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 2015  settembre 03 Giovedì calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - ANCORA SUL PROBLEMA DEI MIGRANTI


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BUDAPEST - La Commissione Ue, come anticipato da Repubblica, intende portare da 32mila a 120mila il numero totale di richiedenti asilo in aggiunta ai 40mila già pianificati per Italia e Grecia, includendo anche l’Ungheria. Per i Paesi che non vogliono partecipare, la Commissione sta ragionando sulla possibilità di prevedere l’opt-out, ma accompagnato da sanzioni e, ha annunciato la portavoce per Immigrazione e Affari interni, Natasha Bertaud, contatterà le autorità di Praga per avere informazioni su quanto sta accadendo dopo la pubblicazione di foto di migranti marchiati sul braccio col pennarello dalla polizia.
Oggi il presidente del Consiglio Ue, Donald Tusk, ha chiesto ai Paesi membri dell’Unione di accettare almeno 100mila rifugiati per allentare la pressione che grava sulle nazioni ai confini del blocco: "Accettare più rifugiati è un gesto importante di solidarietà reale. Un’equa distribuzione di almeno 100mila rifugiati tra i Paesi europei è quello di cui abbiamo bisogno oggi", ha detto nel corso di una conferenza stampa con il premier ungherese.
Profughi, il viaggio di 24 teenager sul furgone: porte sprangate e sbarre ai finestrini
Intanto il presidente francese Francois Hollande e la cancelliera Angela Merkel "hanno deciso di trasmettere fin da oggi proposte comuni per organizzare l’accoglienza di rifugiati e una ripartizione equa in Europa". Lo ha reso noto l’Eliseo dopo una telefonata tra il capo dello Stato e la cancelliera tedesca. Hollande ha anche dichiarato che lui e Merkel hanno proposto all’Europa un "meccanismo permanente e obbligatorio" di quote per i migranti.
La Germania si è detta pronta ad accogliere 800mila richiedenti asilo nel 2015, quattro volte in più rispetto allo scorso anno. E una gara di solidarietà è scattata tra le città spagnole per accogliere i profughi: iniziative a Barcellona, Saragozza, Pamplona, Valencia, Malaga, La Coruna e Madrid. La Turchia continuerà a tenere le porta aperte ai rifugiati, ha assicurato il governo, accusando l’Europa di aver trasformato il Mediterraneo in un "cimitero" di migranti.
Aumenta il pressing sul premier britannico David Cameron, contestato tanto dal Partito laburista che da parlamentari conservatori, per le sue politiche, mentre 130mila persone hanno firmato una petizione online perché il Regno Unito fornisca asilo a un maggior numero di rifugiati.
La polizia ceca ha smesso di segnare i profughi con un numero scritto sulla pelle, dopo le polemiche sulle scritte a pennarello tracciate sulle braccia. Da ora in poi, le autorità utilizzeranno "braccialetti con i dati di identificazione".
Cameron "scosso". David Cameron è "un padre "profondamente scosso" di fronte alla foto del bambino siriano morto sulla spiaggia turca di Bodrum che sta scuotendo il mondo. Il premier britannico, attaccato dal Financial Times e da altri quotidiani del Regno, ha affermato che si prenderà tutte le "responsabilità morali" nell’emergenza migranti in corso.
Tensione a Budapest. La polizia ungherese ha riaperto la stazione ferroviaria internazionale di Budapest, che è stata immediatamente presa d’assalto dai migranti. La stazione era stata sgomberata e chiusa all’accesso dei profughi due giorni fa, il 1 settembre. E nelle ultime 24 ore sono 2.061 i migranti e i profughi entrati in Ungheria e diretti in Germania, Austria e altri Paesi del nord Europa. Lo ha riferito la polizia locale, precisando che si tratta in prevalenza di cittadini siriani, afgani e pachistani.
Ungheria, riaperta la stazione ai profughi: nessun treno verso la Germania
L’ingresso principale della stazione Keleti è stato riaperto poco prima delle 8,15 e i migranti - circa duemila erano bloccati nella capitale ungherese da martedì - si sono immediatamente precipitati all’interno, dirigendosi verso un treno fermo a uno dei binari, cercando di salire attraverso le porte e i finestrini.
Budapest: assalto ai treni che non partono
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Un treno carico di migranti è partito in direzione della frontiera con l’Austria, al contrario di quanto era stato annunciato in precedenza dalle ferrovie ungheresi, che avevano dichiarato che "nell’interesse della sicurezza dei trasporti ferroviari, la compagnia ha deciso che i collegamenti diretti tra Budapest e l’Europa occidentale non saranno in servizio fino a nuovo ordine".
Budapest, la protesta dei migranti davanti alla stazione: ’’Fateci partire’’
Nonostante questo, i migranti si sono riversati in un treno, destinato a una linea interna, diretto verso la frontiera ovest, a Sopron, non sapendo che non andrà oltre. Molti si sono aggrappati alle porte dei vagoni non potendo entrare e hanno invaso anche la banchina. Sono sicuri che con questo treno raggiungeranno la Germania. Ieri centinaia di persone hanno trascorso la notte accampate davanti alla stazione ferroviaria dopo lo sgombero del giorno prima. Fuori la fermata si è formato un vero e proprio accampamento.
