunciato venerdì il Commissario europeo all’Immigrazione Dimitris Avramopoulos, durante una visita all’isola di Kos. Il centro avrà la funzione di determinare chi ha diritto alla protezione e all’asilo nell’Unione, e chi invece è migrante per ragioni economiche e va rispedito a casa. Avramopoulos ha sottolineato che la crisi «è direttamente legata all’instabilità geopolitica» della regione e che «non finirà in un giorno. Non c’è misura che possa fronteggiarla velocemente ed efficacemente. Servono sistema e metodo, serve volontà politica».
Il Pentagono: «Una crisi che durerà 20 anni»
L’esodo di migranti e rifugiati dalla Siria e dal Nordafrica verso l’Europa è «una emergenza enorme, una crisi reale». Lo afferma uno dei massimi vertici del Pentagono, il generale Martin Dempsey, capo di stato maggiore delle forze armate Usa. In una intervista esclusiva alla Abc, Dempesy si è quindi detto «preoccupato» e ha sottolineato la necessità per tutti di agire «sia unilateralmente che con gli alleati», considerando ciò che sta avvenendo «come un problema generazionale» e mettendo sul piatto adeguate risorse che permettano di affrontare la crisi per almeno 20 anni. A proposito della drammatica fotografia di Aylan, il bimbo siriano di tre anni morto su una spiaggia della Turchia, Dempesy ha auspicato che quella immagine «abbia un simile effetto a quella del 1995 del mortale attacco con i mortai alla piazza del mercato di Sarajevo, che spinse verso l’intervento della Nato in Bosnia», cioè spinse la comunità internazionale ad agire con maggiore efficacia per trovare una soluzione ad una drammatica emergenza.
Putin: «Crisi conseguenza politiche dell’Occidente»
Sul tema emergenza immigrazione interviene anche il presidente russo Vladimir Putin. La Russia ha spesso messo in guardia contro i principali problemi che l’Europa si sarebbe trovata ad affrontare in conseguenza delle politiche occidentali in Medio Oriente e Nord Africa e del terrorismo jihadista, così che la crisi dei migranti in Ue non è una sorpresa. Ha detto Putin, citato dall’emittente Russia Today. «Penso che la crisi fosse assolutamente prevista - ha detto il numero uno del Cremlino ai giornalisti a margine dell’Eastern Economic Forum di Vladivostok - Noi in Russia, e io personalmente qualche anno fa, abbiamo detto chiaramente che sarebbero emersi tali gravi problemi sei i nostri cosiddetti partner occidentali continuano a mantenere la loro politica estera sbagliata, soprattutto nelle regioni del mondo musulmano, Medio Oriente, Nord Africa». Secondo il presidente russo, il difetto principale della politica estera occidentale è l’imposizione di proprie norme in tutto il mondo, senza tener conto delle caratteristiche storiche, religiose, nazionali e culturali di particolari regioni. «L’unico modo per invertire il flusso di rifugiati in Europa è quello di aiutare le persone a risolvere i problemi a casa loro e il primo passo dovrebbe essere la creazione di un fronte comune e unito contro i gruppi jihadisti come l’Isis», ha aggiunto Putin.

