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 2015  settembre 04 Venerdì calendario

LA DESTRA NON HA VOTI MA HA UN POPOLO

Le fortune elettorali della destra non sono destinate ad un irrimediabile declino. Un conto è la crisi verticale della capacità politica di rappresentare un elettorato che spazia dai populisti scatenati ai conservatori compassati, un conto è la consistenza numerica di questi settori e la loro pervicace ostilità alla sinistra. Le elezioni europee dell’anno scorso hanno dato l’impressione che fosse in atto un riallineamento delle preferenze politiche degli italiani, dalla coppia Berlusconi-Bossi a Renzi. In realtà, non solo le elezioni europee hanno sempre fornito risultati "eccentrici" che non si sono mai riportati sulle politiche (esempio: nel 1994 Forza Italia arrivò al top con il 30,6 per cento e due anni dopo raccolse il 20,6) ma, soprattutto, nel 2014 il travaso di voti dalla destra verso il Pd è stato praticamente irrilevante. Come dimostra un saggio di prossima pubblicazione a cura di tre studiosi di comportamento elettorale, Paolo Segatti, Monica Poletti e Cristiano Vezzoni, il grande successo del Pd nel 2014 è dovuto quasi esclusivamente alla conquista di voti da Scelta Civica e dal M5S, e al recupero di vecchi elettori (reali o potenziali) del Pd che nel 2013 gli avevano voltato le spalle.
L’elettorato di destra è ancora rinserrato nei suoi ranghi: per ora si è messo alla finestra in attesa di una proposta politica più allettante di quella fornita fin qui. Solo di fronte alle posizioni più estreme e radicali, come quelle proposte dalla Lega salviniana, ha incominciato a rimobilitarsi. Non è certo una novità che le motivazioni più forti per votare il Carroccio venissero dalle sue posizioni sulle questioni dell’immigrazione e della sicurezza. Salvini le ha però dato una intonazione così diretta e così disinibita da riuscire ancora più convincente. Finora la Lega ha pescato nel serbatoio forzista, ma essendo questi temi trasversali e fortemente emotivi può intercettare anche componenti di sinistra, spaventate dall’ "invasione" di immigrati e dall’impennarsi dei reati, e disposte quindi a sostenere chi dia l’impressione di occuparsene più decisamente. Il ritardo della sinistra su questi temi rischia di aprire una falla nel suo tradizionale elettorato.
Salvini, però, è solo. È l’unico elemento trainante del suo campo. Berlusconi non soltanto perde i pezzi, Verdini da un lato e Fitto dall’altro, ma non offre nulla di credibile al proprio elettorato. Quell’impasto di vitalismo e spinta innovativa che il Cavaliere incarnava, e su cui si è fondata tanta parte del suo successo, si è disfatto. Non c’è più "forza" nella sua offerta politica, e men che meno novità. Ma se il berlusconismo rampante è disarcionato, i suoi elettori non vogliono approdare alle rive del Pd. Rimangono ancorati al loro spazio tradizionale in attesa di qualcuno che li riporti al voto. Il problema allora è proprio questo: chi e cosa può rimobilitarli? Le sguaiataggini salviniane hanno limiti geografici (per ora) e di buon senso, oltre che di buon gusto. Chi si affida a lui urla e protesta; e si accontenta. Perché sa, in cuor suo, che il governo di un Paese è un affare un po’ più complesso. Questa è la ragione per cui molti elettori arrabbiati, pur sostenendo spassionatamente formazioni populiste - si pensi al Front National di Marine Le Pen o all’Independence Party di Nigel Farage - alla fine, quando si deve scegliere chi governa, si rivolgono a partiti più attrezzati e credibili. In Italia, però, manca il soggetto politico che incarni una destra moderata-conservatrice, di governo, in grado di connettersi con i Repubblicani di Sarkozy, i Conservatori di Cameron o la Cdu della Merkel.
Una destra di questo genere poteva (forse) nascere nel 2010 se Gianfranco Fini non fosse stato fermato da un inopinato ritardo nel mettere ai voti la mozione di sfiducia al governo Berlusconi. Quel fallimento ha lasciato spazio al populismo forza-leghista. Ed ora che è rimasto in campo solo il Carroccio, manca una destra di governo. L’assenza di una alternativa plausibile alla sinistra - e al M5S - lascia milioni di elettori moderati senza rappresentanza. La ricomposizione della destra, questa volta lungo una linea di "normale" conservatorismo europeo, è quindi auspicabile per il buon funzionamento del sistema politico.