Nata migrante. Speranza è venuta al mondo alla stazione di Budapest
Scontri con la polizia. Tafferugli tra migranti e polizia ungherese sono scoppiati a Bicske, a ovest di Budapest, dove le autorità hanno fermato un treno carico di profughi. Lo riferisce la Bbc. La polizia ha cercato di far scendere i migranti dal treno, ma loro hanno rifiutato.
Nessun treno in Austria. La polizia austriaca ha fatto sapere di non aspettarsi treni speciali con a bordo migranti in arrivo oggi dall’Ungheria. Lo riferisce un portavoce, spiegando che solo 40 rifugiati sono arrivati a bordo di treni regolari nel corso della giornata.
Stop a treni verso Budapest da Slovacchia e Repubblica Ceca. I treni diretti a Budapest da Slovacchia e Repubblica Ceca saranno fermati alla frontiera, nella città di Szob. Lo hanno annunciato i gestori delle ferrovie slovacche e ceche, mentre i migranti utilizzano i treni per raggiungere la capitale ungherese. Il gestore di Budapest, hanno fatto sapere, ha informato che ai passeggeri saranno forniti mezzi alternativi per arrivare alla capitale.
Mattarella: "Tragedie hanno forza persuasione molto alta". Sull’emergenza migranti è intervenuto oggi anche il capo dello Stato italiano, Sergio Mattarella: "L’evidenza dei fatti e delle tragedie a cui si assiste hanno una forza di persuasione molto alta", ha risposto, prima di iniziare la sua visita alla Biennale d’Arte a Venezia.
Orban: "Dal 15 settembre controlli a frontiere". La situazione in Ungheria diventa sempre più difficile e oggi il premier ungherese Viktor Orban, dopo aver incontrato il presidente del Parlamento europeo, Martin Schulz, ha detto che, col voto di stamani in Parlamento a Budapest, conta, "a partire dal 15 settembre, passo dopo passo", di riprendere "il controllo delle frontiere". Il premier ungherese non ha risparmiato accuse ai leader europei di non aver saputo affrontare la crisi: "I leader europei hanno dimostrato chiaramente di non essere in grado di gestire la situazione". L’emergenza, ha aggiunto, rischia di minacciare il trattato di Schengen: "Noi vogliamo mantenere libertà di movimento, per questo vogliamo difendere le frontiere. Senza un controllo severo delle frontiere è inutile parlare di quote. Se il controllo sui confini è efficace i migranti sono registrati, ma altrimenti dobbiamo fare qualcosa", ha detto ancora Orban. All’attacco di Orban ha risposto la cancelliera tedesca: "La Germania fa ciò che è moralmente e giuridicamente dovuto. Né di più, né di meno", è stata la replica, da Berna, alle accuse del premier ungherese.
Problema tedesco. Per il premier ungherese, comunque, l’emergenza migranti è "un problema tedesco", considerato che delle migliaia entrati in Ungheria nessuno vuole rimanervi, ma tutti vogliono andare in Germania. Orban ha comunque dichiarato che l’Ungheria deve registrare tutti i migranti nel Paese, prima che la lascino alla volta di Austria o Germania. Poi il premier ungherese ha lanciato un appello: "Il punto è il senso di responsabilità, se accettassimo tutti, sarebbe un fallimento morale. Io vorrei dire ’non venite, il viaggio è pericoloso’. La Turchia è già un Paese sicuro".
Pronti primi 20 chilometri barriera Turchia. Il ministro dell’interno bulgaro Rumjana Bacvarova ha detto oggi che è stata completata la costruzione dei primi 20 chilometri della barriera ’difensiva’ anti-immigrati lungo la frontiera con la Turchia. La lunghezza totale, ha precisato il ministro citato dai media serbi, sarà di 130 chilometri, e per la fine dell’autunno sarà portata a termine la metà dell’opera.
Controlli al Brennero. Ieri ’Italia ha fatto sapere che intensificherà i controlli di confine al valico del Brennero su richiesta della Germania. I ministri degli Esteri di Italia, Paolo Gentiloni, Germania, Frank-Walter Steinmeier e Francia, Laurent Fabius, hanno sottoscritto un documento di ampio respiro con il quale chiedono una forte risposta europea alla crisi.
Muscat: "Serve soluzione europea". Sulla necessità di trovare una soluzione condivisa ha insistito anche il primo ministro di Malta, Joseph Muscat, in conferenza stampa a Firenze con il premier Matteo Renzi: "Se affrontiamo il problema sullo sfondo di un paese solamente, non c’è una soluzione. Serve una soluzione europea".
Celentano contro Merkel sul blog. "Cara Merkel! Fra i Premier che in Germania ti hanno preceduto - scrive Celentano sul proprio blog -, devo dire che tu sei la più simpatica. Mi ricordi mia sorella Rosa che aveva sempre voglia di ridere e giocare. Però. Ha ragione Grillo. Tu, la scorsa settimana avevi fatto una promessa importante quando annunciasti che la Germania avrebbe bloccato il trattato di Dublino. Ma ieri il portavoce del governo tedesco ha dovuto ammettere che chiunque arrivi in Ungheria, deve registrarsi lì, e lì, sottoporsi alla procedura di richiesta di asilo. Perché’ non mantieni la promessa che hai fatto?