REPUBBLICA.IT
BUDAPEST - È altissima la tensione in Ungheria: centinaia di migranti si stanno dirigendo al confine austriaco, dopo essere partiti dalla stazione di Budapest, a piedi, visto che le autorità hanno bloccato i treni. Il gruppo ha attraversato il Danubio e si dirige verso l’autostrada Budapest-Vienna. Dovranno percorrere 240 chilometri e ci vorranno dei giorni. Il Parlamento ungherese ha approvato d’urgenza un pacchetto di leggi restrittive, ma non passa la proposta dell’esercito schierato al confine. È stato dichiarato lo stato di emergenza. Nel frattempo, altre 300 persone fuggite dal campo di Roszke si sono unite alla marcia dopo gli scontri con la polizia. Ma poi sono state riprese e ricondotte al centro di accoglienza.
Bruxelles. La Commissione sta lavorando a un nuovo piano su una più equa (e obbligatoria) ridistribuzione delle quote di migranti comprese le sanzioni per chi non le accetta, sollecitata dal presidente del Consiglio Ue, Donald Tusk. Proporrà la redistribuzione di altri 120 mila richiedenti asilo da Italia, Grecia e Ungheria. Lo ha confermato una portavoce dell’esecutivo Ue. La prossima settimana il presidente della Commissione Ue, Jean-Claude Juncker, presenterà le nuove proposte sul programma immigrazione al Parlamento europeo a Strasburgo.
Porte aperte in Germania e Gran Bretagna, quote off limits a est. La Germania si è detta pronta ad accogliere 800mila richiedenti asilo nel 2015, quattro volte in più rispetto allo scorso anno e anche Cameron ha detto che accoglierà altri migranti e che donerà altri 130 milioni di euro. I leader di quattro paesi del centro-est europeo (Ungheria, Polonia, Slovacchia e Repubblica Ceca), invece, ribadiscono la loro opposizione a questa proposta. I ministri dell’Interno ceco e slovacco, Chovanec e Kalinak, respingono le quote. "Non risolvono niente. Non è chiaro come siano calcolate né cosa debbano fare le autorità locali per trattenere i profughi", ha detto Chovanec.
La lettera. Il presidente francese François Hollande e la cancelliera tedesca Angela Merkel, in una lettera congiunta all’Europa, hanno sollecitato la creazione di centri di accoglienza per migranti (hotspot), che secondo i due leader dovrà essere "accelerata in Italia e in Grecia". E intanto in Italia il segretario della Lega, Matteo Salvini fa show al Cara di Mineo, dove si è recato oggi: "Mi farò dare i numeri, saranno solo tre persone che hanno diritto all’asilo, gli altri sono clandestini".
Stop ai treni, migranti partono a piedi da Budapest all’Austria
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Unhcr. L’alto commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr), Antonio Guterres, ha lanciato un appello per la ripartizione di almeno 200mila richiedenti asilo in Unione Europea e ha sottolineato che tutti i membri dell’Ue dovrebbero avere l’obbligo di partecipare a questo programma. "Le persone che hanno una richiesta di protezione valida (...) dovrebbero conseguentemente beneficiare di un programma di ricollocamento di massa, con la partecipazione obbligatoria di tutti gli stati membri dell’Ue. Una stima preliminare sembra indicare il bisogno potenziale di accrescere le opportunità di reinsediamento a 200mila posti", ha scritto Guterres in una nota, aggiungendo che vanno aiutati quegli Stati - come Grecia, Ungheria e Italia - ai cui confini preme l’ondata di migranti. Anche Amnesty International esorta la Commissione europea ad "alleviare le sofferenze vissute da migliaia di profughi" arrivati sull’isola greca di Kos, dove "le condizioni di vita sono disumane".
Pentagono. Le immagini dello tsunami di disperati che tentano di raggiungere l’Europa e quella del bimbo curdo trovato sulla spiaggia di Bodrum preoccupano il Pentagono. "Dobbiamo affrontare sia unilateralmente che con i nostri partner questa questione come un problema generazionale, e organizzarci e preparare le risorse ad un livello sostenibile per gestire (questa crisi dei migranti) per (i prossimi) 20 anni". Lo ha dichiarato alla Abc il capo degli Stati maggiori riuniti degli Stati Uniti (il più alto ufficiale in grado) il generale Martin Dempsey che ha anche auspicato che la drammatica fotografia di Aylan "abbia un simile effetto a quella del 1995 del mortale attacco con i mortai alla piazza del mercato di Sarajevo, che spinse verso l’intervento della Nato in Bosnia": la comunità internazionale agì con maggiore efficacia per trovare una soluzione.
Il dramma continua, in acqua e sulla terraferma. Almeno 30 migranti sono annegati al largo della Libia; circa 200 sono stati dispersi dai gas lacrimogeni della polizia nell’isola di Lesbo mentre prendevano d’assalto un traghetto che li portasse verso la speranza. A Kobane, piccolo villaggio della Siria destinato a entrare nei manuali di storia contemporanea, è regnato per qualche ora il silenzio: il piccolo Aylan - morto sulla spiaggia di Bodrum e ritratto in una foto che ha scosso capi di Stato e di governo - il fratello di cinque anni e la madre sono stati seppelliti nella città al confine con la Turchia dove il padre li ha riportati. Aylan e il fratellino erano tra i 106.000 bambini che, secondo l’Unicef, hanno chiesto asilo in Europa nel 2015.

