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 2015  settembre 03 Giovedì calendario

«MI CANDIDO? BOH, MA NON CHIAMATEMI DEL DUBBIO»

Si candiderà a sindaco di Milano. Non si candiderà a sindaco di Milano. Per il centrodestra stiamo dicendo. Ma insomma, ancora non si sa. Non ha bisogno di presentazioni, Paolo Del Debbio. Chi ne avrebbe, stando sempre in televisione? Secondo voi. Quinta colonna. Dalla vostra parte. Buone letture alle spalle, un’antica passione per la politica, 13 anni in tivù fatti di successi crescenti, l’affare montato così. E questo è tutto. Quasi.
Su di lui, giudizi controversi: Del Debbio è un populista. O no, nemmeno, soltanto un furbastro. Come vi permettete? È un idealista. Idealista un ciuffolo: è un uomo di cultura che promuove l’incultura. Sciocchezze: un uomo di cultura che promuove la politica. L’antipolitica, vorrete dire. Scemenze: è riformista e realista. È un ambizioso, Del Debbio. Tradotto, starebbe a dire: nel Paese dove perfino l’ultimo degli imbecilli ambisce a qualche cosa, un Del Debbio che ambisse rappresenterebbe il peggio. A dire il vero, un po’ ambizioso lo sembrerebbe. Ma che vuol dire? Qualcuno ricorda forse un industriale lanciato ventre a terra per diventare operaio?
Alle corte: di Del Debbio si parla molto. Davanti alle quinte. Dietro alle quinte. Nacque intellettuale e raffinato. Non si scrive per caso un libro intitolato: Elogio dello Stato a pendolo. Stato e mercato nel XXI secolo. Ma è diventato, strada facendo, «il Michele Santoro del centrodestra». Maxima iniuria. È sempre lui. Non è più lui. Sembra questo. Sembra quello. Del Debbio ha venduto Del Debbio. Oppure no: quello di ieri è coerente con il Del Debbio di oggi. Non sarà che non è mai esistito quello di ieri? No,
no: è cambiato eccome, Del Debbio. Ha tradito il Del Debbio che era in lui. O non risulterà, proprio per questo, l’autentico Del Debbio? Uffa. Nell’intervista comunque, ci siamo dati del tu.
Del Debbio, chi sei?
Del Debbio.
Paolo?
Paolo.
Cinquantasettenne?
Sì.
Maschio?
Maschio.
E padre di due figlie.
Giusto.
E candidato sindaco di Milano per il centrodestra. No. Sì.
No.
Come, no?
No.
Allora che senso ha quest’intervista?
Dimmelo tu.
Sei il candidato nell’ombra che deve uscire al sole. Solo che io non esco. Il solito politicante.
Non farò il candidato sindaco. Punto.
Punto e basta?
E basta.
O punto e a capo?
Faccio il mio mestiere, mi piace e non lo cambio. Mai visto un candidato che non abbia detto così.
Che vuoi che ti dica, sarò il primo.
E il pranzo versiliano d’agosto al Twiga di Forte dei Marmi? C’è stato, l’ho detto e l’ho ridetto. Con Matteo Salvini, Daniela Santanché e Alessandro Sallusti.
Tutti e tre.
E avete parlato del clima.
No. Della candidatura a sindaco di Milano per il centrodestra, tra l’altro. Te l’hanno offerta. E ne sono stato lusingato.
Poi avete concordato che al momento avresti detto «no», per dire poi «sì» in un momento più opportuno. Balle. Ho ringraziato con un «no» che sempre «no» resterà.
Facciamo così, signor Del Debbio: non ti candidi, va bene. Ora ci dici tu stesso quali insulti possiamo rivolgerti domani se ti rimangi la parola. Benissimo: nessuno.
Questa poi.
Ripeto, nessuno. O vuoi togliermi il diritto di cambiare idea?
Ci mancherebbe.
Volevo pure vedere. Dato che in linea di principio soltanto i paracarri non cambiano idea. E io non mi sento un paracarro, neanche se ti confermo per l’ultima volta che candidato non sarò. Non mi piace fare politica. Ci vuole un gusto per il potere che io non ho.