MELETTI
BRENNERO – I fantasmi del binario 7 appaiono alle 17,50. Cielo grigio e freddo. I fantasmi aspettano da ore, nei sottopassaggi, nei gabinetti, sui marciapiedi più nascosti, nelle strade accanto alla stazione. I fantasmi arrivati dall’Eritrea, dalla Siria, dalla Nigeria sanno già come funzionano le cose, anche oggi che si parla del valico del Brennero in mezza Europa. “Se c’è molta polizia, meglio stare nascosti e aspettare il prossimo treno. Se si vedono pochi agenti, vuol dire che si può partire”. Telefonini e iPad rilanciano le ultime notizie. La Germania chiede più controlli al Brennero. La Baviera chiede aiuto all’Alto Adige. Schengen sospeso, tornano i controlli, annuncia al Provincia. Schengen non è mai stato sospeso – precisa la questura di Bolzano – e nemmeno i controlli.
I fantasmi sanno che, comunque, è meglio passare il confine al più presto. Arriva il treno internazionale Hbf per Monaco, con partenza alle 18. Scende la Trilaterale, pattuglia con tre agenti, un italiano, un tedesco, un austriaco. Ad aspettarli un solo agente. “Ci sei soltanto tu? E gli altri?”. “Alla Polfer siamo in sette: 2 malati, 2 in ferie. Di turno adesso ci sono io”. La pattuglia è al centro del convoglio. In testa e in coda appaiono i fantasmi, che si infilano – saranno almeno una cinquantina – sul treno. Cinque eritrei si presentano invece agli agenti. Mostrano il biglietto per Monaco e un foglio. “Hai il passaporto? No? Allora non sali. Quel foglio dice solo che devi presentarti alla questura di Bolzano per avviare le pratiche di riconoscimento”. Gli eritrei non capiscono. Un agente cerca di spiegarsi con tre parole. “Allora lì, dopo”. “Lì” è il sottopassaggio, dove possono mettersi al riparo dal freddo, visto che tanti sono in pantaloni corti e magliette. “Dopo” è un invito ad aspettare il prossimo internazionale per Monaco, alle venti. Se non ci saranno troppe divise, si potrà salire. Gli agenti vanno a chiacchierare al binario 6. I cinque eritrei si avviano verso una sala d’aspetto. Si voltano indietro, non vedono divise e salgono sul convoglio.
Per dare una mano alla Baviera il governatore dell’Alto Adige, Arno Kompatscher, annuncia che “per qualche giorno” sarà organizzata l’accoglienza di 300 – 400 profughi a Bressanone, “in palestre con servizi igienici già funzionanti”. “A me sembra – dice Mario Deriu, segretario del sindacato di polizia Siulp – una decisione schizofrenica. Come si può risolvere la situazione della Baviera, terminale della rotta balcanica, tenendo fermi 400 profughi per qualche giorno? A Bolzano ne arrivano dai 200 ai 300 al giorno, questi almeno sono quelli che riusciamo a contare. Ha presente la situazione dei primi giorni di maggio, quando è iniziato il forte afflusso di eritrei? Rispetto ad allora non è cambiato nulla. L’unica novità è che non se ne parla più”.
Ci sono anche ragazzini, fra gli eritrei. “Con questo freddo – raccontano Astrid e Alessio, dell’associazione Volontarius, che già a gennaio ha aperto un centro di aiuto qui al valico – dovremo portare gli abiti pesanti per chi passa la notte all’aperto. Ci sono migranti che sono stati assistiti per tre o quattro volte. Riescono a salire su un treno, arrivano a Innsbruck e vengono rimandati indietro una volta, due, tre… Ma nessuno si arrende”. In fin dei conti, sono in vista del traguardo. A. è partito dall’Eritrea cinque mesi fa. T. è un ragazzo siriano. “Sono andato via da casa un anno fa. Siria, Libia, Lampedusa in barcone e poi Milano. Ho lavorato cinque mesi in quella città, in un ristorante, per trovare i soldi e continuare il viaggio. Lo sapevo anche prima di partire da Milano che qui al Brennero basta aspettare”.
Lo sanno tutti, in questo paese di confine, che quelli che sono riusciti ad arrivare qui hanno potuto continuare la loro strada. Il traffico di migranti rende ricchi non solo i criminali che riempiono i gommoni nel Mediterraneo. Sono arrivati anche i passeur. Trentacinque eritrei si sono fidati di un loro connazionale che, per 100 euro a testa, assicurava loro l’arrivo a Monaco, in treno. I migranti sono stati fermati a Innsbruck e rimandati indietro almeno una volta, ma la guida aveva già incassato. Una grande famiglia – due genitori e sei figli – è stata trovata in autostrada dalla polizia stradale. L’eritreo che li accompagnava ha detto loro che potevano scendere. “Ecco, questa è la Germania”, aveva assicurato alla barriera di Vipiteno.
Parte alle 20 l’ultimo treno per Monaco. “Quando ci sono i controlli – raccontano i ragazzi di Volontarius – tanti restano qui e allora anche noi facciamo il turno notte, per dare loro una coperta, un panino al formaggio…”. Domattina presto arriverà a Bolzano il regionale veloce da Roma, carico di migranti. Forse saranno portati a Bressanone, forse riusciranno ad arrivare qui. “Un fatto è certo”, dice un agente da mesi in servizio sui treni. “Non può continuare così. Siamo solo divise che accompagnano il ping pong fra Bolzano e Monaco. E spesso ti trovi da solo, in un vagone di migranti”.