"Siamo stati per giorni senza niente, ce ne andiamo". Così i migranti spiegano perché stiano marciando per le strade di Budapest. Questa mattina, infatti, un migliaio di loro ha deciso di partire a piedi per raggiungere il confine austriaco e andare, da lì, in Germania. "I treni sono bloccati, che dovremmo fare?" dice qualcuno di loro. Nel mezzanino della metropolitana sono molte le famiglie rimaste, ma la piazza si è svuotata

(video di Francesco Gilioli ed Elena Peracchi)


Su Twitter la lunga marcia dei rifugiati verso Vienna
La decisione dei migranti: partono a piedi verso l’Austria
Ungheria, è Bicske il nuovo fronte caldo dell’emergenza migranti
Budapest, cade la pioggia sulla protesta di Keleti
Si getta con moglie e figlio sui binari, la disperazione di un profugo
Bressanone, due migranti sfuggono a polizia e saltano su treno per Germania
Salvini al Cara di Mineo: "Accogliere solo profughi cristiani"
Lampedusa, il salvataggio della donna che ha partorito sulla motovedetta


HO appena visto un uomo adulto, qui a Erbil, guardare il bambino Aylan e scoppiare in pianto. Scorro la home page di Repubblica.it.
Migranti, quella foto che sconvolge il mondo. Morto anche il fratellino. Il padre: "Li riporterò a Kobane"

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C’è la foto del soldato turco col bambino in braccio, meno terribile, ammesso che sia meno terribile una Deposizione, una Pietà maschile. Nella foto in cui è accanto al fratellino maggiore Galip e alla loro orsacchiotta, Aylan è davvero piccolo e, come si pretende dai bambini, felice: ha gli occhi chiusi perché ride. Sulla spiaggia sembra che dorma, ha detto qualcuno: sembra piuttosto che abbia voltato la testa alla terra, a tutto.
Aylan e Galip: i fratellini annegati nelle acque turche
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Ci illudiamo che ci siano cose che i bambini non possono capire, dalle quali preservarli. Non è vero. Ci sono cose che i bambini non capiscono perché sono insopportabili a un’intelligenza non ancora spacciata. Partire da una spiaggia di vacanza turca a una spiaggia di vacanza greca di notte, di nascosto, su un battello che un gesto brusco rovescerà: ecco una cosa che un bambino non può capire.

C’è un’altra immagine: alla stazione di Budapest i bravi volontari proiettano un cartone animato per i bambini. Che guardano a bocca aperta e ridono, sono tutti maschietti. "Un momento di spensieratezza". Forse, forse stanno solo facendo contenti i fotografi i volontari e i grandi in genere.
Budapest, i bambini rifugiati alla stazione guardano "Tom&Jerry"
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Lo sterminio siriano ha più di quattro anni, Aylan ne aveva 3, Galip 5, erano di Kobane: che cosa restava loro da capire, se non com’è profondo il mare. Altra foto, ancora alla stazione: è la bambina appena partorita da una signora siriana, "un’ambulanza si è rifiutata di portarla in ospedale ", l’hanno chiamata Shems, "Speranza". Un giorno, chissà dove, racconterà perché è nata in una stazione, perché è un po’ siriana un po’ ungherese, e perché si chiama così - spes contra spem, diceva san Paolo di Tarso, oggi Turchia. E c’è, scrive De Luna, il bambino sul cui braccio una poliziotta boema imprime un numero: a metà fra la vecchia infamia e l’estrazione dal mucchio.

