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 2015  settembre 03 Giovedì calendario

IL DOTTOR MORTE E LE SUE VITTIME


Gran Bretagna, Yorkshire: prigione di Wakefield. All’alba del 13 gennaio 2004 il dottor Harold Shipman, uno dei più terribili e prolifici serial killer di tutti i tempi, si toglie la vita, impiccandosi nella sua cella.
Nato il 14 giugno 1946 da una famiglia della classe operaia, l’infanzia di Harold Frederick Shipman è pesantemente condizionata dalla madre, che mostra atteggiamenti di superiorità rispetto a vicini e conoscenti, e impone al figlio quando giocare e quale compagnia sia più opportuno che frequenti. Come studente se la cava nei primi anni di scuola, ma scade a livelli di mediocrità durante le superiori. Tuttavia eccelle nello sport, e questo potrebbe aiutarlo nelle amicizie, ma è un tipo solitario, e il suo isolamento si rafforza quando l’adorata madre scopre di avere un tumore ai polmoni, in fase terminale.
La donna muore il 21 giugno 1963, lasciando nel figlio un tremendo senso di perdita. Ma anche un’immagine indelebile, stampata nella mente di un giovane di 17 anni: la paziente con la tazza di tè, per trovare sollievo nella morfina. Una scena che, divenuto medico, avrebbe ricreato centinaia di volte.

I primi sospetti
Due anni dopo Shipman viene ammesso alla Leeds University Medical School. Conosce Primrose a 19 anni, mentre lei ne ha 16. Si sposano l’anno successivo, perché Primrose è incinta.
Nel 1974, quando inizia a svolgere la sua pratica nella città di Todmorden, nello Yorkshire, Shipman è già padre di due figli, poi ne arriveranno altri due. Diviene un membro rispettato della comunità, anche se i colleghi lo vedono spesso inutilmente sgarbato e pronto al giudizio negativo. Comunque gli viene riconosciuto di lavorare sodo e con entusiasmo, fino a quando la sua carriera registra una battuta d’arresto.
Shipman inizia ad accusare improvvise crisi, in cui perde coscienza. Ai colleghi, sorpresi e preoccupati, dice di soffrire di epilessia, ma la realtà è un’altra, e viene a galla quando Marjorie Walker, addetta al controllo degli stupefacenti, nota delle irregolarità sul libro mastro.
Le annotazioni rivelano che Shipman ha prescritto frequenti dosi di petidina, un analgesico simile alla morfina. Un semplice controllo è sufficiente a scoprire che molti dei pazienti che figurano nella lista non hanno mai richiesto o ricevuto il farmaco. Così nel 1975 deve lasciare il lavoro per entrare in un centro di riabilitazione per tossicomani. Due anni dopo può tornare alla professione medica, accolto al Donneybrook Medical Center di Hyde. Ma il peggio deve ancora arrivare.
Alan Massey, titolare dell’impresa di pompe funebri di Hyde, nota una strana ricorrenza: non soltanto i pazienti di Shipman muoiono con insolita frequenza, ma al suo arrivo Massey li trova già vestiti di tutto punto, senza nulla che indichi che siano stati malati.
Massey è preoccupato, così chiama Shipman e prenota una visita per chiarire i suoi dubbi. Il medico lo rassicura, gli mostra il registro dei decessi affermando che è disponibile per chiunque voglia effettuare un controllo. Ma se l’uomo è sollevato sua figlia Debbie Brambroffe non è convinta. Trova un’alleata nella dottoressa Susan Booth, le parla del numero eccessivo di morti, quasi tutte donne che vivono da sole.
La notizia giunge al coroner John Pollard, che a sua volta informa la polizia. Con discrezione, vengono controllati i registri di Shipman: le terapie prescritte concordano con i sintomi dei pazienti e la causa di decesso. Quello che la polizia non scopre è che il medico ha riscritto i rapporti dopo la morte delle sue vittime. E allora succede un’altra cosa, che segna il destino di Shipman.