UOMINI SCALZI
ROMA - "Noi stiamo dalla parte degli uomini scalzi". Inizia così l’appello lanciato da alcuni personaggi dello spettacolo e della cultura a sostegno dei migranti. La marcia delle donne e degli uomini scalzi è l’invito a togliere le scarpe e a camminare per esprimere solidarietà verso chi "ha bisogno di mettere il proprio corpo in pericolo per poter sperare di vivere o di sopravvivere". L’appuntamento è fissato a Venezia venerdì 11 settembre. La marcia partirà alle 17 da Piazza Santa Maria Elisabetta al Lido di Venezia e proseguirà fino al cuore della Mostra Internazionale di Arte Cinematografica.

I firmatari dell’appello invitano tutti ad aderire alla loro iniziativa, e a organizzare la stessa marcia anche in altre città italiane ed europee. Spiegano che camminare scalzi è un modo per chiedere con forza i primi tre necessari cambiamenti delle politiche migratorie europee e globali. Vogliono che ci sia certezza di corridoi umanitari sicuri per vittime di guerre, catastrofi e dittature, che ci sia accoglienza degna e rispettosa per tutti, che vengano chiusi e smantellati tutti i luoghi di concentrazione e detenzione dei migranti e che venga creato un vero sistema unico di asilo in Europa superando il regolamento di Dublino. Perchè "dare accoglienza a chi fugge dalla povertà - c’è scritto nell’appello - significa non accettare le sempre crescenti disuguaglianze economiche e promuovere una maggiore redistribuzione delle ricchezze".

Tra i primi firmatari dell’appello attori, giornalisti, scrittori, amministratori pubblici e uomini di Chiesa: Lucia Annunziata, Don Vinicio Albanesi, Gianfranco Bettin, Marco Bellocchio, Don Albino Bizzotto, Elio Germano, Gad Lerner, Giulio Marcon, Valerio Mastrandrea, Grazia Naletto, Giusi Nicolini, Marco Paolini, Costanza Quatriglio, Norma Rangeri, Roberto Saviano, Andrea Segre, Toni Servillo, Sergio Staino, Jasmine Trinca, Daniele Vicari, Don Armando Zappolini. I firmatari invitano tutti ad aderire al loro appello "Perché la storia appartenga alle donne e agli uomini scalzi e al nostro camminare insieme".