L’impaginazione dei giornalisti e, prima di loro, la cronaca quotidiana, ha montato così un prisma del nostro mondo in un giovedì di inizio settembre del 2015, del tempo in cui si torna dopo essersi bagnati nelle stesse acque. Poi ci sono i commenti delle autorità, commossi - "in quanto padre...", rissosi, altruisti - "per favore, non venite in Europa!". Non ci sono dimissioni.
Ungheria, bimbo siriano a microfoni Al Jazeera: ’’Fermate la guerra e noi non veniamo’’
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C’è un altro video, sulla home-page, tratto da al-Jazeera. Un ragazzino, ha 13 anni, è siriano, parla con una delle guardie armate. Si chiama Kinan Masalmeh, ha una faccia bella, seria, non è vanitoso, ha due profonde occhiaie nere, non deve aver dormito molto la notte scorsa, gli anni scorsi. Parla un chiaro inglese e ricapitola: "La polizia non ama i siriani in Serbia, in Macedonia, in Ungheria o in Grecia ". Non li ama da nessuna parte. Poi pronuncia la soluzione: " Just stop the war, and we don’t want to go to Europe. Stop the war, just that ". Fermate la guerra, basta questo, e noi non vogliamo più andare (dice andare, non venire: sa di non esserci ancora) in Europa.

"Fermate la guerra, basta questo".
Infatti, basta, bastava questo.
Ci sono cose che i bambini non possono capire. E non riescono a spiegarle ai grandi.

ALESSANDRA BOLELLA
Teddy è categorico: “Non mi piace questo cibo”. Sai, gli dico, c’è un detto da noi: "A caval donato non si guarda in bocca". “E cosa vuol dire?”, chiede lui. Che quando ricevi qualcosa in dono, non dovresti mai lamentarti. “Ah. Ok. Però mi manca la zuppetta da tirare su con il pane e mangiare con le mani”. È uno dei pochi, lì, che parla inglese. Di fronte ha del riso al tonno, un pesce bianco (non molto saporito) e dei piselli. Così anche gli “ospiti” musulmani possono mangiare. E anche volontari e avventori. Commestibile, ma ben lontano dalle cinque stelle di cui parla qualcuno. Che evidentemente non è mai stato a pranzo lì.
I ragazzi della palestra: ecco come vivono da due mesi 54 migranti
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Teddy e altre 53 storie. Teddy è nigeriano. Il gruppo terrorista affiliato ad Al Qaeda, Boko Haram, gli ha raso al suolo la casa. Sua madre è morta. Lui fa lo sbruffone e scherza su tutto, a partire dalla mia telecamera, "sequestrata" da uno di loro che ci gioca. Scherza anche su di lui, Teddy. Poi però prende il cellulare e digita un numero che squilla a vuoto. "Non risponde. Non c’è più", dice. Sua madre non c’è più. Lui è uno dei 54 migranti ospitati dall’istituto scolastico Gino Luzzatto a Portogruaro, in provincia di Venezia, da inizio luglio, ma sono più di 200 le persone distribuite tra Eraclea e San Donà di Piave: dentro questa palestra ci sono 54 persone, 54 storie. Ognuna delle quali meriterebbe di essere raccontata. Molti sono minori; sono originari per lo più dell’Africa subsahariana, ma c’è anche un gruppetto proveniente dal Bangladesh. Quasi tutti hanno attraversato il deserto. Basta nominare Agadez e i loro occhi si fanno bui. Quasi tutti hanno guardato la morte da vicino, mentre erano sopra i barconi nel Mediterraneo. Quasi tutti partiti dalla Libia verso “Lampa Lampa”, la salvezza, così come viene chiamata Lampedusa. Il prefetto li ha mandati lì, ma adesso che iniziano le scuole devono essere trasferiti tutti. Non si sa quando, non si sa dove. Il gruppo dei 14 originari del Bangladesh sono arrivati a Annone veneto, altri sono in partenza per Marghera e la riviera del Brenta in appartamenti privati convenzionati con la cooperativa e i ghaniani sono ospiti alla Croce Rossa di Jesolo. Finalmente una stanza, un po’ di privacy, sogno di ogni notte di una estate intera.

Nord sud ovest est. Accade a Portogruaro, a pochi chilometri dal red carpet della Mostra del cinema al Lido di Venezia che ospita una marcia scalza per sensibilizzare anche il pubblico più glamour alla tragedia in corso, a molti di più dal festival delle migrazioni di Acquaformosa, piccolo paesino di mille abitanti nel cuore del Pollino nel quale in cinque anni sono passati oltre 600 migranti. Così, mentre la foto choc del bimbo sulla spiaggia di Bodrum fa il giro del mondo e l’emergenza migranti continua in tutta Europa, la punta più a est del Veneto e quella più a ovest della Calabria vantano due esempi concreti di solidarietà, integrazione, accoglienza. Dal basso, dalla comunità. Da nord a sud. Da est a ovest.