Passo falso
È il 1998, siamo all’inizio di agosto. I funzionari della Polizia di Manchester assistono all’esumazione della salma di Kathleen Grundy, ottantunenne deceduta improvvisamente poche settimane prima. La morte di Kathleen aveva provocato uno shock profondo in quanti la conoscevano perché appariva piena di salute ed era infaticabile nelle sue attività caritatevoli. Ma quando gli amici la cercano a casa, allarmati dalla sua assenza, la trovano sdraiata sul divano, vestita di tutto punto. Chiamano Shipman, che compila un referto di morte naturale, dichiarando di avere visitato la donna poche ore prima, per cui non è necessaria una autopsia. La notizia viene comunicata alla figlia Angela.
Dopo il funerale Angela riceve la telefonata di un procuratore legale che afferma di avere una copia del testamento di Kathleen. La donna sa del documento sottoscritto dalla madre, e quando vede un foglio battuto a macchina capisce che è un falso. Anche perché in quell’atto vengono destinate 386.000 sterline a Shipman. Angela sospetta che il medico abbia avuto un ruolo nella morte della madre, e alla polizia trova il detective Bernard Postles, le cui indagini concordano con le supposizioni della donna.
Il corpo di Kathleen viene riesumato, e campioni di tessuto e capelli vengono inviati a differenti laboratori d’analisi. In attesa dei risultati, la polizia ispeziona la casa e lo studio di Shipman, che non sembra sorpreso, anzi, si mostra arrogante e sprezzante. In casa di Shipman c’è una macchina da scrivere portatile. Risulta essere stata usata per scrivere il falso testamento, ma Shipman ha una spiegazione, anche se inverosimile: l’avrebbe spesso data in prestito alla signora Grundy.
Ma sono i risultati delle indagini tossicologiche a produrre una sorpresa maggiore. Non solo la causa della morte di Kathleen è da attribuire a un’overdose di morfina, ma la dose letale le è stata somministrata entro tre ore dal decesso. Usare la morfina si rivela un errore, perché la droga può rimanere nei tessuti ed essere rintracciata a distanza di parecchi anni. Shipman tenta allora di difendersi attribuendo alla vittima una condizione di tossicodipendenza.
Gli investigatori capiscono subito che il caso non si limita all’accertamento di quella morte e che le indagini devono essere allargate. La prima decisione riguarda quali altri decessi meritino un approfondimento e finiscono per avere la precedenza i corpi non cremati e le morti avvenute immediatamente dopo un intervento di Shipman.
Al termine dell’indagine, gli atti dicono che ufficialmente Harold Shipman ha assassinato non meno di 215 dei suoi pazienti, 171 donne e 44 uomini, in un periodo che va dal 1978 al 1998.
La Commissione incaricata dal Ministero della Sanità e diretta da Richard Baker, dell’Università di Leicester, riconosce la responsabilità di Shipman in almeno 236 decessi nell’arco di 24 anni.

Nessun movente
Il 5 ottobre 1999, al Tribunale di Preston, nel Lancashire, si apre il processo a Shipman. Il 31 gennaio 2000 arriva il verdetto. Dopo 57 giorni di dibattimento, il portavoce della giuria dichiara che si è raggiunto un verdetto unanime: Harold Shipman è riconosciuto colpevole di 15 omicidi per i quali sono emerse prove inconfutabili, e condannato al carcere a vita per 15 volte, a cui devono aggiungersi altri quattro anni di detenzione per la contraffazione del testamento della sua ultima vittima.
Shipman accoglie la sentenza senza mostrare alcuna emozione; impassibile anche la moglie, in aula con i figli.
Le ragioni per cui ha ucciso probabilmente non potranno mai essere comprese con certezza. Nessun segno di violenza, nessun rimando sessuale, e, a parte un unico caso, nessun movente. Alcuni hanno ipotizzato che odiasse le donne in età avanzata, altri pensano che abbia voluto ricreare la scena della morte della madre, per soddisfare qualche bisogno masochistico. Indubbiamente ha lasciato tanti indizi dietro di sé da far supporre che volesse essere scoperto e fermato. Ma altri sono convinti che la distorta percezione di una superiorità mai dimostrata lo abbia convinto della propria invulnerabilità, dell’impossibilità di essere identificato. Poche certezze, molte ipotesi, che non potranno mai trovare conferme.