Mauizio Porro, Corriere della Sera 1/9/2015, 1 settembre 2015
Se è vero, come diceva Proust in Contro Sainte-Beuve , che «i bei libri sono scritti in una sorta di lingua straniera», anche il cinema ha questo gran privilegio, la traduzione di emozioni, idee, sentimenti, sulle proprie misure, scovando il vocabolario giusto per translitterare senza errori ciò che sta nascosto nel profondo inconscio
Se è vero, come diceva Proust in Contro Sainte-Beuve , che «i bei libri sono scritti in una sorta di lingua straniera», anche il cinema ha questo gran privilegio, la traduzione di emozioni, idee, sentimenti, sulle proprie misure, scovando il vocabolario giusto per translitterare senza errori ciò che sta nascosto nel profondo inconscio. Marco Bellocchio è uno di quei registi, che hanno fornito nel corso del tempo cinematografico un proprio codice e L’ora di religione , 2002, forse il titolo più bello del fecondissimo secondo tempo della sua carriera, che egli stesso rimette sempre in discussione, ne fa prova, con quell’interesse sempre calamitato verso i grovigli di vipere familiari, secondo solo a Visconti. Sembra richiamarsi all’indimenticabile debutto dei Pugni in tasca , 50 anni fa. E c’è sempre una zia per casa, qui in combutta col Vaticano: la molesta e brava Piera degli Esposti, insieme a un prete, guida la campagna familiare per beatificare la madre di Ernesto Picciafuoco, pittore libero ed ateo (Sergio Castellitto) che oltre alla voragine infernale della memoria, ha il problema di una attrazione verso l’insegnante dell’ora di religione del figlio. La cifra d’autore è quella nota del grottesco e il protagonista inizia al computer con il bassorilievo della Gradiva, soggetto del saggio freudiano, su sfondo del Vittoriano: l’attore non aveva ancora interpretato la psycho serie Sky ma per fortuna Bellocchio aveva finito con il suo strizzacervelli Fagioli. Con qualche sospetto pirandelliano, in termini commediografi (vedi la scena col bravo Toni Bertorelli), il film mostra panorama di arroganze, pubbliche e private, fino all’urlo estremo del fratello. Castellitto è acuto, indifeso nell’iniettarci il sospetto che bisogna sempre ricominciare e non c’è rimozione sufficiente per togliersi le incrostazioni di un processo di famiglia. Sottotitolo, quasi ironico a questo punto, «Il sorriso di mia madre». © RIPRODUZIONE RISERVATA L’ora di religione di Marco Bellocchio, 2002 Rai5, ore 21.15 Pagina Corrente Pag. 47 1 Visualizza :