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 2015  settembre 04 Venerdì calendario

SULLA SICUREZZA SI RICOMINCIA DA TRE

Elementare, Watson! Non serviva uno Sherlock Holmes per capire che nell’organizzazione delle forze dell’ordine in Italia ci sono troppe cose che non vanno. Certo, le scene del finale di "Fracchia la belva umana" con i carabinieri e gli agenti del commissario Auricchio che si scontrano per catturare lo stesso latitante appartengono sempre più al passato ma duplicazioni e sovrapposizioni tra i corpi dello Stato sono diventate insostenibili per i conti pubblici. Anche perché l’approccio degli italiani alla questione sicurezza è cambiato: più che terroristi e mafiosi, fanno paura le minacce quotidiane, dalle rapine in casa ai piccoli furti. «Il cittadino si sente utente di un servizio che giustamente pretende efficiente e tempestivo», ha spiegato già nel 2007 l’allora capo della polizia Antonio Manganelli. Da allora però la situazione non è migliorata. Anzi, cinque anni di tagli lineari, dal blocco degli arruolamenti all’impoverimento dei fondi per i mezzi, hanno inflitto duri colpi all’attività sul territorio. Così la grande riforma della pubblica amministrazione varata a fine luglio dal ministro Madia è diventata l’occasione per ridefinire il settore della sicurezza.
Per mettere a punto un piano di razionalizzazione i vertici delle tre forze principali si confrontano a Palazzo Chigi. Lo chiamano "il tavolo Gutgeld", dal nome del consigliere a cui Matteo Renzi ha affidato la spending review delle uniformi. Sembra sia stato dominato da una sintonia senza precedenti tra polizia, carabinieri e finanza, anche perché tutti hanno gli stessi problemi e l’interesse a definire riforme condivise. I rapporti con il parlamento sono stati tenuti in modo discreto dal deputato Pd Emanuele Fiano, che da anni si occupa di queste materie. Come regista politico dell’operazione viene indicato Marco Minniti, il sottosegretario all’intelligence che per i suoi trascorsi di viceministro degli Interni dimostra una consuetudine con i dossier della sicurezza superiore all’attuale titolare del Viminale Angelino Alfano, molto preso dalla vicende del suo partito. Quanto alla Difesa, da cui dipendono i carabinieri, il numero uno dell’Arma Tullio Del Sette ha la piena fiducia di Roberta Pinotti, di cui è stato capo di gabinetto fino alla nomina a comandante generale.
Il risultato è elementare, ma potente. Prevede di mettere ordine nelle competenze, spazzando via una serie di doppioni che apparivano assurdi e concentrando il personale sui fronti più caldi. Non ci saranno più due nuclei che si occupano d’opere d’arte: scomparirà quello della Finanza per affidare la missione ai carabinieri. Che, dal canto loro, dismetteranno il reparto per la lotta alle banconote false lasciando il campo alle Fiamme Gialle. La sfida ai grandi crimini informatici – dove tutti hanno fatto capolino – sarà sostanzialmente appannaggio della polizia, che curerà la protezione delle reti strategiche dagli assalti degli hacker. Nel futuro prossimo, ognuno si potenzierà seguendo una vocazione precisa ed evitando di accavallarsi: le questure investiranno di più nelle metropoli; l’Arma nelle fasce periferiche e nelle province, irrobustendo la rete delle stazioni; le Fiamme Gialle si concentreranno sulla polizia economico-finanziaria. Cosa significa? Ad esempio, diminuirà progressivamente l’anacronistico schieramento di finanzieri per l’ordine pubblico durante i cortei e le partite di calcio: personale che resterà sulle strade, ma per combattere evasione fiscale e mercato dei falsi. Nel prossimo anno i presidi sul territorio verranno aggiornati, per «essere lì dove sono i problemi». E in tutta Italia sarà introdotto il centralino unico112, per ora attivo solo in Lombardia, che riceve le richieste dei cittadini, smistandole a chi deve intervenire: vigili, pompieri, ambulanze o polizie.
È da questi provvedimenti che si vuole ottenere risparmi ed efficienza. Mentre la soppressione della Guardia Forestale, introdotta dal ddl Madia, pare più un’iniziativa dal valore simbolico, visto che sparirà solo il vertice del Corpo. I 7563 forestali, tranne i circa 600 uomini che si occupano di lotta agli incendi, sembrano destinati a confluire nei carabinieri. C’è una questione giuridica ancora non definita: il passaggio da un’amministrazione civile allo status militare, che però quasi tutti i parlamentari da destra a sinistra hanno appoggiato superando antiche diffidenze. Quella dell’Arma d’altronde è l’unica struttura sul territorio che può assorbire le 1200 caserme, spesso minuscole, sparse su monti e parchi. Inoltre saranno i carabinieri ad avere competenza sul contrasto all’inquinamento e alle frodi alimentari, due temi fondamentali in cui la Forestale ha un ruolo importante mentre la Finanza farà un passo indietro, dedicandosi alla prevenzione ambientale marittima. L’ipotesi al vaglio è di far confluire i forestali in un "ruolo speciale" dei carabinieri, mantenendo quindi distinti compiti e carriere.
L’unico settore turbolento è stato il mare. Polizia e carabinieri si ritireranno, lasciando la missione solo alle Fiamme Gialle. Nel "tavolo Gutfeld" e in Parlamento però negli scorsi mesi si era discusso di sciogliere la Capitaneria, altro organismo ibrido a metà strada tra Difesa e Trasporti, che in vent’anni ha silenziosamente ampliato le competenze: in base ai codici, può persino occuparsi di polizia stradale, facendo venire alla mente un celebre spot in cui un agente in moto inseguiva una barca a vela. Dietro le quinte c’è stata una battaglia navale tra Marina e Finanza. Alla fine la Guardia costiera sopravvive, ma ridimensionata nei vertici – in futuro non ci sarà più un comandante generale, riducendo il numero degli alti gradi – e nei compiti, limitandosi al soccorso dei naufraghi, alle dirette dipendenze dell’ammiragliato militare.
