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 2015  settembre 01 Martedì calendario

PERISCOPIO

Expo, agosto è stato il mese dei francesi. Il casino è quando sarà quello dei portoghesi. Gianni Macheda.

Per il Giubileo il Vaticano vuole mille detenuti a San Pietro. Basterà invitare il Comune di Roma. Spinoza. il Fatto.

Brunetta ci ha dato dei fascisti perché abbiamo votato lo stessa legge che hanno votato anche i senatori di Forza Italia. Matteo Renzi. Corsera.

Massimo D’Alema difende i presunti successi del centrosinistra, ne dipinge i suoi governi come l’età dell’oro, rivendica di aver «combattuto Berlusconi» e addirittura sventola la bandiera dell’Ulivo, beh, viene quasi voglia di dar ragione a Renzi perché nessuno (a parte lui) ha combattuto più l’Ulivo di D’Alema. Marco Travaglio. il Fatto.

Mi colpisce molto l’assenza del sindaco Marino. Confesso che un sindaco che interviene con Skype sui problemi della sua città non l’avevo mai visto. Il fatto che non torni a Roma, se non fosse drammatico, sarebbe un film comico. Gigi Proietti, attore (Silvia Fumarola). la Repubblica.

A me piace parlare male dei colleghi del piccolo schermo, se non altro perché, in questo modo, non mi invitano più alle loro trasmissioni e mi risparmio così la seccatura di dovermi negare. Vittorio Feltri. il Giornale.

Carlo Freccero, direttore dei programmi della francese la Cinq (adesso è nel cda della Rai ndr) mi avvisa che è deciso, Silvio Berlusconi lancerà una versione italiana di Apostrophes (trasmissione di libri e di scrittori ndr) su uno dei suoi canali e mi domanda di voler fare un viaggio a Milano per parlarne con lui. Ho subito detto sì, ma a condizione di far coincidere la mia trasferta con una partita della coppa Europa del Milan A.c., club due volte di seguito campione d’Europa dopo che il ricchissimo e seducente e svelto Silvio ne era diventato il proprietario. L’incontro è stato fissato allo stadio San Siro. Ma, due giorni prima, tutto è stato annullato. In seguito, nessuna notizia. È subito ricaduta la febbre culturale di Berlusconi. Bernard Pivot, Le mètier de lire. Gallimard, 1990.

Armando Cossutta, in un’intervista al Corriere della Sera si dice disposto ad abbandonare il simbolo della falce e martello perché «il comunismo non c’è più». Insorge Marco Rizzo: «Non è rinunciando alla propria identità che si fanno passi in avanti verso l’unità delle forze progressiste e di sinistra». Cossutta, sostiene Rizzo, «avrebbe fatto meglio a tacere». E per chiudere la partita, col congresso straordinario del Pdci in Emilia-Romagna boccia Cossutta praticamente all’unanimità. Non c’è più religione. Il vecchio Armando, simbolo imperituro della tradizione, avrà pure sbagliato un’intervista, ma la gogna tardostalinista cui viene sottoposto è veramente orribile. Ma tant’è, in tempi di proporzionale, i simboli di partito sono merce preziosa. Figuriamoci per un partitino che esiste solo per lucrare sull’eredità del glorioso simbolo del Pci. Claudio Velardi, L’anno che doveva cambiare l’Italia. Mondadori. 2006.

Io amo Expo perché ogni giorno un paese diverso, si assiste a notevoli spettacoli di danza e di musica etnica. Perché ho visto un violino di marmo. Perché ho visto la Vucirria dal vivo. Perché ci sono tre concerti di Chopin al giorno. Perché l’Albero della vita è il più bello show Sound&Light sulla faccia della Terra: prodigio di tecnologia, fantasia e buon gusto che si mette in tasca Las Vegas! Lucio Peres. la Repubblica.

Se siete ancora fermi alla «festa» siete out. A Milano tutti parlano solo di «evento». Per organizzare il quale ci vogliono delle competenze. Ad esempio, un errore clamoroso è offrire formaggio grana e champagne: «Insieme creano un reazione chimica nello stomaco e alle otto di sera tutti hanno un alito terrificante». Maria Teresa Veneziani. Corsera.

Non si sa mai abbastanza quale energia profonda posseggono le donne. Lungi da noi proteggerci da esse, che sarebbe castrazione e codardia, noi invece dobbiamo misurarci e amare la natura di questa forza, che non può mancare di emergere, è in tutto il suo sviluppo. Forza nuova dopo millenni di ombra, forza intrepida, forza di pace e di vita, con la quale bisogna saper recitare e accordarsi (quando si è un uomo) e non pretendere di dominarla. Jean-Jacques Servan-Schriber, Passions. Fixot. 1991.

Bucarest non può tollerare di vivere nel timore di branchi di cani randagi. Milano e Venezia non devono accettare d’essere insudiciate dai piccioni. I padani non possono rassegnarsi all’invasione delle nutrie e i sardi devono impedire l’eccessiva diffusione dei cinghiali, che provocano danni e incidenti stradali. Quando l’amore per gli animali diventa idolatria, bisogna reagire. Altrimenti, presto, assisteremo a manifestazioni contro la derattizzazione e sommosse per fermare la disinfestazione. Poveri topi, povere zecche, povere zanzare! E poveri noi, a quel punto. Beppe Severgnini. Corsera.

Lettera del maggiore di complemento, Sillavengo, comandante del 31mo guastatori d’Africa, alla madre: «Oggi è giorno di ghibli. Tutta la polvere delle piste fabbricata da migliaia di carri e di autocarri che macinano la sabbia e la riducono in cipria sudicia, si è riunita in un solo nebbione uniforme e non ci si vede a dieci metri. Questo è anche giorno di insperata anche se incomodissima, tranquillità, e ne approfitto per scriverti qualche cosa di meglio che le solite cartoline telegrafiche...». Paolo Caccia Dominioni, Alamein 1933-1962. Longanesi.

Sulle strade polverose che dalla Slesia e dalla Sassonia, attraverso cittadine e villaggi devastati dalle guerre napoleoniche, entravano in Polonia, passavano lunghe processioni di carri e birocci carichi di uomini, di donne, di bambini e di masserizie. Erano veicoli molto curiosi, quali ben di rado si vedevano per le strade della Polonia. Non somigliavano alle lucenti carozze dei nobili polacchi, e nemmeno ai carri dei contadini, lunghi e stretti, dai fianchi ingraticciati, e nemmeno quelli dei carrettieri ebrei, tutti rabberciati e circondati di secchi e secchielli dondolanti. Non somigliavano nemmeno alle maestose diligenze postali del governo, tirate da quattro cavalli e accompagnate da trombettieri. Altrettanto strani erano i finimenti, una moltitudine di redini, di briglie, di cinghie, sconosciute all’uso polacco. Ma più strani di tutto, per quei campagnoli, erano i viaggiatori. Israel J. Singer, I fratelli Ashkenazi. Longanesi, 1970.

Chi considera il sesso un peccato, o non sa cos’è il peccato o non ha mai conosciuto il sesso. Roberto Gervaso. il Messaggero.

Paolo Siepi, ItaliaOggi 1/9/2015