La marcia delle donne e degli uomini scalzi

E’ arrivato il momento di decidere da che parte stare.
E’ vero che non ci sono soluzioni semplici e che ogni cosa in questo mondo è sempre più complessa.
Ma per affrontare i cambiamenti epocali della storia è necessario avere una posizione, sapere quali sono le priorità per poter prendere delle scelte.
Noi stiamo dalla parte degli uomini scalzi.
Di chi ha bisogno di mettere il proprio corpo in pericolo per poter sperare di vivere o di sopravvivere.
E’ difficile poterlo capire se non hai mai dovuto viverlo.
Ma la migrazione assoluta richiede esattamente questo: spogliarsi completamente della propria identità per poter sperare di trovarne un’altra. Abbandonare tutto, mettere il proprio corpo e quello dei tuoi figli dentro ad una barca, ad un tir, ad un tunnel e sperare che arrivi integro al di là, in un ignoto che ti respinge, ma di cui tu hai bisogno.
Sono questi gli uomini scalzi del 21°secolo e noi stiamo con loro.
Le loro ragioni possono essere coperte da decine di infamie, paure, minacce, ma è incivile e disumano non ascoltarle.

La Marcia degli Uomini Scalzi parte da queste ragioni e inizia un lungo cammino di civiltà.
E’ l’inizio di un percorso di cambiamento che chiede a tutti gli uomini e le donne del mondo globale di capire che non è in alcun modo accettabile fermare e respingere chi è vittima di ingiustizie militari, religiose o economiche che siano. Non è pensabile fermare chi scappa dalle ingiustizie, al contrario aiutarli significa lottare contro quelle ingiustizie.
Dare asilo a chi scappa dalle guerre, significa ripudiare la guerra e costruire la pace.
Dare rifugio a chi scappa dalle discriminazioni religiose, etniche o di genere, significa lottare per i diritti e le libertà di tutte e tutti.
Dare accoglienza a chi fugge dalla povertà, significa non accettare le sempre crescenti disuguaglianze economiche e promuovere una maggiore redistribuzione delle ricchezze.

Venerdì 11 settembre lanciamo da Venezia la Marcia delle Donne e degli Uomini Scalzi.
In centinaia cammineremo scalzi fino al cuore della Mostra Internazionale di Arte Cinematografica.
Ma invitiamo tutti ad organizzarne in altre città d’Italia e d’Europa.

Per chiedere con forza i primi tre necessari cambiamenti delle politiche migratorie europee e globali:
1. certezza di corridoi umanitari sicuri per vittime di guerre, catastrofi e dittature
2. accoglienza degna e rispettosa per tutti
3. chiusura e smantellamento di tutti i luoghi di concentrazione e detenzione dei migranti
4. Creare un vero sistema unico di asilo in Europa superando il regolamento di Dublino

Perché la storia appartenga alle donne e agli uomini scalzi e al nostro camminare insieme.

LA STORIA DEL BAMBINO MORTO
ANKARA - E’ morto assieme alla mamma e al fratellino di 5 anni all’inizio del suo viaggio verso il Canada. Lui probabilmente non lo sapeva ma era questa la via della salvezza scelta dai suoi genitori. Un lungo percorso, mai terminato, quello della famiglia del piccolo Aylan, siriano di 3 anni, ritrovato senza vita sulla spiaggia di Bodrum, paradiso turistico della Turchia.

"I miei bambini mi sono scivolati dalle mani - ha detto Abdullah Kurdi, padre di quei piccoli ’inghiottiti’ dal mare -. Avevamo dei giubbotti di salvataggio, ma all’improvviso la barca si è capovolta, perché alcune persone si sono alzate in piedi. Tenevo la mano di mia moglie, ma i bambini mi sono sfuggiti".