Resta un tabù invece l’antimafia. Più di venti anni fa si era deciso di affidare il compito alla Dia, dipendente dal Viminale, ma i tre organi specializzati delle altre polizie– Ros, Gico, Sco – si sono sempre più rafforzati. E oggi la Dia appare come la cenerentola della guerra ai clan, con risultati opachi e mansioni che sembrano ridursi alle certificazioni e alla protezione dei pentiti, tanto che magistrati illustri come Nicola Gratteri sono arrivati provocatoriamente a ipotizzarne l’abolizione. Il tema però è troppo delicato, con il rischio di polemiche politiche, e il governo ha preferito non toccare l’organizzazione del contrasto a cosche e narcos.
I risparmi però verranno anche da altri fronti. La legge chiede due sforzi. Ridurre i dirigenti e trovare una gestione unitaria per quanto riguarda acquisti, addestramento e caserme. Oggi spesso stazioni e commissariati hanno sede in edifici affittati a caro prezzo, mentre ci sono basi militari dismesse e immobili confiscati alle mafie che non vengono usati: un lusso che non si può sostenere. Così come negli appalti, spesso con gare diverse per comprare lo stesso tipo di auto o di velivolo. E più il mezzo è sofisticato, più aumentano i prezzi per l’assistenza, che si tratti di computer o di barche. Oggi ci sono veri paradossi, con contratti di manutenzione differenti per ogni singolo elicottero, oltre 600mila euro l’anno nel caso della Capitaneria: spese che si vuole abbattere uniformando i modelli e unificando i centri tecnici. Quanto alla razionalizzazione delle gerarchie, i nodi irrisolti sono diversi. Un dato statistico offerto dal dossier della spending review del governo Monti segnala che nel compartimento "Roma Centro" contro i 414 poliziotti previsti ne risultino ben 7500. Le resistenze non mancano, a tutti i livelli. Carabinieri e Finanza hanno il vantaggio della natura militare: una volta impartiti gli ordini, si obbedisce. La polizia invece ha un’organizzazione più lineare ma deve negoziare ogni cambiamento con la nutrita schiera di sigle sindacali. La stessa che ha di fatto bloccato la soppressione dei reparti navali, che l’Arma ha invece più che dimezzato nel giro di cinque anni seguendo una revisione autonoma dei costi (vedi box a pagina 40).
Per tutti i dipendenti pubblici però il ddl Madia impone una rivoluzione delle carriere, obbligando a fare pesare di più "merito e professionalità" nelle promozioni, adesso troppo spesso dominate dagli automatismi delle anzianità di servizio e – per i gradi superiori delle forze dell’ordine – dai giochi delle cordate interne o persino dalle influenze politiche. Una grande novità, con criteri che vanno ancora definiti. Perché senza i decreti attuativi la riforma non potrà partire.
Quanto si risparmierà non è ancora chiaro. Le stime iniziali parlano di 42 milioni di euro dall’accorpamento delle attività sul mare, altri 40 milioni dagli affitti delle sedi e circa 26 milioni dalla centralizzazione degli acquisti. Ma a regime si può andare molto più a fondo. Sulla base della radiografia dei bilanci realizzata da Piero Giarda per il governo Monti alcune analisi sono arrivate a prospettare un beneficio di 360 milioni solo sulla logistica – immobili, auto, manutenzione – e altri 180 milioni dalla razionalizzazione dei reparti speciali. E c’è chi spera che entro il 2025 le forze dell’ordine riescano a mettere da parte almeno un miliardo l’anno. Utopia?
Questi soldi non resteranno nel settore. La legge Madia propone di lasciare alle polizie fino alla metà dei risparmi: la decisione spetta al ministero dell’Economia. E questa formulazione non rappresenta certo un incentivo ai sacrifici. Anche perché la richiesta è quella di spendere meno ma aumentare la sicurezza per i cittadini. Una missione quasi impossibile alla luce degli stanziamenti attuali e soprattutto dai buchi negli organici: negli ultimi quattro anni meno della metà dei pensionati è stata rimpiazzata. Entro il 2018 alla polizia mancheranno 21 mila uomini e alla Finanza 15 mila mentre i carabinieri sono già sotto di 13.500. Nonostante questo la stragrande maggioranza dei fondi serve per gli stipendi, lasciando le briciole per i mezzi e l’addestramento. E l’età media continua a salire: ormai si è già a 42 anni, troppi per un lavoro logorante come quello del poliziotto.
Di imitare il resto d’Europa e aumentare la presenza di impiegati civili – con mansioni burocratiche e paghe minori – per smaltire alcune pratiche, come i passaporti o i permessi per gli immigrati, non se ne parla: negli altri Paesi ormai formano un quinto dei ranghi, da noi sono circa il 5 per cento.
Il governo dal prossimo anno ha promesso di eliminare il blocco del turnover e già a dicembre l’Arma spera di arruolare un contingente di giovani carabinieri, selezionati con un concorso ma mai assunti. L’unica risposta però può venire solo dalla razionalizzazione. Rivedere la mappa dei presidi, dirottando agenti e carabinieri dove servono di più: mandare sulle strade, nelle stazioni e nei commissariati uomini e donne che verranno reperiti eliminando doppioni e comandi. Convincendoli che saranno i loro risultati a determinare la carriera. Questa sì sarebbe una vera rivoluzione.