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 2015  settembre 04 Venerdì calendario

STOP ALLA PRIVATIZZAZIONE DELLE FS. UN RENZIANO VERSO IL VERTICE

La privatizzazione delle Ferrovie esce dalla fitta agenda di Matteo Renzi. Al suo posto entra una voce più attinente alle inclinazioni del premier, la nomina di un nuovo vertice. L’amministratore delegato Michele Elia, dato in uscita già da tre mesi, potrebbe lasciare presto il posto a Renato Mazzoncini, amministratore delegato di Busitalia, controllata dalle Fs.
Mazzoncini, banché nato a Brescia 46 anni fa, dispone dei giusti quarti di fiorentinità. Fu lui, nel 2012 – appena chiamato dal’allora numero uno Mauro Moretti al vertice della società Fs per il trasporto su gomma – a fare con Renzi, allora sindaco di Firenze, l’accordo per la cosiddetta privatizzazione dell’Ataf, l’azienda tranviaria fiorentina.
La privatizzazione realizzata vendendo a una società statale è stato un capolavoro lessicale ben presto entrato nella mitologia renziana, complice la consulenza legale fornita dall’allora avvocato Maria Elena Boschi. Mazzoncini, che è anche presidente dell’Ataf, è dunque da tempo nel cuore di Renzi. Basti pensare che l’avvocato di Busitalia è Alberto Bianchi, legale anche di Renzi nonchè presidente e tesoriere della sua cassaforte, la Fondazione Open. Curiosamente Bianchi ha assistito nei mesi scorsi Busitalia in una dura controversia legale con la governatrice del Friuli Venezia Giulia, Debora Serracchiani, vicesegretaria del Pd, per la gara di affidamento del trasporto pubblico regionale.
Renzi aveva già pensato al nome di Mazzoncini un anno e mezzo fa per la sostituzione di Moretti, passato al vertice di Finmeccanica. Nell’occasione Moretti riuscì a spingere la candidatura del suo delfino, Elia appunto. Il quale ha però deluso le aspettative ed è caduto in disgrazia.
Adesso in corsa ci sarebbe anche Vincenzo Soprano, attuale numero uno di Trenitalia e altro braccio destro di Moretti, il cui mandato è scaduto a maggio ma che è stato lasciato in prorogatio perché il governo non ha ancora deciso se confermarlo o trovare un sostituto. La soluzione Soprano piacerebbe a Moretti, che però, dicono a Palazzo Chigi, ha perso un po’ di punti come suggeritore proprio per la delusione patita con la scelta di Elia.
Nei mesi scorsi Renzi aveva promesso la poltrona ferroviaria anche a Luigi Gubitosi, prospettandogli così un’uscita morbida e senza rancore dalla direzione generale Rai. Ma le chances dell’ex capo di Wind sono date in forte declino, e a questo contribuisce l’evoluzione negativa della partita della privatizzazione. Allontanandosi la prospettiva della quotazione in Borsa di Fs il governo sente meno il bisogno di un manager dal profilo schiettamente finanziario quale Gubitosi, mentre salgono le quotazioni di manager dei trasporti come Mazzoncini e Soprano.
Che si stesse arenando la privatizzazione è risultato chiaro il 24 agosto scorso a Rimini. In occasione del meeting di Comunione e Liberazione, Elia e il ministro dei Trasporti Graziano Delrio hanno detto due cose opposte. L’amministratore delegato ha confermato la linea aziendale a favore di mantenere uniti la rete (Rfi) e i servizi di trasporto (Trenitalia), che significa fedeltà all’idea originaria dell’azionista, il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan: privatizzare le Fs in blocco, così come sono, collocando in Borsa il 40 per cento delle azioni.
Delrio ha invece detto che “la rete ferroviaria è un patrimonio pubblico che vive di sostegni pubblici ed è importante che rimanga pubblico”. Conseguenza ovvia: o si scorpora la rete e si privatizza solo Trenitalia, oppure non si fa niente. L’argomento è da più di un anno oggetto di scontro tra Elia e il presidente di Fs, l’economista Marcello Messori.
Quest’ultimo ha messo nero su bianco un severo documento secondo il quale la privatizzazione modello Padoan (pochi, maledetti e subito) porterebbe nelle casse dello Stato non più di 4 miliardi, con un danno erariale misurato dal presidente in almeno 7 miliardi rispetto a un’operazione più ponderata e preceduta da ristrutturazioni e scorpori.
Al di là delle forti divergenze sul modello di privatizzazione, che attraversano il vertice delle Fs e la stessa compagine governativa, l’operazione è risultata, qualunque via si scelga, molto più complicata del previsto. Se nei programmi originari il collocamento in Borsa delle azioni Fs era fissato prima per fine 2014 e poi per fine 2015, adesso nella migliore delle ipotesi si andrebbe a fine 2016. Troppo tardi per i bisogni immediati dei conti pubblici. Troppo tardi per le strategie di comunicazione di Renzi.