Il racconto del padre. "Il Canada mi ha offerto asilo, ma dopo quello che è successo non voglio andare lì. Voglio portare i corpi dei miei familiari a Suruc", città turca al confine con la Siria, "e poi a Kobane, e passare lì il resto della mia vita", ha spiegato. Il barcone che si capovolge, l’onda che gli porta via i due figli che teneva stretti a sé, l’arrivo della guardia costiera turca quando ormai non c’è più niente da fare. Sono le immagini della tragedia che l’uomo ha ancora negli occhi.
Migranti, quella foto che sconvolge il mondo

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"Ho tentato di salvare i miei ragazzi", ha poi raccontato disperato a Radio Rozana, una stazione radiofonica vicina all’opposizione siriana, ma non c’è stato nulla da fare. "Li stringevo entrambi quando la barca si è capovolta, ma un’onda alta ha ucciso prima mio figlio più grande, Galip, e poi si è presa il più piccolo", ha aggiunto l’uomo. Anche la moglie Rehan è morta nell’incidente. Il padre del piccolo Aylan ha spiegato che, come migliaia di migranti, in passato aveva provato "diverse volte" a raggiungere l’Europa attraverso i barconi dei trafficanti di esseri umani, ma tutti i precedenti tentativi erano "falliti" a causa dell’intervento della guardia costiera turca. "Stavolta ero riuscito, con l’aiuto di mia sorella e mio padre, a mettere insieme 4mila euro per fare questo viaggio", ha aggiunto Abdullah, che in Siria faceva il parrucchiere.
Padre di Aylan e Galip: "Mi sono morti tra le braccia"
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"Era molto buio - ha continuato l’uomo - e tutti gridavano. Per questo mia moglie e i miei figli non hanno sentito la mia voce. Ho provato a raggiungere la riva seguendo le luci lungo la costa, ma una vota arrivato non ho trovato i miei familiari. Ho scoperto che erano morti in ospedale". Abdullah ha aggiunto che in precedenza aveva provato a sbarcare in Grecia già una volta, ma che l’imbarcazione era stata bloccata dalla Guardia costiera ellenica.

Morti anche la mamma e il fratellino. Una coppia con due figli in fuga dalla guerra in corso a Kobane, l’enclave curda nella Siria del nord per mesi terreno di aspri combattimenti con i jihadisti dell’Is. Ieri la fotografia del corpo senza vita di Aylan Kurdi, 3 anni, ha commosso l’Europa, dando voce a migliaia di profughi che scappano dal conflitto siriano. Con lui sono morti anche il fratello di 5 anni Galip e la mamma Rehan, di 35. Stavano cercando di arrivare sull’isola greca di Kos. Unico sopravvissuto il padre Abdullah, trovato semi cosciente sulla sabbia e portato in un ospedale vicino a Bodrum. Avevano fatto richiesta di asilo in Canada, ma il governo canadese l’aveva respinta per mancanza dei requisiti richiesti. Per questo hanno tentato il viaggio più pericoloso, affidandosi alle mani dei trafficanti.
Aylan e Galip: i fratellini annegati nelle acque turche

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La testimonianza della zia. "Ho avuto questa notizia questa mattina alle 5", ha raccontato Teema Kurdi, la sorella di Abdullah, che vive a Vancouver, intervistata dal giornale canadese National Post. Ad annunciarle la morte dei familiari una telefonata di una una cognata. "Era stata chiamata da Abdullah, che le aveva raccontato della morte dei due figli e della moglie", ha spiegato Teema. La zia ha fatto di tutto per ottenere un visto per i suoi nipotini, il fratello Abdullah e la moglie Rehan, ma l’ufficio immigrazione canadese ha respinto la sua richiesta. Un ’No’ che ha spinto i genitori di Aylan e di Galip a giocarsi il tutto per tutto e a provare il viaggio più pericoloso, quello in mare. "Ho tentato di farli entrare in Canada e molti amici e vicini di casa mi hanno aiutato a raccogliere i depositi bancari necessari, come garanzia. Ma la risposta è stata negativa. Per questo hanno deciso di fare il viaggio in nave - ha aggiunto Teema - . Stavo pagando loro l’affitto in Turchia, ma lì i siriani sono trattati male".
Bimbo morto su spiaggia di Bodrum, Bolzoni: "Guardiamo questa foto anche se ci fa paura"
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Arrestati 4 scafisti. Oggi le autorità turche hanno arrestato 4 presunti scafisti per la morte del bimbo siriano, della sua famiglia e degli altri migranti dopo il capovolgimento delle due imbarcazioni sulla quale viaggiavano. I quattro sospettati fermati, tutti siriani tra i 30 e i 41 anni, sono accusati di "aver causato la morte di più di una persona" e di "traffico di esseri umani".