Veneto solidale. "La preside dell’istituto Luzzatto, di competenza provinciale come tutte le scuole, è stata molto disponibile", spiegano i volontari. Del resto, così ha deciso il prefetto. I parroci della zona avevano fatto un sopralluogo in alcune strutture della Chiesa, che erano già occupate da altre attività o in condizioni non adatte ad ospitare persone. “Il Comune se ne è chiamato fuori e, anzi, ha cavalcato le polemiche a livello regionale e la “furia” di Zaia. Il sindaco non si è mai fatto vedere”, dicono i volontari. E a noi non risponde. Però in Veneto ci sono attualmente 5.184 profughi, il 6% dei presenti in Italia (si dovrebbe raggiungere quota 8%) e 1 su mille in relazione ai 5 milioni di abitanti (in Germania sono 2, in Francia 4, in Svezia 14, tanto per fare degli esempi). Incaricata dell’accoglienza per questa emergenza estiva nel nordest, su delega del prefetto, una cooperativa di Carpi, la Solaris.
Portogruaro, una palestra di integrazione
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Solo contusioni. Non è così facile entrare nella palestra. All’ingresso c’è Florica, infermiera specializzata della cooperativa. Capelli rossi e occhi verdi come il camice che indossa. Sguardo severo. Un vero Cerbero. E non c’è pagnotta che tenga. Protegge questi ragazzi come fossero suoi. Di origini romene, lavora in Italia dal 2007: è lei che si occupa della loro igiene. Sono in salute. Non c’è nessun rischio sanitario. Gli unici problemi che hanno sono le stirature e le contusioni che li costringono a consumare tubetti interi di pomate. Se le fanno giocando a calcio. Unica tentazione a cui non resistono. Si sono divisi in due squadre e hanno organizzato un torneo, con coppa. Teddy è il capitano. A parte le attività sportiva e qualche dvd a disposizione per guardare la tv, i ragazzi hanno potuto anche frequentare un corso di italiano grazie alle associazioni locali e ai volontari che si sono dati da fare e. Paola, la maestra, è rimasta sorpresa dalla loro “volontà di imparare. Sono volenterosi, disposti a fare qualsiasi lavoro. Alcuni assorbono con una velocità incredibile. Sono pieni di vita, stanno dentro la vita come oramai non ci si sta più, in questa Italia vecchia e spenta”.
Siamo in cima. “La cooperativa fa quel che può. Ma i cittadini stanno dando un grande contributo”, dice Damiano Nonis, 30 anni, insegnante di educazione fisica. Gli abitanti del quartiere e i volontari di oltre venti associazioni che si sono impegnate nell’accoglienza portano di tutto in palestra: vestiti, cose da bagno, cibo. E soprattutto, loro stessi. Il loro tempo, i loro giorni di vacanza, o il primo giorno di pensione, come per Valentino. Damiano non si preoccupa della destinazione scolastica, ha passato le sue ferie qui. Va in montagna abitualmente e ha deciso di portare un gruppetto di loro con sé. “Abbiamo dormito fuori, in un bivacco. Erano così felici di vedere le montagne. Telefonavano agli amici qui: “Top of the mountain, top of the mountain”, dicevano “Siamo in cima”. Hanno grande resistenza, mangiano pochissimo”. Con lui i “ragazzi della palestra” hanno risistemato il campetto da basket e quello da calcio che ci sono lì vicino: “Abbiamo messo le porte nuove, aggiustato i canestri. È stato bellissimo”. Si è creato un rapporto molto stretto tra volontari e migranti.
Vita da migrante: a Portogruaro la "palestra della discordia" diventa esempio di integrazione
I ragazzi del Bangladesh e la maestra Paola (a sinistra) e la volontaria Alida (a destra)
