Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  settembre 03 Giovedì calendario

SINDROME DA VAMPIRO


La prima volta Christian era molto teso, incuriosito, eccitato, ma anche spaventato. Sarah aveva dovuto insistere, con la sua voce carezzevole e seducente, per convincerlo a pungerla sul collo, liscio e bianchissimo, con uno spillo da cucito, e a succhiare il suo sangue dalla ferita. Quello era stato il suo «risveglio».
Si erano conosciuti sull’autobus che entrambi prendevano ogni mattina, lui per andare in biblioteca, lei per rincasare dopo il lavoro in un locale notturno, dove si esibiva come ballerina. I capelli di tre colori diversi, gli occhi grigi come il ghiaccio, il rossetto nero e i numerosi piercing, tra i quali un bilanciere che le trafiggeva la lingua, lo avevano certamente colpito; ma non come il libro che la ragazza stava leggendo, che recava in copertina l’immagine di una figura femminile demoniaca, con due rivoli di sangue che le scendevano dalla bocca fino all’incavo dei seni. Era il Libro di Nod: un’opera pseudoletteraria che narra della stirpe di Caino, dannato ed esiliato nella terra di Nod, a est dell’Eden, per aver ucciso il fratello Abele e divenuto il progenitore di tutti i vampiri dopo che Lilith, la prima moglie di Adamo, anche lei maledetta per essersi ribellata a suo marito, lo aveva accolto e «risvegliato», offrendogli il suo sangue da bere.
All’inizio Christian aveva l’impressione di profanare quella pelle perfetta, che quella ragazza si ostinava a riempire di tatuaggi runici, dal significato arcano; ma poi il desiderio si era fatto via via più impellente, finché era diventato impossibile farne a meno. Sarah era il suo scudo e la sua protezione dalle angosce della vita; senza di lei si sentiva fallito, vuoto, privo di senso.
Quando Sarah gli aveva comunicato la sua intenzione di lasciarlo Christian si era introdotto in casa sua, con un duplicato delle chiavi, e aveva aspettato, al buio, che lei rientrasse dal lavoro. La aveva accolta in lacrime, implorandola di non abbandonarlo: e alla fine lei aveva ceduto, concedendosi un’ultima volta, sotto la doccia, al suo abbraccio e alla sua sete di sangue. Ma Christian, sconvolto dalla passione e dalla disperazione, non era riuscito a fermarsi in tempo, e il sangue perso da Sarah era troppo: gli uomini della polizia li avevano ritrovati entrambi in stato di incoscienza, nudi e abbracciati, sotto il getto della doccia.


Vampiri veri
Human Living Vampire (HLV): è la definizione per chi, come i due personaggi del romanzo Condominio R39 di Fabio Deotto, si dedica alla pratica di bere sangue umano per trarne gratificazione, convinto di averne bisogno come fonte di energia e per spegnere la «sete». A parte i casi di omicidi sadici con un interesse morboso per il sangue, come la contessa ungherese Erzsébet Báthory, vissuta tra il XVI e il XVII secolo e accusata di aver torturato e ucciso centinaia di giovani donne, il «vampiro della bergamasca» Vincenzo Verzeni, il «mostro di Dusseldorf» Peter Kürten o la «vampira killer» australiana Tracey Wigginton, il donatore è in genere consenziente, nell’ambito di uno «scambio» dal forte connotato erotico che può essere inquadrato in una moda o uno stile di vita, o assumere un carattere più francamente patologico. In questo caso lo psicologo Richard Noll, docente alla DeSales University di Center Valley in Pennsylvania, parla di «sindrome di Renfield», dal nome di un personaggio del romanzo Dracula di Bram Stoker che, uscito nel 1897, è l’opera letteraria che forse più di ogni altra ha contribuito a plasmare l’immaginario collettivo in tema di vampirismo.
Quasi sempre maschi, le persone affette da questa «sindrome» – che non ha il riconoscimento della psichiatria ufficiale – sviluppano sin dall’infanzia, talvolta in seguito a un evento traumatico, la tendenza a eccitarsi alla vista del sangue, che dopo la pubertà acquista una forte connotazione sessuale.
La prima fase è quella dell’autovampirismo: i pazienti si procurano tagli nella pelle o aprono direttamente i propri vasi sanguigni per succhiarne il sangue o conservarlo in bottiglie o barattoli. Quindi si può passare all’ingestione di sangue di animali, procurato in modi diversi, o di esseri umani, in genere nel corso di un rapporto sessuale tra persone consenzienti. Il sangue acquista un significato simbolico di energia vitale, perciò i pazienti si sentono gratificati e potenti dopo averlo bevuto, e ritengono di non poterne fare a meno: la loro «sete» si accompagna a malessere, debolezza e altre caratteristiche «vampiriche», come l’avversione per la luce solare e la preferenza per le ore notturne.
A differenza dei vampiri della letteratura, quelli «veri» non sono intimoriti o respinti dalle croci, dall’acqua santa o dall’aglio, anche se c’è chi suggerisce di evitare questo alimento perché darebbe un cattivo sapore al sangue. La presa di coscienza, improvvisa o più spesso graduale, della propria «diversità» è detta, nella comunità HLV, il «risveglio».
È difficile tracciare un confine preciso tra una vera sindrome psicopatologica, caratterizzata da elementi di sadomasochismo e feticismo per il sangue, e comportamenti conseguenti all’adesione a una subcultura, nella quale il narcisismo e la suggestione hanno un ruolo non trascurabile. Se la sindrome di Renfield, con i suoi aspetti compulsivi, potrebbe infatti essere considerata una parafilia (ciò che un tempo veniva definito «perversione sessuale») caratterizzata dalla deviazione del desiderio sessuale verso un oggetto specifico (il sangue) e da fantasie sadiche (esiste un ricco filone di pornografia vampirica e di «giochi di sangue» nell’ambito degli incontri a carattere sadomasochistico), è più difficile etichettare come patologico un comportamento esercitato liberamente tra maggiorenni consenzienti che, in una terra di confine tra gioco, immaginazione e realtà, si sentono «vampiri» e si comportano come tali.