La foto. Migliaia di siriani fuggono dalla guerra e dalle coste turche cercano di raggiungere la Grecia su imbarcazioni di fortuna. La famiglia di Aylin si trovava insieme a un gruppo di almeno 12 persone morte in mare. Nel Regno Unito The Independent è stato tra i primi a rendere pubblica la sequenza del corpo di Aylin sulla spiaggia. Immagini strazianti. Il quotidiano britannico spiega di aver pubblicato le foto come monito contro la politica di David Cameron che ha sempre ribadito il ’No’ della Gran Bretagna ad accogliere altri migranti in arrivo dal Medio Oriente e dal Nordafrica. Oggi Cameron si è detto "profondamente commosso" dalla morte di Aylin e si è impegnato ad assumere le sue responsabilità morali". Cameron si è definito "un padre profondamente scosso" di fronte alla foto del bambino. "I Paesi europei che hanno trasformato il mar Mediterraneo, la culla di una delle civiltà più antiche del mondo, in una tomba, hanno una parte di colpa della morte di ogni singolo rifugiato", ha dichiarato il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan.

In un dialogo tra un bimbo siriano e un poliziotto ungherese intercettato dallla tv Al Jazeera, spiccano con forza queste parole: "Stop the war", ’fermate la guerra’. Questo commento accompagnato da uno sguardo sicuro ma rassegnato, sta facendo il giro dei social. Il bimbo, Kinan Masalmeh, è bloccato come molti altri alla stazione di Budapest, Ungheria. Dal caos delle proteste si alza la sua voce: "La polizia non ama i siriani in Serbia, in Macedonia, in Ungheria o in Grecia. Fermate la guerra e non verremo in Europa". La Siria ha bisogno di aiuto". Così si rivolge ad un poliziotto ungherese davanti ai microfoni di AL Jazeera. Vi proponiamo il video integrale.

Stipati all’inverosimile dentro un treno che dovrebbe portarli in Germania, i migranti della stazione di Keleti vivono nuove ore d’angoscia. Le condizioni sono al limite e basta una scintilla per scatenare rabbia e frustrazione.
di Francesco Gilioli ed Elena Peracchi

Fa discutere l’immagine postata su Twitter dal giornalista Andrew Stroehlein, direttore del centro media europeo di Humans Right Watch: i poliziotti della Repubblica Ceca hanno fermato nel sud della Moravia 200 profughi che, provenienti dall’Austria e dall’Ungheria, cercavano di raggiungere in treno la Germania. Gli agenti hanno scritto con pennarelli indelebili sulle braccia di profughi, bambini compresi, i numeri di identificazione. Un’immagine che ricorda tristemente la "marchiatura" degli ebrei deportati dai nazisti nei campi di concentramento, durante la Seconda guerra mondiale

CREDE DI RICONOSCERE UNO SCAFISTA
Si è fermata di colpo, ha lasciato per un attimo il passeggino che stava spingendo e ha cominciato a urlare nella sua lingua, puntando il dito contro un uomo. "È lui! Lo riconosco. È lo scafista che comandava la barca su cui sono arrivata in Italia! Mi ha minacciata di gettare in acqua mio figlio". Le grida della donna hanno acceso la rabbia delle decine di profughi radunati all’angolo fra via Lecco e via Palazzi, nel cuore del quartiere africano di Milano. L’uomo accusato di essere uno scafista è stato subito circondato da decine di persone. Una piccola folla, che in pochi secondi di delirio ha emesso il suo verdetto nei confronti dell’accusato: linciaggio.

"All’inzio nel gruppo c’erano eritrei e somali, poi si sono aggiunti sudanesi e altri africani di cui non saprei nemmeno dire la nazionalità - racconta un ragazzo eritreo che vive da anni a Milano e che ha assistito da vicino alla scena, appoggiato alla vetrina del ristorante Addis Abeba - ognuno gridava nella sua lingua, molti volevano linciarlo, qualcuno per fortuna si è opposto". Nel delirio, sono stati in molti a riconoscere nell’uomo lo scafista che a caro prezzo e a rischio della vita li aveva condotti in italia dalle coste libiche. "Ha portato anche me!". "Anche io ero sulla sua barca, mi ha minacciato ". "Voleva gettarmi in mare". Versioni che non hanno retto, però, alla verifica dei poliziotti arrivati sul posto.

Sentiti dagli agenti del commissariato Città Studi, guidato dalla dirigente Anna Laruccia, i molti che accusavano l’uomo sono in realtà risultati essere arrivati in Italia in momenti diversi e da diverse spiagge di partenza. Alcuni, nel gruppo degli accusatori, vivono a Milano da anni. "Nel delirio - racconta un agente - chiunque sosteneva di essere stato vittima del presunto scafista".

