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 2015  settembre 03 Giovedì calendario

IL GRANDE GIOCO DI MARCHIONNE SU GM

Come analista dovrei essere critico verso Sergio Marchionne, il suo modo di comunicare è spesso spiazzante, cambia continuamente temi e approccio. Eppure non ci riesco, mi è simpatico. Questa idea di spostare il grande gioco centro asiatico di ottocentesca memoria nel mondo ottuso e ignobile dei ceo e dei board dell’Occidente per me è affascinante. Come Donald Trump in politica, i cui messaggi, all’apparenza folli tanto sono surreali, contengono profonde verità, bucano non solo lo schermo repubblicano, ma ora anche quello democratico, così è per Marchionne. Si capisce che il prodotto auto non gli interessa, lui è concentrato sull’azienda, sulla crescita del suo valore di borsa, il resto è propedeutico all’obiettivo oppure è irrilevante. Tutti lo credono un manager, ma lui è altra cosa, molto di più, è un deal maker. La sua comunicazione è tarata per i gestori dei fondi, per gli analisti di borsa, per la politica, per i media. Questi lo amano al punto di dedicarsi al culto della sua personalità (una specie di outsourcing non richiesto), perché l’uomo ai lettori piace. È un genio della comunicazione.
Per uno studioso di comportamenti organizzativi del management, per di più investitore Fca come me, Marchionne è anche una benedizione. Solo un marziano del business come lui avrebbe potuto avere un’idea così geniale. Nel maggio 2014 presenta il piano strategico 2015-2018 che, se realizzato, connoterebbe la Fca al 2018 come uno dei big dell’auto mondiale: 7 milioni di pezzi (quindi ingresso pesante in Cina), presenza alla grande nel segmento Premium (400 mila Alfa Romeo all’anno!), leadership in Brasile, recupero in Europa. A ottobre 2014, con questo piano, quota Fca a Wall Street: l’accoglienza è entusiasta. Come analista e investitore mi rilasso; a pelle, da ex ceo, non credo per nulla alle sue assumption, di più, sono certo che neppure lui ci creda, ma non ho alcun elemento tecnico per dimostrarlo, allora mi limito a scriverlo in modo criptico, archivio il piano mettendolo a scadenzario per il 2018, mi appunto a futura memoria «???». Come investitore invece non mi preoccupo, tanto so che lui una soluzione la troverà. Nella primavera 2015 scopro che tenta ciò che nessuno aveva mai tentato prima: applicare la strategia disruptive innovation non verso gli Stati, ma contro la sua collega ceo Mary Barra e contro il board GM. Il Grande Gioco di Hopkirk è iniziato. Lui sapeva che il suo piano era irrealizzabile, con perfetta tempistica, anziché far pagare pegno a noi investitori Fca (grazie!), trasferisce il problema agli azionisti GM, incolpando ceo e board di non capire che la fusione è l’unica strategia praticabile. La fusione-stupro avverrà (carta contro carta?), si creerà il primo gruppo al mondo come volumi, saranno ottimizzati i centri ricerca, tagliate le capacità produttive in eccesso, insomma tutte le problematiche di prodotto-mercato, di sviluppo, di tecnologie, di capacità produttive, di distribuzione, verranno superate di colpo, attraverso una grande operazione di sinergie multiple. Questo è l’approccio che differenzia un deal maker da un manager. Una storia ben nota per chi è vissuto negli anni a cavallo dell’ultimo decennio del ’900; in alcuni casi il giochino, che sulla carta pare sempre perfetto, allora ha funzionato, nella maggioranza dei casi fu un flop.
Il mercato dell’auto mondiale sta mutando, ci avviciniamo alla saturazione di quello americano, la Cina rallenta, il Brasile indietreggia, l’Europa è sempre più marginale. Malgrado l’impegno della Commissione Industria del Senato (presieduta da Massimo Mucchetti), pare che il governo italiano, non avendo una politica industriale sul comparto (strategico) dell’automotive, si stia disinteressando alle modalità con le quali Fca potrebbe uscire dagli insediamenti produttivi italiani. Contento lui... Come studioso-investitore, mi metto in poltrona e seguo questa straordinaria rappresentazione teatrale, un mix di telenovela brasiliana, storytelling manageriale, soprattutto mi ricorda i canti dei maggi garfagnini della mia infanzia (le gesta dei paladini venivano mimate da contadini travestiti da attori). Secondo me il Grande Gioco sarà appannaggio di Sergio Marchionne, come deal maker non teme confronti. Certo, alcuni ci guadagneranno, altri la pagheranno cara, altri ancora verranno spazzati via. È la disruptive innovation, bellezza.
Riccardo Ruggeri, MilanoFinanza 3/9/2015