Un universo parallelo
Questi vampiri non abitano in remoti castelli, né riposano in una bara durante il giorno, ma frequentano discoteche e night club, come recita vampiri.net, che si definisce «il primo portale italiano su vampirismo, dark e fantasy dal 1999» e che identifica il moderno vampirismo con la rottura dei tabù e delle convenzioni sociali, grazie a una pratica che è descritta come «più intima, più coinvolgente, più completa» dell’atto sessuale.
La quantità di sangue di cui gli HLV «necessitano» è modesta, pari al contenuto di un cucchiaino, e non mette in alcun modo in pericolo la vita del donatore: è più che altro un simbolico «prendere possesso» di parte della vita di un’altra persona, un rituale che realizza una forma estrema di intimità.
Data la natura misteriosa del «vampirismo» e il riserbo mantenuto sulla loro condizione dalla maggior parte degli HLV, o real vampire, come alcuni preferiscono essere chiamati, il fenomeno è difficile da valutare da un punto di vista numerico. Esistono comunque diverse associazioni, sia locali che nazionali, come la «Lega italiana real vampires» (LIRV), che si propongono di mettere i «vampiri» in contatto tra loro sia per iniziative ricreative sia per informazione e attività culturali.
Alcune di queste associazioni richiedono un periodo di prova, durante il quale l’aspirante socio (ovviamente maggiorenne) deve imparare a conoscere la cultura «vampirica» e frequentare i soci più anziani, per valutare la propria convinzione ad abbracciare il nuovo stile di vita.
L’iniziazione può avvenire anche, come per Christian «risvegliato» da Sarah, scambiando il proprio sangue in un «abbraccio oscuro» con quello di un vampiro esperto, che viene detto «sire». La fase del «risveglio» dura in genere qualche settimana: nel primo periodo il nuovo «vampiro» è portato a riflettere su se stesso e sui cambiamenti che avverranno nella sua vita, mentre in un momento successivo sarà più portato a conoscere e a sviluppare una rete di contatti con gli altri membri della sua nuova comunità.
Il mondo degli HLV è alquanto variegato e composito, e le motivazioni dei singoli «vampiri» sono le più diverse: la LIRV, per esempio, che ammette tra i propri iscritti anche streghe e licantropi «veri», si rivolge ai real vampire, per i quali il «risveglio» non è una scelta intenzionale ma la semplice scoperta della propria natura, a coloro che scelgono di seguire la moda e lo stile di vita vampiro per ragioni estetiche – fino a dormire in una bara, ad applicare zanne artificiali sui propri canini o a truccare da carro funebre la propria automobile – ai «vampiri spirituali», per i quali il vampirismo è una sorta di filosofia o un autentico culto religioso, e ai «donatori»: persone che scelgono di fornire al loro partner vampiro il sangue di cui sente il bisogno, in genere sulla base di un legame affettivo esclusivo. La promiscuità è infatti scoraggiata, anche per i rischi connessi alla manipolazione e all’assunzione di sangue «non sicuro»; nei siti dedicati si trovano anche consigli su come minimizzare il rischio di contagi virali, per esempio assicurandosi di non avere ferite sulla bocca o nel cavo orale.
Non tutti i real vampire si «nutrono» di sangue: oltre ai «sanguinari», che avvertono un bisogno compulsivo di assumere il sangue dei donatori, in quantità variabile secondo l’intensità della loro «sete» – negli Stati Uniti è stata anche documentata la presenza di «banche del sangue» parallele – esistono i cosiddetti vampiri psichici, che più o meno consapevolmente traggono energia dalle emozioni indotte nelle loro «vittime», le quali si sentono spossate e prosciugate quanto più il «vampiro» che le tiene in pugno si sente forte e vitale. Questa «sottrazione di energia» può avvenire attraverso i rapporti sessuali o anche grazie alla manipolazione e sottomissione psicologica; altri fanno invece riferimento a energie praniche o elementali, forze vitali ancora più astratte e immateriali che sarebbero in grado di «risucchiare» da più o meno ignari donatori o dalla natura stessa.

