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 2015  agosto 31 Lunedì calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - IL GIACIMENTO DI GAS SCOPERTO IN EGITTO DALL’ENI


REPUBBLICA.IT
MILANO - Eni tratta in rialzo a Piazza Affari in avvio di settimana, sostenuta dalla notizia della scoperta di un maxi giacimento di gas in Egitto. I titoli del Cane a sei zampe chiudono in terreno positivo (+1,5%), in una giornata opaca per il Ftse Mib, che chiude in calo dello 0,2% in scia alla debolezza dei listni mondiali; alto il volume di scambi, con quasi 5 milioni di pezzi che hanno cambiato proprietario fin dai primi minuti della seduta (il titolo).
Domenica, l’Eni ha annunciato di aver scoperto un giacimento offshore di gas in Egitto, indicato come il più grande del mediterraneo. Stando a quanto riportato in una nota, il giacimento può avere un potenziale fino a 850 miliardi di metri cubi di gas in posto e rappresentare quindi una delle maggiori scoperte di gas a livello mondiale, situata in un permesso detenuto da eni al 100%. Gli acquisti premiano anche la partecipata Saipem (il titolo chiude a +2,45%), sulla quale Eni ha smentito le indiscrezioni stampa riguardo l’ipotesi di una scissione delle azioni detenute nel capitale di questa società. Quanto invece al titolo del Cane a sei zampe, l’amministratore delegato Claudio Descalzi ha anticipato che la scoperta impatterà "positivamente" sul dividendo dell’Eni e insieme ad altre "renderà la posizione dell’Eni in termini di flussi di cassa molto più robusta rispetto a prima".
"Ieri - scrive il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, su Facebook- Eni ha annunciato la più importante scoperta di gas della storia del Mediterraneo. Si tratta dell’ennesima iniziativa energetica in Africa di questo straordinario team di professionisti che guidano il Cane a sei zampe e che costituiscono un patrimonio per il nostro Paese. Esprimo loro la mia gratitudine e quella di tutti gli italiani. Ma la scoperta è molto importante non solo per motivi economici o di sostenibilità: è un fatto davvero significativo anche per il futuro dell’Egitto che è paese chiave nel delicato scacchiere mediterraneo". "Dunque orgoglio e responsabilità sono le parole chiave dopo questa scoperta. Adesso sempre più convinti di investire in Africa e creare in quei territori le occasioni di crescita. Investimenti, cooperazione internazionale, giustizia sociale: questi i punti di riferimento della nostra azione di politica estera in Africa".

CRONACA DI REPUBBLICA STAMATTINA

NAZIONALE - 31 agosto 2015
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MONDO
LA GIOR NA TA
Gas,pozzo record L’Eni scopre in Egitto un maxi giacimento
È la riserva più grande del Mediterraneo Garantirà risorse fino a 850 miliardi di metri cubi
MILANO.
Eni realizza la maggiore scoperta di idrocarburi del Mediterraneo, e la seconda della sua storia dopo quella del 2012 nel mar mozambicano. Sempre gas, ma stavolta il ritrovamento avviene nel cortile di casa dell’azienda: l’Egitto, dove Eni opera da sessant’anni. Un paese più che maturo dal punto di vista esplorativo; ma l’adozione di nuove tecnologie e la scelta di scavare un particolare tipo di rocce quella che sedimentano dai carbonati marini - ha permesso agli italiani di riuscire dove altri avevano fallito. Presto, tra il 2016 e il 2017 stimano gli addetti ai lavori, il gas rinvenuto poco al largo delle coste di Porto Said nel pozzo “Zohr 1X” farà la gioia del nuovo Egitto di Al-Sisi, garantendone le forniture per un ventennio; e darà fiato ai conti e al morale dell’Eni, messi alla prova dal crollo dei prezzi petroliferi, dimezzati in un anno e ai minimi da sei.
