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 2015  settembre 03 Giovedì calendario

IL PREFETTISSIMO

Un duro, uno sbirro. Uno che usa le maniere forti e reagisce ai colpi, ma ha pure l’abilità del mancato politico. Nato all’ombra di un’intera generazione di giovani rampanti della sinistra dc, poi diventato poliziotto a tutto tondo, servitore dello Stato capace di dialogare col potere
(che per definizione è camaleontico). Uno che sa prendere in mano le situazioni e da burocrate in grisaglia sa trasformarsi all’occorrenza in questurino dalla battuta forte, mezzo toscanaccio mezzo abituato a trattare con la marmaglia e i cronisti di giudiziaria. Uno che non teme l’impopolarità, ma per questo parla alla gente. Un «opportunista» che sa cogliere al balzo le occasioni per esaltare le proprie virtù e non ci sta a dividere i demeriti con altri e allora dice pane al pane, vino al vino. Insomma, Franco Gabrielli. Il superprefetto che Matteo Renzi ha promosso sul campo «tutor» di Ignazio Marino sindaco sub di Roma, il 31 agosto ha presentato il suo biglietto da visita proclamando che, figurarsi, lui con Marino ha già parlato «tra un’immersione e l’altra», e poi ha sfidato i fotografi usando un gergo da commissario Montalbano: «Ancora foto? Questa faccia da c... è sempre la stessa».
Gabrielli è uno che ha fatto strada eseguendo gli ordini. «Trovamene un altro» era la frase che Guido Bertolaso, capo carismatico della Protezione civile e sponsor del suo vice ai tempi del terremoto dell’Aquila, sparava in faccia a chiunque muovesse obiezioni su quel nome. Si racconta che, quando Bertolaso tra le macerie aveva scoperto che il vecchio prefetto era andato in pensione, chiese al governo di nominarne uno seduta stante. Roberto Maroni, ministro dell’Interno, gli porse una rosa con quattro petali, tra i quali SuperGuido. Ovviamente Bertolaso scelse Gabrielli. Così mr. «Trovamene-un-altro» andò a occupare la posizione ideale per salire alla testa della Protezione civile. Si dice che Berlusconi non fosse d’accordo, infatti non lo nominò fino all’ultimo. Ma alla fine approvò (e non se n’è pentito).
Chi è Gabrielli? Toscano di Viareggio (Lucca), classe 1960, tre figli, laurea in legge, ai vent’anni tenta la politica nel movimento giovanile dc di Massa Carrara, al fianco del segretario dei giovani, Renzo Lusetti. Il suo giro? Da Enrico Letta a Dario Franceschini. Chiude la parentesi con il concorso in polizia. Ma i rapporti restano. Quando Letta junior approda da premier a Palazzo Chigi, riunisce i collaboratori e mette subito in chiaro: Gabrielli è uomo mio e diventerà capo della Polizia. Peccato che,
senza che Letta lo sapesse, un nuovo capo in pectore c’era già: Alessandro Pansa, l’ex prefetto di Napoli molto stimato dall’allora capo dello Stato, Giorgio Napolitano.
Giochi aperti, però, per il futuro. Gabrielli non ha mai nascosto di studiare da capo della Polizia. Capo degli sbirri. E da sbirro ha centrato i successi importanti. Le ossa se l’è fatte alla Squadra mobile di Genova e alla questura d’Imperia, poi a Firenze nella Digos ai tempi dell’attentato mafioso dei Georgofili. Nel 2003, a 43 anni, il colpo grosso: l’arresto, da capo della Digos di Roma, della brigatista Nadia Lioce. Sgominate le Nuove Br, trovati gli assassini di Massimo D’Antona, Marco Biagi ed Emanuele Petri, il poliziotto ucciso sul treno, lo Sbirro emerge come un investigatore coi fiocchi e strappa sul campo i galloni di questore. I meriti non sono solo suoi, ma dimostra per la prima volta un’altra abilità: mettere il cappello. Lo farà da capo della Protezione civile, col raddrizzamento e il recupero in porto della «Costa Concordia». I tecnici fanno il lavoro, lui ha il tempismo (e il coraggio) di metterci la faccia: alla fine è lui che, trionfante, aspetta il relitto sul molo di Genova.
È allora che Matteo Renzi lo adocchia come uno in grado di far fare bella figura al governo. Anche se Gabrielli ha una «tara» agli occhi di Matteo, quasi insuperabile: è uomo di Enrico Letta, il nemico. Era stato Letta nel 2006, sottosegretario alla presidenza del Consiglio con Prodi premier, a volerlo alla testa del Sisde, i servizi di sicurezza interni. Anche in quel caso, come dopo Bertolaso alla Protezione civile, Gabrielli succedeva a una star: il generale Mario Mori. Quando a Prodi poi subentrò nuovamente Berlusconi, lo Sbirro amato dalla sinistra dc e dal Professore non poteva esser considerato fidato negli ambienti del Cavaliere. E Letta senior provvide, con la fermezza sorridente e mai distruttiva che è la sua dote di natura, a «destituirlo». Gabrielli, da duro, soffrì in silenzio.
Più volte ha sfoderato una fermezza inaspettata. Si ricordano tanti episodi, dalle maniere forti usate col comitato di cittadini di Casale San Nicola, a Roma, che non volevano immigrati nel cortile di casa, alla promessa di dire «qualche no» alle manifestazioni a Roma («Meglio i sit in»), passando per i sassolini che si è tolto dopo che la Concordia è rientrata nel porto di Genova.
Alcune sue frasi rendono l’idea. A chi lo accusava d’esser «servo di due padroni» rispose: se è così «o sono un coglione o sono un corrotto. E per come sono fatto io, dovendo scegliere, preferisco di gran lunga la prima». O ancora, su quelli di Casale San Nicola: «Se si lascia che sia la gente a decidere, è finita». Tra le polemiche memorabili, quella con Gianni Alemanno sindaco quando la neve mise in ginocchio Roma. In quel caso si difese accusando: «Ci hanno tolto i mezzi, la Protezione civile è diventata inutile». Ma l’episodio meno ricordato, che meglio svela il suo cervello da Sbirro, è quello delle carriole. Ricordate il popolo degli aquilani spazientiti che nel marzo 2010 violarono la zona rossa con carriole sgangherate per raccogliere detriti e calcinacci? Lui, da prefetto, li denunciò, semplicemente. E rischiarono la galera.
Oggi, a chi lo chiama Superprefetto, ricorda che i supereroi non esistono: «Non ci sono Mandrake o Superpippo, solo un prefetto cui vengono chiesti gli straordinari; ma io non farò il notaio». Abilissimo anche nello schivare buche e schizzi di fango. Come per i funerali hollywoodiani dei Casamonica, o nella vicenda di Mafia Capitale per la fiducia che aveva accordato a Luca Odevaine, il gestore di centri profughi poi arrestato per corruzione.
Mister «Trovamene-un-altro» appartiene alla schiatta dei servitori dello Stato che, quando il ruolo li costringe a sporcarsi le mani, sanno come uscirne. A 55 anni, davanti a lui molta strada ancora da macinare. Il Giubileo. E il bivio dietro l’angolo: la politica o lo Stato. Sindaco di Roma dopo Marino o capo della Polizia? Tradirà mai, Gabrielli, la sua anima da sbirro?