Gioco di ruolo
Un particolare fenomeno di costume, solo in parte sovrapposto al vampirismo «autentico», è quello che coinvolge gli appassionati del gioco di ruolo dall’ambientazione horror-gotica Vampire: The Masquerade, creato nel 1991 dallo statunitense Mark Rein-Hagen, che vinse il prestigioso Origins Award per il miglior regolamento di gioco di ruolo. In Masquerade i giocatori assumono il ruolo di vampiri, esseri immortali maledetti dal loro bisogno di sangue e costretti a confrontarsi con il dilemma morale scaturito dal conflitto tra la necessità di nutrirsi per sopravvivere e la consapevolezza dell’orrore insito nella loro condizione. Il gioco ipotizza che i vampiri governino da dietro le quinte il cupo «mondo di tenebra», decadente e corrotto, occultando la loro vera natura dietro una maschera sociale. Politica, economia, giustizia, religione: tutto è nelle mani dei vampiri, la cui storia è narrata nel Libro di Nod.
I giocatori tendono a immedesimarsi completamente nel loro personaggio e a mantenere anche nella vita reale l’illusione di essere autentici vampiri, connessi agli altri discendenti di Caino attraverso siti, chat e comunità on line. Le regole, o «tradizioni», che il gioco impone ai «vampiri» di rispettare sono: mascherare la loro vera natura; rispettare i dettami del «principe» (il vampiro più potente della città) e soprattutto non generare mediante l’«abbraccio oscuro» né uccidere altri vampiri senza la sua autorizzazione; badare in tutto e per tutto ai propri «infanti», ossia agli esseri umani appena «abbracciati» e avviati a diventare vampiri a loro volta.
Dal gioco di ruolo sono stati tratti i videogiochi Vampire: The Masquerade – Redemption e Vampire: The Masquerade – Bloodlines. Alcuni membri della comunità «vampirica» hanno espresso una certa preoccupazione relativamente al fatto che gli appassionati di Masquerade possano spacciarsi per vampiri «veri», generando confusione o diffondendo l’idea che questi ultimi siano degli esaltati, convinti di impersonare esseri immortali assetati di sangue e dotati di poteri soprannaturali.

Stile alla moda
Un’altra popolazione di vampiri, che può avere punti di contatto e sovrapposizione sia con i real vampire che con i giocatori di ruolo, è quella dei vampiri per moda, o vampire lifestyler. A meno che non siano anche veri HLV, i lifestyler non bevono sangue; se lo assaggiano è solo per provarne il brivido o per aggiungere un tocco di autenticità alla loro immagine. I lifestyler sono influenzati dalla subcultura gotica, nata in Inghilterra sulla scia del punk negli anni ottanta e caratterizzata da individualismo, creatività, tolleranza della diversità e un look ispirato all’iconografia dei classici film horror del Novecento. Ma soprattutto sono legati alle caratteristiche mitiche dei vampiri «letterari», come Dracula: fascino soprannaturale, eleganza e lignaggio nobile, visione distaccata della vita, attrazione per la morte, senso di superiorità nei confronti degli «umani».
La ricerca di un giusto equilibrio e di una modalità di convivenza improntata al reciproco rispetto tra le differenti componenti della variegata comunità «vampirica» è uno degli obiettivi di numerose realtà associative, tra cui la già citata LIRV.
Non manca poi, nell’universo parallelo improntato alla mitologia vampirica, chi reagisce alla crescente presenza «pubblica» degli HLV con uno zelo religioso che può trasformarsi in odio anche violento: gruppi di sedicenti «uccisori di vampiri», di ispirazione cristiana, dediti all’eradicazione della piaga dei non-morti dal mondo moderno. Le loro iniziative sono rappresentate prevalentemente da campagne di aggressione on line sui siti «vampirici».