Dal 1997 al 2001 fosti assessore nella giunta di Gabriele Albertini. Pare che allora ce l’avessi. Giusto. Ho sperimentato in prima persona che non ne avevo abbastanza. La televisione non è potere? Certo che sì. Di tipo diverso. Ma quello mi piace. Dare la voce al popolo. Esatto, al popolo che dico io. Non gli daresti tutta questa voce, forse, se a governare ci fosse il centrodestra, visto che in ogni stagione politica per il popolo piove e il governo è ladro. Errore blu. Sono partito nel 2012 sul caso Franco Fiorito-Batman. Non ci fu mai periodo ricco di «voce al popolo» di quello con Mani pulite.
Bella tragedia, no?
Convengo.
Non ci fu mai periodo più ricco di «voce al popolo» di quello in cui si ficcò il Paese tra le lenzuola di Berlusconi. Altra bella tragedia, vero? Verissimo. E con ciò? Come: con ciò? Esistono le posizioni ideologiche. Poi esistono le posizioni critiche. Ideologico è chi assume una postura da tiro al cinghiale: è lì per spararti, il suo compito è quello. Non è il mio. Il tuo qual è? Difendere il diritto di cittadinanza, e quindi di parola, per coloro cui viene negato. Faccio un’apologia del diritto che richiama più Henry James di Stalin. Non m’invischiare col latinorum. Ma quale latinorum. Io non sparo, apro i microfoni. Penso che i poveri e le piccole e piccolissime imprese non abbiano voce. E glie la do. Penso che i poveri e le piccole imprese siano il cuore del Paese. E dico il cuore. Allora lo metto in piazza. Faccio male? Dovrebbero tacere? Un momento. L’intellettuale orienta, mica fa il tecnico del suono. E tu orienti. Certo. Ma a decidere è il metodo. Che significa?
Che applico uno schema opposto a quello dei, chiamiamoli così, comunisti. Quelli partono dalla situazione internazionale e arrivano alla cellula di quartiere seguendo una strada prefissata, per una conclusione già stabilita. Io parto dalla piazzetta del quartiere e discuto apertamente ciò che ne esce. Esce anche roba brutta? Meglio. Sarà. Da alcuni titoli: «Grand Hotel Immigrati», «Immigrazione senza controllo, salute a rischio?», «La storia di Gianmichele, aggredito da una banda dell’est», parrebbe che le tesi precostituite estranee non ti siano. Sembreresti piuttosto salvinista. Che palle. Nello stesso anno mi hanno dato del berlusconiano, del grillino e del renziano. Decidetevi. Quanto a me, dico una cosa, anzi due. Primo: la gestione dei flussi migratori è di totale irragionevolezza, è capitato perfino che siano stati destinati 140 immigrati a un paesino di 100 abitanti. Secondo: fare conto che si disponga da domani di un coordinamento europeo per ottenere il quale ci vorranno dieci anni, è da avventuristi assoluti. Si lamentano di Matteo Salvini? Facciano. Sai quante ne vedranno... Ti piace sentirti dare del Michele Santoro di destra? Gran professionista. Non mi dispiace. Il sindaco di Milano, Giuliano Pisapia? Mi piacevano le sue battaglie garantiste e mi dispiace dir male di una persona per bene. Ma non ricordo una sola scelta strategica su Milano degna di nota. Letizia Moratti fece almeno l’Expo. Lui, niente. Matrimoni gay: vanno fatti? Sarebbe ora di concedere i diritti a ‘sta gente. Ma che aspettiamo? L’unico problema è l’adozione dei bambini. Alcuni studi dicono una cosa, altri un’altra. Io preferisco papà e mamma. Per il resto, forza, dai.
Riforma la Rai.
Legata alla politica, è irriformabile. Si può sperimentare sui contenuti, questo sì. Ma hai mai visto il padrone di un grande ristorante mangiare al cral aziendale?
Mentana, Gruber, Lerner. Ti affogherebbero. Vogliamo insultarli? Non rispondo. Ma mi stanno sulle palle i maestrini, questo lo posso dire. Quelli che insegnano agli altri. Tipo una Juve che suggerisse alla Fiorentina come giocare. Ridicolo. Io faccio una cosa.
È l’unica che si può fare? No. E falla tu, quella che pensi più importante. Senza alzarmi il ditino.
Come si fanno più bambini? Rendendo conveniente farli. Come per le imprese. Per il lavoro.
Hai paura d’invecchiare?
No, delle malattie.
Le tue figlie ti guardano in tivù?
A volte.
Che cosa dicono?
Dipende.
Che risposta del piffero.
Anche la domanda se la cavava.
Ti candiderai a sindaco?
No.
E fallo, dai.
Ma fallo tu.