La scoperta è una colonna di metano alta 630 metri, per 100 chilometri quadrati e a 1,5 di profondità, con potenziali risorse fino a 850 miliardi di metri cubi di gas (5,5 miliardi di barili di olio equivalente). Ma le prime proiezioni potrebbero essere per difetto, anche perchè Zohr «presenta un potenziale a maggiore profondità, che sarà investigato in futuro», riporta una nota. «E’ un giorno davvero importante per la società e le persone di Eni - ha dichiarato l’ad Claudio Descalzi - . Il risultato conferma le nostre competenze e capacità di innovazione tecnologica con immediata applicazione operativa, e dimostra soprattutto lo spirito di forte collaborazione tra tutte le componenti aziendali ». Eni da pochi qualche anno si è specializzata in una strategia di ricerca sparagnina ma efficace: solo idrocarburi convenzionali, solo zone ben conosciute, solo progetti di facile sviluppo e rapida commercializzazione. Così negli ultimi 7 anni Eni ha scoperto 10 miliardi di barili di risorse, 300 milioni nel solo 2015. «L’esplorazione - ha aggiunto Descalzi - si conferma al centro della nostra strategia di crescita, e conferma la posizione di Eni al top dell’industria ».
La licenza esplorativa del giacimento Zohr fu firmata nel 2014, «a seguito di una gara internazionale competitiva». Eni ne detiene il 100%, e non è escluso che presto possa venderne una parte per far cassa e dividere le spese di sviluppo. Nel fine settimana Descalzi è stato al Cairo «per aggiornare il presidente egiziano, Abdel Fattah Al-Sisi, e per parlare della nuova scoperta con il primo ministro del paese, Ibrahim Mahlab, e il ministro delle risorse minerarie, Sherif Ismail». Anche il leader del governo italiano Matteo Renzi, che un anno fa contribuì alla nomina di Descalzi all’Eni, s’è felicitato: «Complimenti a Eni per lo straordinario risultato di un lavoro di ricerca, che si inserisce nell’ambito dei rapporti economico-strategici dell’Italia con l’Egitto e in generale con l’intero continente africano».
(a.gr.)
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EUGENIO OCCORSIO
ROMA . Sarà una concidenza, ma da quando i prezzi del petrolio e del gas sono crollati (-60% in un anno quelli del greggio e —40% quelli medi europei del gas), si sono intensificate le scoperte di giacimenti ricchi di entrambe le materie prime. Da un capo all’altro del pianeta si susseguono gli annunci di ingenti scoperte, sistematicamente accompagnate però da punti interrogativi circa l’economicità dell’estrazione in un momento di mercato come l’attuale, che secondo gli esperti durerà a lungo. Coincidenza nella coincidenza, quasi a voler sollevare governi e compagnie dall’imbarazzo in molti casi la situazione gepolitica delle aree in questione è così complessa che lo sfruttamento dovrà essere posticipato. Chissà, forse quando potrà finalmente partire il mercato si sarà risollevato. «Avrei qualche perplessità anche per la scoperta dell’Eni in Egitto, perché il regime di Al Sisi è uno dei meno democratici del mondo », commenta Moises Naim, economista del Carnegie Endowment di Washington. «Purtroppo non è una novità. La geologia non risponde all’ideologia e gran parte delle risorse energetiche del pianeta si trovano in aree dove la libertà è un concetto sconosciuto, da tanti Paesi africani fino, senza andare troppo lontani, alla Russia».
Proprio in Russia c’è uno dei giacimenti più ricchi fra quelli scoperti di recente, annunciato inizio anno dal consorzio fra l’americana Exxon e la russa Rosneft, nel Mare di Kara dell’Artico: nove miliardi di barili di petrolio e 338 miliardi di metri cubi di gas nella sola area di Universitetskaja, la prima perforata, «in grado di trasformare l’area in un centro di estrazione più importante del Golfo del Messico», hanno commentato entusiasti i dirigenti della Exxon. Senonché è intervenuta l’amministrazione Obama, dicendo che le perforazioni sono state effettuate dopo la scadenza del 10 ottobre 2014 concessa alle compagnie per ultimare i lavori in joint-venture con quelle russe. Dopodiché, per le sanzioni contro Mosca, doveva cessare qualsiasi attività comune. Ne è seguita una controversia legale fra tutte le parti interessate tuttora in corso, e il petrolio resta lì.