Il vampirismo come patologia
Le leggende sui morti che ritornano per nutrirsi dell’essenza vitale dei vivi esistono da secoli in quasi tutte le culture, anche se è nota soprattutto la loro diffusione nell’Europa orientale, dove antiche pratiche medico-scientifiche di origine pagana, volte a scongiurare il ritorno di quelle anime inquiete che in vita non avevano trovato pace e soddisfazione, convissero a lungo, dal Medioevo in poi, con i riti cristiani di sepoltura.
Lame disposte sul collo dei cadaveri «a rischio», pronte a tagliar loro la gola se avessero provato a rialzarsi, o pietre poste sotto il mento per bloccare eventuali morsi, sono state rinvenute e descritte dalla bioarcheologa Lesley Gregoricka, della University of South Alabama, in cimiteri polacchi risalenti al XVII e XVIII secolo, e la profanazione delle tombe di «vampiri» per trafiggerne il cuore, la bocca o lo stomaco o decapitarli fu diffusa nell’Europa dell’Est fino a quando l’imperatrice Maria Teresa d’Austria la proibì dopo che il suo medico personale, l’olandese Gerard van Swieten, che aveva studiato il fenomeno per oltre un decennio, dichiarò ufficialmente che i vampiri non esistevano.
Sfatata la leggenda dell’esistenza di esseri soprannaturali, sfuggiti alla morte e dotati di una fisiologia e un metabolismo particolari, e con l’eccezione dell’autovampirismo come «insolita causa di anemia», secondo la definizione del chirurgo israeliano Ariel Halevy, docente all’Università di Tel Aviv, l’interesse della medicina per i «vampiri» si è ristretto agli aspetti di competenza psichiatrica. Ma anche il fenomeno clinico denominato «vampirismo» – un bisogno compulsivo di bere sangue, spesso associato a un’attrazione per la morte e a un disturbo di personalità di tipo borderline, caratterizzato da instabilità dell’immagine di sé – ha catturato sempre meno, negli ultimi decenni, l’attenzione degli psichiatri. Ciò è dovuto, secondo Seamus Mac Suibhne, presidente della Sezione di psichiatria della Royal Academy of Medicine irlandese, a un cambio di paradigma: da un approccio psicoterapeuticamente orientato, attento ai significati simbolici e inconsci dei sintomi, si è passati a una psichiatria prevalentemente descrittiva, basata sulle evidenze.
In effetti le manifestazioni cliniche del vampirismo sono dotate di forte carica simbolica, che è stata colta dalla letteratura psicoanalitica. La bramosia di sangue, spesso scatenata da sogni cruenti, e il sollievo conseguente alla sua vista o ingestione, sono stati attribuiti all’emergere di pulsioni sadiche orali in personalità funzionanti a livello primitivo, borderline o schizoide. Queste tendenze distruttive sarebbero l’espressione di un tentativo di difendersi dalla paura di perdere la persona amata a causa della propria distruttività. I pazienti con questo tipo di personalità tendono a proiettare le pulsioni aggressive sull’altro, trasformandolo in un nemico pericoloso, potente e spaventoso, da annichilire. Nutrendosi, il vampiro distrugge, inglobando e fondendosi con l’oggetto amato, verso il quale è diretta la sua aggressività.
Richard Gottlieb, del Berkshire Psychoanalytic Institute di Stockbridge, in Massachusetts, ha messo in relazione il mito del vampiro con l’esperienza della perdita di persone care e con il desiderio di un loro «ritorno»: la comparsa nella situazione analitica di fantasie legate ai vampiri può essere indicativa di sentimenti di lutto. La metafora del vampiro è stata ripresa da Gil Katz, supervisore presso l’Istituto per la formazione e la ricerca psicoanalitica IPTAR di New York, per indicare aspetti dissociati della psiche, spesso legati a esperienze traumatiche, che possono «rivivere» minacciando l’equilibrio dei pazienti: il lavoro terapeutico consiste nel riconoscerli, favorire la loro integrazione nel sé e, infine, lasciare che riposino in pace.