L’aggressione all’uomo, colpito da calci e pugni, è scattata alle 14.30 di martedì scorso. A evitare il linciaggio sono state prima le pattuglie inviate dal commissariato, poi quelle della squadra mobile, chiamate in supporto ai colleghi. Sul caso è aperto un fascicolo d’indagine. Quello che la polizia sta cercando di accertare, in collaborazione con gli investigatori di altri Paesi, è se davvero l’uomo sia in qualche modo coinvolto nel traffico di esseri umani fra le coste libiche e l’Italia. L’intervento della polizia, che ha lasciato l’incrocio fra via Palazzi e via Lecco solo dopo le 18, non ha portato ad arresti o fermi. Ma ci sarebbero delle denunce.
Da mesi i residenti delle vie intorno a Porta Venezia denunciano una situazione fuori controllo nel gruppo di profughi che passa le giornate fra le strade e il piccolo tratto di prato che costeggia viale Vittorio Veneto. "Non di rado fra gli uomini che bivaccano sotto le nostre case scoppiano risse. E spesso la molla è proprio la caccia allo scafista, vero o presunto", dice una residente di via Tadino, che assieme ai vicini di casa ha raccolto oltre mille firme, consegnate poi al prefetto, per chiedere "interventi incisivi per porre rimedio a una situazione inaccettabile ".

FRANCESCHINI SU REPUBBLICA
Una foto può cambiare la politica dell’Europa sulla tragedia dei migranti? Forse sì. Mentre l’ondata dei disperati del mondo povero si riversa sulle rive di quello ricco, dalle coste del Mediterraneo alla stazione ferroviaria di Budapest fino al tunnel sotto la Manica invaso di clandestini che danno l’assalto ai treni a Calais, l’immagine di un bambino siriano affogato su una spiaggia della Turchia sciocca i media, l’opinione pubblica e i suoi leader.
Di immagini atroci, certo, questa storia ne ha già prodotte altre, tante da suscitare un senso di deja vu e produrre, se non indifferenza, apatia. Ma i fotogrammi che mostrano un bambino di circa due anni sulla sabbia di Bodrum, poi fra le braccia di un poliziotto che raccoglie il suo corpicino inerte, producono una scossa.
«Quando è troppo è troppo », scrive sul suo sito il quotidiano “Independent” di Londra, decidendo di pubblicare il servizio fotografico, anche se agghiacciante, nella speranza di smuovere il governo britannico, finora preoccupato di chiudere le porte all’immigrazione, quella clandestina e perfino quella legale, come ha dimostrato l’altro giorno la sparata del ministro degli Interni Theresa May («Solo gli europei con un’offerta di lavoro dovrebbero potere entrare nel Regno Unito»), più che di aprirle ai nuovi miserabili della terra.
L’appello dei giornali che pubblicano la foto rimbalza come un tam-tam da un paese all’altro e si rivolge dunque a tutti i politici, non solo a quelli di Londra: è sul sito del “Guardian” e del “Mail” (giornale di destra e tenacemente anti-immigrati: eppure stavolta ha cambiato posizione) in Inghilterra, del “Paìs” in Spagna, di vari quotidiani in Italia, Germania, Francia.
E qualcosa apparentemente si muove. Appena ieri mattina, commentando le ultime notizie dal fronte della migrazione, David Cameron diceva: «La soluzione non è accogliere più immigrati». Ma il leader Liberal democratico Tim Farron si augura: «Questo è un campanello di allarme, speriamo che dia la sveglia al premier». Parole analoghe arrivano da Yvette Cooper, una dei candidati alla leadership del partito laburista nelle primarie che si concludono fra pochi giorni: «Quando madri cercano di trarre in salvo i propri figli da barche che affondano, quando persone muoiono asfissiate in un camion di diabolici trafficanti, quando cadaveri di bambini si depongono sulle spiagge, il nostro paese deve fare qualcosa».
Un messaggio simile giunge da Jeremy Corbyn, il favorito nella contesa del Labour e il candidato su posizioni più di sinistra: «Nessuno può evitare di commuoversi per questa immagine orribile. La risposta del nostro governo alla crisi è stata finora completamente inadeguata, ma mi vergogno anche per i nostri vicini europei che accettano di accogliere solo poche centinaia di rifugiati siriani ».
È un coro unanime, quello che si ascolta nelle capitali europee. «Quella foto è la punta di un iceberg, l’immagine di un mondo impazzito», dice l’eurodeputata spagnola socialista Elena Valenciano a Bruxelles. «Immaginate che quel bambino sia vostro figlio”, esorta da Parigi Peter Bouckaert, portavoce di Human Rights Watch. E l’Independent domanda: «Se queste immagini non cambiano l’atteggiamento dell’Europa verso i rifugiati, cosa può farlo? ». Se non ora, quando?