Anche nel Mediterraneo le tensioni non mancano. Il giacimento off-shore Leviathan, scoperto alla fine del 2014 nelle acque di fronte al Medio Oriente, fino a ieri il maggiore del “mare nostrum”, alimenta più discordie che speranze. Lo sfruttamento delle immani riserve — sotto il fondo marino giacciono 96 miliardi di metri cubi di gas e 850 milioni di barili di petrolio — è conteso da quattro Paesi: Israele, che in effetti ha sopportato i costi di esplorazione e ora ha fatto partire le licenze di estrazione, e Libano (schiacciato da un debito pubblico di 62,9 miliardi di dollari), poi Cipro e Siria, anche se il governo di Damasco è spiazzato dalla guerra civile. Sta di fatto che i lavori sono fermi.
In Tunisia invece è l’emergenza terrorismo a distogliere sforzi e risorse dalla valorizzazione del giacimento di El Faouar, nel governorato di Kebili, scoperto all’inizio di quest’estate, dotato di 430 milioni di barili nonché 400 metri cubi di gas. Ad operare è la compagnia olandese Mazarine Energy, in collaborazione con l’Etap, l’azienda petrolifera tunisina che si è imbarcata nella difficile operazione di trasformare il Paese in mini-potenza petrolifera e ha finora 37 licenze registrate di cui 15 per l’estrazione di gas.
Sono pochi i Paesi petroliferi non interessati da guerre, rivoluzioni o emergenze simili: dalla Norvegia al Canada (in possesso delle terze riserve mondiali dopo Arabia Saudita e Iran che però sono incastonate sotto i ghiacci artici e costosissime da estrarre) fino all’Australia, dove la Linc Energy, che detiene i diritti di esplorazione nel bacino di Arckaringa, nel sud del Paese, ha appena annunciato un giacimento da 103 milioni di barili di greggio.
In tutti i casi, l’economicità delle scoperte è compromessa dall’andamento del mercato. «I ritrovamenti sono frutto degli imponenti investimenti di ricerca avviati quando le quotazioni di petrolio e gas erano ben altre», spiega Leonardo Maugeri, docente di economia e geopolitica dell’energia ad Harvard. «Sono investimenti che hanno durata pluriennale, ma proprio le troppe esplorazioni hanno causato l’eccesso di offerta che si è aggiunto alla scarsa domanda europea». Per il gas in particolare, «ha pesato lo scorso inverno molto caldo nonché il balzo delle energie rinnovabili per produrre elettricità in Europa». C’è poi il fattore- shale: «Pur di mettere fuori mercato le produzioni americane, dove il costo di estrazione è maggiore, i sauditi e altri membri Opec dove estrarre il petrolio costa due dollari al barile (dieci volte di meno), non abbasseranno le quote di produzione ».

INTERVISTA A DESCALZI

NAZIONALE - 31 agosto 2015
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L’intervista.
L’ad del Cane a sei zampe: “Ci sarà anche la possibilità di export verso l’Italia, dall’impianto di Damietta via nave”
“L’indipendenza energetica al Cairo può dare stabilità a tutta la regione”
ANDREA GRECO
MILANO. Forse avrebbe preferito che la seconda scoperta nella storia dell’Eni non cadesse in un periodo di vacanze, l’ad Claudio Descalzi. «Sono tornato sabato notte dall’Egitto, stanco ma molto felice: questa scoperta è da brividi e trasforma lo scenario, per loro e anche per noi». Quando dice loro, intende l’Egitto del generale Al-Sisi. Ma dicendo “ noi” intende più l’Eni, che l’Italia.
L’Italia finalmente potrà allentare la sua dipendenza dal gas russo, che conta per quasi metà del fabbisogno?
«Di certo l’Egitto, in una fase in cui iniziava a importare gas da fornitori come Russia e Algeria (gli stessi dell’Italia, ndr ), con la messa in produzione del gas di Zohr diventerà autonomo e libererà gas aggiuntivo per le importazioni degli altri paesi».
