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 2015  settembre 04 Venerdì calendario

PER UN PAIO DI SCARPE, SCOPPIA LA LITE CHE PROVOCA UNA STRAGE

Primi mesi del 1096, Europa centrale. Nelle piazze, nelle strade, nei paesi, nelle città, nelle campagne c’è agitazione derivata direttamente dall’invito di Urbano II a partecipare al pellegrinaggio per liberare la Terrasanta dagli infedeli. È agitazione incontrollata, un fuoco alimentato dalle parole dei predicatori, primo fra tutti Pietro l’Eremita. E il fuoco, si sa, non si muove secondo regole, ma attecchisce dove può bruciare meglio. È impossibile governare e indirizzare un incendio. L’uomo moderno ha incapsulato il fuoco nelle bombe, sempre più raffinate per capacità distruttrice. Ma, inevitabilmente, quel fuoco quando è liberato, divora tutto senza far differenze. Così è per l’interpretazione delle parole di Urbano: amplificate dalle prediche di Pietro, diventano altro e incendiano gli animi nelle piazze. Ci si raduna, ci si arma, ci si fomenta l’un l’altro: si vuole partecipare al pellegrinaggio armato verso Gerusalemme. Se non ora, quando? Subito, noncuranti dell’organizzazione ufficiale. Sì, perché l’inizio delle operazioni è previsto per il 15 agosto, mentre questa massa esagitata vuole anticipare tutto e tutti e partire. Del resto Deus lo volt, Dio lo vuole.
Ma lo vuole anche il papa, lo chiede Pietro urlando in piazza e ora lo vogliono un po’ tutti, compreso l’imperatore di Oriente, Alessio Comneno. Si parla anche di lui nelle piazze, benché sia una figura lontana ed evanescente. Pare abbia chiesto aiuto al papa, si dice. E, allora, non c’è tempo da perdere, bisogna andare: tutti in viaggio, verso Costantinopoli. Molto prima della data ufficiale si agitano più gruppi di volontari con la croce. Un nucleo centrale attorno a Pietro e a Gualtiero Sansavoir, immaginato “senza averi”: in realtà un nobile il cui nome caratterizza i signori di Poissy e non un’indigenza tale da giustificare la partecipazione alla crociata dei pezzenti. Anche se sufficientemente organizzata, sarà chiamata così l’armata di Pietro e dei suoi accoliti negli anni a venire. Migliaia di uomini più o meno inquadrati, armati non solo dalla voglia di rendere giustizia ai luoghi santi espiando i peccati, ma anche dalla fame. Partecipare ad una spedizione significa anche maturare il diritto di essere sfamati, sia come guerrieri, sia come pellegrini. Anzi: come pellegrini guerrieri. Per cui, se non ci fosse stata la solidarietà comune dovuta ai pellegrini, sarebbe entrato in campo il diritto non codificato al saccheggio, sempre presente al seguito di armate più o meno regolari. E così è.
Gli uomini di Gualtiero e Pietro si muovono dopo Pasqua: anche questo è un simbolo evidente e possiamo immaginare come sia stata santificata la Pasqua del 1096, caduta tra domenica 19 e lunedì 20 aprile. Pietro è in tournée e sta reclutando uomini, donne, giovani, anziani, tutti insieme per la causa “liberiamo Gerusalemme”. Tante adesioni, tanta partecipazione, altrettanta esaltazione. Le truppe di Gualtiero e Pietro scelgono la via di terra verso l’Oriente.
È il lunedì dell’Angelo, il 20 aprile 1096: Pietro e i suoi si mettono in marcia. Cantano, pregano, si esaltano a vicenda, con un procedere più simile all’armata Brancaleone, anche se tra gli arruolati c’è Fulcherio di Chartres, capitano esperto e autore di una cronaca dell’impresa, cronaca andata perduta. La regola in vigore è: il pellegrino in viaggio deve essere sfamato, assistito ed è scomunicato chi lo aggredisce. Ma qui ci troviamo di fronte ad un esercito di pellegrini in marcia, peraltro armati. E nessuno è in grado di sfamare migliaia di uomini, in un momento storico non così florido per l’economia del momento. Nonostante lo spirito dell’armata sia nobile, inevitabilmente la fame fa il resto. Non basta dire Deus lo volt, non basta urlarlo ritmicamente marciando, quasi a scandire il passo. Perché quel Deus lo volt diventa minaccioso verso chi non volt. Chi non volt far passare nei propri campi quel disordine crociato, chi non volt sfamare quelle bocche urlanti, chi non volt cedere alle richieste (tante e di ogni tipo, nessuna esclusa) di quella truppa in cammino nel nome di Dio.
Pietro e i suoi attraversano il territorio di re Colomanno d’Ungheria, infastidito per questo passaggio, anche se relativamente pacifico. Ma la violenza arriva a Zemun, vicino Belgrado, alla confluenza fra Sava e Danubio. Non basta ribadire Deus lo volt, perché gli ungheresi non riconoscono a quelli uomini il diritto di pretendere qualsiasi cosa nel nome del Signore. Non solo, ma sulle mura di Zemun i miliziani di Pietro vedono inchiodate sedici armature. Le riconoscono come appartenute a compagni di ventura agli ordini di Gualtiero Sansavoir, già passati di là. È la causa occasionale, il pretesto per attaccare in nome di Dio, ma soprattutto in nome dell’esaltazione affamata.
Il miscuglio fra fame ed esaltazione religiosa dà un fuorigiri al quale non sarebbe necessario aggiungere altro. Ma Pietro chiede vendetta tuonando e cavalcando il suo asino. Del resto Pietro nei tempi migliori non ha esitato a far vedere alla “ggente” una lettera, data come scritta direttamente da Cristo. Il tutto ad una popolazione di analfabeti. A Zemun è strage. Muoiono in quattromila fra gli abitanti di là, colpevoli di non aver ceduto alle pretese di un’ armata di esaltati pronti a colpire e scappar via. Così è.
Mentre Colomanno di Ungheria organizza una spedizione punitiva, i crociati pezzenti lasciano Zemun di corsa e, scappando, la retroguardia fa scorrere altro sangue per un paio di scarpe: qualcuno dell’esercito del Deus lo volt, volt portar via le scarpe ad un abitante del posto. Le scarpe sono importanti per chiunque, soprattutto avendone un paio solo. Ed è altra strage. Il Deus lo volt ha solo e sempre più le sembianze di un uomo: homo lo volt. L’uomo: con le sue contraddizioni, con le sue debolezze, con le sue esaltazioni, con il suo carattere ondivago e terreno risolto e giustificato chiamando in causa il Padre Eterno.

11 - continua