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 2015  settembre 04 Venerdì calendario

GIORGYJ E I SUOI COMPAGNI NEI MISTERI DI BESLAN

Alina Tetova, 12, Boris Gusiev 14, Ani Rusova 4, Aslan Dzamlaev 2 anni… La voce fredda dell’altoparlante nomina le 334 vittime del massacro alla scuola di Beslan. Sotto il sole cocente, non si muove foglia, tutti in silenzio, compreso il presidente dell’Ossezia del Nord, Tamerlan Aguzarov. Al vento, per una volta, non ci finiscono le parole delle autorità, quanto 334 palloncini bianchi. I familiari delle vittime ­ a Beslan più o meno direttamente tutti hanno sofferto un lutto ­ non hanno bisogno di belle e inutili parole, chiedono solo rispetto per i propri cari. Eppure in mezzo a questi c’è pure chi, 11 anni dopo la tragedia scolastica più grave della storia, preferisce alzare la voce e non accontentarsi della versione ufficiale del Cremlino.
Uno dei primi a esser nominati tra le vittime è Giorgyj Agaev, 8 anni il giorno della strage. Eppure il corpo di Giorgyj non è mai stato ritrovato: “Non ho intenzione di andarmene dall’Ossezia, nonostante parli tre lingue – rassicura Alexandar Agaev, al tempo aveva 11 anni e rimase ferito lievemente – quando mio fratello tornerà a casa io voglio essere qui. Se lui non è con noi è colpa mia, potevo fare di più per stargli vicino”. La storia della famiglia Agaev è singolare nella sua drammaticità.
Quel 3 settembre del 2004 rivivrà, sempre: “Semplicemente mio figlio non si trova, è sparito – spiega Tamerlan Agaev, nel massacro sua moglie è rimasta ferita gravemente – Le autorità russe e ossete vogliono farmi credere che il suo corpo, bruciato e irriconoscibile, è stato sepolto. Hanno provato tre volte ad attribuire a Giorgyj i resti di un altro, eppure gli esami, compresi quelli che ho fatto svolgere a Berlino, confermano che non si tratta di lui. Quel giorno terribile, testimoni hanno notato un uomo alto e brizzolato prendere Giorgyj e caricarlo in un’auto. Non ho prove, ma sono certo che lui sia vivo, affidato a una famiglia russa. Se un giorno tornerà, però, lo faranno fuori di sicuro”.
Il pellegrinaggio alla scuola n. 1 è continuo, già dalle prime ore del mattino. Studenti della nuova scuola n. 1, commossi, portano un fiore, una bottiglia d’acqua, accendono una candela. Un sarcofago di acciaio e cemento salvaguarda il mantenimento dei tronconi anneriti dell’edificio semidistrutto dall’attacco delle forze speciali russe più che dalle cariche esplosive dei 33 terroristi (32 morti, 1 in carcere a vita). L’interno è rimasto come quel pomeriggio del 3 settembre, subito dopo il blitz.
Ci sono i famosi tabelloni da basket dove i terroristi wahabiti avevano piazzato cariche esplosive finite sui tg di tutto il mondo. Il quadro svedese carbonizzato, i buchi sul pavimento in legno provocati dalle esplosioni. Il soffitto collassato e i fori delle pallottole sulle pareti, a centinaia. Un mare di garofani rossi, di bottiglie d’acqua e di altre bevande senza tappo per simbolizzare la grande sete patita dagli ostaggi, peluche, modellini di auto.
Boris Ilin mostra le tre foto, triste sudario di una esistenza finita in pezzi. Nella conta dei morti Boris ha perso la figlia di 26 anni e i nipoti di 4 e 7 anni. Poco tempo dopo è venuta meno la moglie e oggi vive solo: “Faccio passare il tempo, non resta altro in attesa del mio turno. Mi piacerebbe solo che la verità venisse a galla prima di andarmene. No, io il 3 settembre non partecipo alla parata, me ne sto a casa. Domani, con calma, andrò al cimitero”. Lotta a cui un gruppo di donne coraggiose non rinuncia.
L’unico momento di tensione della cerimonia alla scuola ­ la seconda parte si è svolta al cimitero ­ è stato quando sono arrivate le rappresentanti del gruppo ‘La Voce di Beslan’ e hanno tentato di mostrare un lenzuolo con scritto “Putin è il boia di Beslan”; la polizia glielo ha impedito. “Non siamo ben viste – attaccano Ella Kesaeva e Emma Tugaeva, la seconda ha perso due figli nella strage – Non è stata solo una strage terroristica e noi andremo avanti. La Corte dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo ci ha dato ragione, incolpando Putin e la Russia che fanno spallucce”.
C’è anche un po’ d’Italia in questa protesta, gente che non si abbassa a un racconto di comodo. Da anni l’associazione Mondo in Cammino si batte anche per avere giustizia su Beslan. È appena uscito Beslan, nessun indagato scritto proprio da Ella Kesaeva: “La politica messa in atto da Mosca in quella realtà – afferma Massimo Bonfatti – è quella del ‘divide et impera’. Se l’Ossezia del Nord, unica regione ortodossa e russofona di quel Caucaso del Nord, continuerà ad avere nemici, sarà sempre necessaria la presenza ‘protettiva’ di Mosca. E così sia”. Mentre in tutto il resto della Russia le lezioni di scuola sono iniziate, come sempre, il 1° settembre, a Beslan il suono della campanella riecheggerà soltanto domani. Quattro giorni di vacanza in più a cui tutti, a Beslan, avrebbero fatto a meno.