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 2015  settembre 04 Venerdì calendario

IN EUROPA AUMENTANO I MIGRANTI IN CERCA DI UN FISCO PIÙ LEGGERO: IL PORTOGALLO BATTE TUTTI, MENTRE L’ITALIA È IL PAESE MENO ATTRATTIVO

Da alcuni giorni l’articolo più letto sul sito politico.eu è dedicato alla politica fiscale del Portogallo, che negli ultimi anni ha varato una serie di misure favorevoli agli stranieri, con l’intento dichiarato di convincerli a trasferirsi in terra portoghese, sia per lavorare che per godersi la pensione. La misura più efficace è presto detta: dieci anni di tasse zero per i cittadini europei che decidano di mettere su casa in Portogallo. I più solleciti nel trarre profitto, rivela il sito, sono stati i francesi, sia pensionati che lavoratori ancora in attività. Questi ultimi, godendo di tasse più basse che in Francia sul lavoro autonomo e il commercio, hanno riempito Lisbona e altre città portoghesi di negozi dove si vendono prodotti tipici francesi (boulangerie, enoteche, fois gras), molto richiesti dai connazionali immigrati. Molti dei quali sono pensionati, felici come una pasqua di poter fare una vita da ricchi anche con una pensione mensile di mille euro esentasse, in un Paese dove il mare e il sole non mancano, e la sicurezza viene giudicata migliore di quella della Costa Azzurra, fino a poco tempo fa buen ritiro per eccellenza di tanti pensionati europei.
Oltre ai francesi, il Portogallo sta attirando anche un numero crescente di italiani. Posso testimoniarlo grazie al racconto di un amico giornalista di Roma, che insieme ad altri dodici colleghi, tutti pensionati, aveva deciso da tempo di fuggire dalla Capitale, sempre più invivibile, e di trasferirsi in un paese dal fisco meno vorace. Trasferirsi in gruppo, con le famiglie, ha una sua logica: si resta tra amici, ci si può aiutare, e si evita così l’isolamento, inevitabile dove si parla una lingua diversa. Un primo gruppetto, cinque o sei, si erano già trasferiti con le loro famiglie in Tunisia: mare pulito, sole, costo della vita basso, fisco quasi inesistente. Ma dopo l’attentato al Museo del Bardo compiuto dai tagliagole dell’Isis, quel gruppetto è immediatamente rientrato in Italia. Rapido consulto con gli altri colleghi che erano pronti a partire, ed ecco pronto il nuovo piano anti-fisco: trasferirsi al più presto in Portogallo, dove alcuni erano già andati in avanscoperta. Tasse zero, prezzi delle case molto bassi, agevolazioni fiscali per chi ne compra una, costo della vita così esemplificato: per un pranzo in trattoria, in centro città, con antipasto di mare, secondo di pesce, contorno, vino e caffè, il conto è stato di 5,60 euro a testa. Cifra con cui in Italia non si paga più neppure un piatto di spaghetti nei self service.
Sono piccoli esempi di una sofferenza fiscale ormai dilagante in Italia. E il premier Matteo Renzi fa bene a impegnarsi in un taglio di tasse per 50 miliardi. Ma già il calendario dei tagli promessi è troppo lungo nel tempo (via Imu e Tasi entro quest’anno, Irap nel 2016, Ires nel 2017, Irpef nel 2018). E poi, a giudicare dal primo passo, rischia di diventare un percorso di guerra con l’Europa, che da sempre (si indicazione della Bce di Mario Draghi) sollecita i Paesi membri a migliorare la produttività-Paese tagliando le tasse sul lavoro e sulle imprese, e non quelle sugli immobili. Che sia questa la scelta giusta, l’ha spiegato bene Edoardo Narduzzi su ItaliaOggi di ieri: anche dopo il Jobs act, il costo del lavoro dello stock di capitale umano per chi investe in Italia non è cambiato di una virgola, mentre sarebbe quanto mai urgente abbattere il cuneo fiscale di almeno sei punti. Cominciare dall’Imu e dalla Tasi sulla prima casa si spiega solo come una mossa elettorale, da spendere nella prossima primavera nelle elezioni di alcune città importanti, fra cui Milano e Napoli. Ma sul piano economico è un errore clamoroso, che il premier sta cercando di coprire buttandola in politica quando dice che spetta a lui decidere quali tasse tagliare, e non a Bruxelles. Cosa vera in linea di principio, che però lascia intatte le tante magagne del fisco italico, giudicato da tutti gli esperti il più pesante e inefficiente in Europa, un fisco da rottamare.
Uno studio della Confcommercio ha indicato il prelievo fiscale italiano sul pil pari al 53% effettivo (contro il 44,1% delle statistiche ufficiali), davanti a Francia (49,5%), Gran Bretagna e Germania (40%), Spagna (37,6%). Anche nella tassazione implicita sul lavoro, secondo l’Eurostat, l’Italia ha un primato negativo (42,8%), mentre tutti i competitor Ue sono messi meglio: Francia 39,5%, Germania 37,8%, Spagna 33,8%, Gran Bretagna 25,2%. I tempi e le procedure per pagare le tasse, secondo Doing Business, ci collocano al 138.mo posto, lontanissimi da Gran Bretagna (14.ma), Francia (52.ma), Spagna (67.ma) e Germania (89.ma). Da noi, per pagare le tasse aziendali, servono 15 procedure amministrative e 269 ore annue. In Gran Bretagna bastano 8 procedure e 110 ore. Renzi ha promesso che taglierà le tasse riducendo la spesa pubblica. È un ritornello che sentiamo da troppi anni, con risultati opposti: la spesa pubblica continua ad aumentare, e il debito pubblico, come ItaliaOggi ha fatto notare, è raddoppiato, invece di diminuire. E se i pensionati che scappano in Portogallo dicono che la loro è «una mossa difensiva dal fisco», fatta con la stessa logica delle imprese che investono dove conviene, c’è poco da stupirsi. I conti gli danno ragione.
Tino Oldani, ItaliaOggi 4/9/2015