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Mama. “Mama, Mama, vieni”. In coro la chiamano. Non è chiaro all’istante a chi si rivolgano perché “mama” è un appellativo affettuoso che i ragazzi usano per attirare l’attenzione dell’inflessibile infermiera Florica, che distribuisce cibo, medicine e ordini militareschi, ma anche altre “mamme”: le volontarie che vanno lì a dare una mano. Tutte mamme "adottive" di molti di questi giovani che quella vera non ce l’hanno più. Alida fa parte dell’associazione pensionati della Cgil. È lei che chiamano adesso perché qualcuno le ha fatto un dono: un disegno, con dedica. L’autore è un decoratore. Era il suo lavoro in Bangladesh. “Abito qui vicino e sono venuta dal primo giorno, quando ho visto che c’erano persone che avevano bisogno di aiuto. Non voglio pensare a quando andranno via. Mi mancheranno così tanto. Sono come figli miei. E loro mi chiamano mamma. Penso a cosa accadrebbe se fossero i nostri figli, nipoti ad avere bisogno di accoglienza da qualche parte, nel mondo”. Il loro arrivo irrompe nella vita di Alida, come in quella di tutti coloro che abitano nei dintorni della palestra. Li vedono. Non più solo in tv o sui giornali. Proprio davanti alle loro finestre. Alle loro cene in famiglia. Non sono rimasti indifferenti. "Li ho invitati a cena, hanno pescato i pesci nei fossi qui vicino e hanno cucinato". Pesce, ma anche carne di pollo. Ne vanno ghiotti. "Ho visto sparire in mezzora 30 polli e 10 litri di sugo. Incredibile la fame che devono avere sofferto", racconta un volontario.
Vita sopra il materassino. I ragazzi impacchettano le loro cose. Riordinano le coperte, le lenzuola. Piegano le loro magliette con cura maniacale. Si fanno la barba, i capelli. Sanno di non poter restare lì perché a giorni altri ragazzi frequenteranno quella palestra. Anche loro sui materassi. Non per dormirci, però, solo per fare gli esercizi di educazione fisica. Gli studenti. Anche loro scherzeranno, giocheranno, si isseranno sul quadro svedese. Un’ora o due alla settimana, non di più, forse ignari dei loro precedenti coinquilini che, nonostante le preoccupazioni di qualche genitore, non lasciano sporcizia, ma solo un altro pezzettino della loro vita e del loro viaggio. “Abbiamo trovato pulito e lasceremo pulito”, dice Teddy mentre raccoglie le foglie in giardino e sistema i piatti del pranzo nei bidoni, rigorosamente differenziati.
Honoré de Balzac. In teoria sono liberi di muoversi, alcuni hanno paura della polizia. Spunta un libro dalla mensola. È Balzac. "Mi piace leggere. Soprattutto storie vere, documentari, ma anche qualche romanzo". A Emmanuel David piace andare in biblioteca. Sfuggito dalla guerra in Sierra Leone e dai soldati che lo avrebbero arruolato a soli 14 anni, poi dalla dittatura del Gambia, dai trafficanti del deserto e dalle sevizie dei libici. Sfuggito al mare del Mediterraneo e anche al suo sogno: “Studiare computer” o qualsiasi cosa possa dare “un senso alla mia vita”. Nessuno di loro ha ancora presentato i documenti per la tutela giuridica e la richiesta di asilo. Migranti economici o rifugiati di guerra. Sembra l’unica, sottile, linea rossa tra la disperazione e la salvezza. "Sapevo che era pericoloso, ma non avevo scelta. Morte certa o il mare blu. Qualcosa devi scegliere. Era la mia unica opportunità di una vita migliore". Sono parole piene di vita e di speranza. La stessa che spinge ad infilarsi dentro il cofano di una macchina, o un trolley.
Noi accettiamo. C’è un biglietto nella mia borsa, lasciata per tutto il tempo incustodita, appoggiata a terra. È scritto a penna. "In Libia, quando lavoravo, alcune persone pagavano altre persone non pagavano. Perché alcune persone non erano gentili". Un italiano perfetto. Sotto c’è scritto: "Accettare. Io accetto, tu accetti, lui/lei accetta, noi accettiamo, voi accettate, loro accettano". L’ultima "t" è stata aggiunta dopo, una correzione, non dovuta. In fondo al foglietto: "Noi accettiamo". Quale migliore scelta verbale. Una lezione a chi dimentica che un giorno potremmo tutti essere migranti: loro "accettano", noi ancora no.