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 2015  settembre 02 Mercoledì calendario

“HO FATTO UN TORO COSÌ BELLO CHE CI POTREI GIOCARE ANCH’IO”

[Intervista a Urbano Cairo] –
«Nel 2004 lancio Di Più e vendo 800 mila copie, l’anno dopo Di Più Tv che arriva a 600 mila. Ero reduce da due successi editoriali strepitosi, una bomba. Poi prendo il Toro e in una stagione centro la serie A. Mi sono detto “Urbano, non solo sei bravo nella pubblicità e con i giornali, ma anche nel calcio”. Capisce, mi sono sentito invincibile... E poi ho fatto tutti gli errori possibili».
Bisogna partire da qui, e non è un’esigenza solo cronologica, per raccontare Urbano Cairo e i suoi dieci anni da presidente del Toro. Li compie oggi e la ricorrenza non poteva cadere in un momento migliore: dopo due giornate in testa a punteggio pieno e quel sei a zero sulla Juve.
Poteva esserci miglior copione?
«In effetti no. C’è molto entusiasmo, è cresciuto durante la campagna acquisti dove ho tenuto quelli che Ventura mi ha chiesto di tenere e preso quelli che mi ha chiesto di prendere. E nei tempi prestabiliti».
Sei punti sulla Juve: che cosa dice il presidente del Toro?
«Che è una classifica sfiziosa. Che mi fa piacere aver vinto le prime due partite, ma che è meglio volare bassi».
Sei punti sulla Juve: che cosa dice il tifoso del Toro?
«Che è un godimento notevole».
Come ha fatto a non vendere anche Maksimovic?
«Avevamo deciso di cedere al massimo due pezzi pregiati. Ma nei tempi utili per rimpiazzarli con innesti di qualità. Il Manchester si è fatto avanti subito per Darmian, il Napoli no per Maksimovic. È arrivato a offrire 18 milioni più bonus, grazie ma era troppo tardi. Qualche anno fa l’avrei ceduto, ora non più».
Campagna acquisti rivoluzionaria: che cosa è cambiato?
«Meglio un giocatore in meno ma subito, mi ha sempre detto Ventura. Una logica che ho interiorizzato. E che è diventata una milestone, una pietra miliare».
In dieci anni ha acquistato 168 giocatori: ci sono Baselli e Cerci, ma anche Oguro e Gabionetta. Di quali scelte si pente?
(scorre la lista prima di rispondere e qualche nome gli sta per scappare, poi frena) «Ma no, non è bello gettare la croce addosso ai giocatori. Gli errori sono stati tutti miei. Uno compra Recoba - nel 2007 - i tifosi impazziscono, presentazione sotto la curva, tu che calci il pallone, una roba pirotecnica che ti esalta, ma poi scopri che non è quello il modo di fare calcio. (legge ancora). Abbiati, Barone: sì era campione del mondo, ma non poteva bastare... Fiore, bravo ma in fase calante. Coco... Di Michele... Ripeto, solo colpa mia. Poi, sa, ero convinto che le persone avessero un potere taumaturgico. Prenda Zaccheroni, resta un rimpianto, ma cosa poteva fare da solo, con una squadra che nemmeno aveva fatto lui?».
Quando ha invertito la rotta?
«Quando ho trovato le persone giuste. Prima Petrachi e poi Ventura. Ho fatto sei anni in un certo modo, dopo la promozione, tre stagioni in A: stavamo attaccati con le unghie ma senza un progetto. Nel 2008 ho speso 19 milioni e siamo retrocessi, lì ho capito che la strada era sbagliata. Ma in B è difficile programmare, conta solo la promozione».
Con Ventura che cos’è cambiato allora?
«Io avevo già parlato con Gasperini e mi aveva fatto un’ottima impressione. Fu Petrachi, che lo conosceva bene, a convincermi. In Ventura vedevo qualità inespresse, lo testimoniava la sua carriera. Ora ho un rapporto molto stretto con lui, quasi affettivo. A Milano abbiamo un nostro bar, lì abbiamo firmato il primo contratto e siamo pronti a firmare anche il prossimo, lì decidiamo tutte le campagne acquisti, è il nostro rifugio. Altri tecnici pur di venire al Toro si accontentavano, lui è sempre molto schietto nelle sue richieste».
Convinto di tutte le scelte?
«Sì. Anche di quelle non realizzate. Ho fatto un’offerta importante per Valdifiori, ma poi ho detto a Ventura che me l’aveva chiesto: “Ha 29 anni, non stiamo andando contro quello che ci siamo detti?”. Ormai sono come l’Accademia della Crusca, non ammetto deroghe alla linea».
Nel 2010 disse di voler vendere il Toro: è mai andato vicino a farlo?
«No. L’unica proposta me la fece Tesoro, ma capii che avrebbe fatto gli stessi errori miei. E allora tanto valeva restare presidente».
Per quanti anni lo sarà ancora?
«Nel 2005 dissi per 10. Ora non so, certo non passo la mano proprio adesso che mi diverto. A Torino mi hanno adorato ai tempi di Papa Urbano, poi sono arrivati a contestarmi soprattutto nell’anno con Lerda, nel 2011. Cairo vattene, Cairo merda, ricordo quelle scritte sui muri. Non è stato facile, ma come sempre non ho mollato. Ora non è più come nei primi anni, non cantano ancora “c’è solo un presidente”, ma insomma non si può volere tutto».
Quanto può crescere ancora il Toro?
«Ci siamo stabilizzati, possiamo pensare al resto. C’è la bistecca, è ora del contorno: settore giovanile e scouting, poi il potenziamento del marketing. E Toro Channel».
Su che tasto del telecomando?
«Piano, è ancora un progetto».
Il Filadelfia fa parte di questa crescita?
«Ho messo un milione...».
In un progetto iniziale di otto, è una goccia. Il «vecchio» Cairo, le nozze con i fichi secchi.
«Intanto l’ho messo. Potevo fare di più? Diciamo che in dieci anni ho avuto qualche altro impegno, ma almeno siamo stati da stimolo per le istituzioni. E se non nel 2016, presto avremo la nostra casa. Sarà qualcosa di magico».
Dieci anni di emozioni: scelga il podio.
«La prima promozione, il settimo posto nel 2014 e la stagione in Europa League».
Di questo Toro vorrebbe essere allenatore o calciatore?
«Vorrei stare in campo. Ventura fa giocare così bene la squadra che farei anche io una bella figura».
Paolo Brusorio, la Repubblica 2/9/2015