Ma dei nuovi 850 miliardi di metri cubi egiziani neanche una goccia potrà arrivare da noi?
«Un quantitativo rilevante, ma sempre di complemento, potrebbe arrivare direttamente in Italia, via nave, tramite l’impianto di liquefazione di Damietta. Ultimamente quel nostro impianto egiziano non era in esercizio per mancanza di gas: ma con questa scoperta, che porterà l’Eni a raddoppiare la produzione egiziana (200mila barili di petrolio equivalente al giorno, ndr ) potremmo in futuro riempire l’impianto di Damietta e imbarcare il gas al rigassificatore di Panigaglia, o altrove ».
Quali sono invece le ricadute per l’Egitto, un bastione dell’Occidente in Africa?
«Con questa scoperta l’Egitto diventa un paese indipendente nell’energia. Per loro è fondamentale, e anche per l’Europa, perché dà più sicurezza e stabilità geopolitica a tutti, dato il ruolo che l’Egitto ha nella regione. Ho trovato il governo del Cairo galvanizzato al riguardo».
Per Eni quali saranno le conseguenze della scoperta egiziana?
«La scoperta conferma la validità della nostra strategia, di insistere nella ricerca in aree mature di paesi che conosciamo da decenni. Da un punto di vista geologico, abbiamo esplorato in un punto molto innovativo: nelle rocce sedimentarie carbonatiche del Miocene. Avevamo già esperienze in tipologie simili, in Venezuela e Kazakistan. E questa scelta, unita all’analisi dei dati con le nostre tecnologie proprietarie, ci ha permesso di trovare idrocarburi in una zona dove altri avevano fallito, scavando 10 pozzi senza trovare nulla. È un fatto che a noi dell’Eni dà i brividi, molta euforia e compattezza alla squadra».
Quanto tempo passerà prima di commercializzare il nuovo gas?
«Poco. Credo che in qualche mese potremo avere la licenza di sviluppo e produzione; l’anno prossimo faremo i primi pozzi, e tutte le condotte che servono per il trasporto. Mi aspetto insomma che i frutti si vedano entro la fine del piano strategico 2015-2018. Inoltre, sappiamo già che quel gas ha ottime proprietà: è metano, povero di condensati, di anidride carbonica e di zolfo. Potremo fare i pozzi rapidamente e con caratteristiche di produttività altissime: anche perché il giacimento si trova molto vicino al nostro centro trattamento gas di El Gamil, nella zona di Port Said dov’è sito anche l’impianto di Damietta».
Poiché l’Eni ha il 100% della licenza del giacimento Zohr, ne venderà una parte, com’è stato per il progetto del Mozambico?
«È una porta aperta, per dare valore e solidità al bilancio Eni. Ma non andrà necessariamente così: qui c’è da spendere molto meno che in Mozambico, e il nuovo gas andrà soprattutto al mercato domestico locale, con prezzi ben definiti e scollegati da quelli del petrolio, oggi ai minimi da sei anni».
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Cessione di una quota? È una porta aperta per dare valore e solidità al bilancio dell’Eni
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LUIGI GRASSIA SULLA STAMPA
L’Eni ha scoperto in Egitto il tesoro di Ali Babà: un enorme giacimento di metano nelle acque territoriali di quel Paese con 850 miliardi di metri cubi di gas, corrispondenti a circa dodici anni di consumo italiano, o a decenni di consumo egiziano. Considerando poi che in corso d’opera si scopre spesso che c’è il doppio o il triplo di quanto stimato all’inizio, l’Eni parla di «un evento di rilievo mondiale». E si tratta di un evento di valore doppio per l’azienda perché il gas è stato scoperto dove il permesso di esplorazione e sfruttamento è detenuto dalla società italiana al 100%, mentre di solito, per dividere il rischio, si collabora con uno o più soci. Stavolta l’Eni ha rischiato un po’ di più e adesso l’incasso è tutto suo.
Anche gli osservatori neutrali parlano di evento eccezionale: il «Wall Street Journal» scrive che si tratta della «più grande scoperta mai fatta nel Mediterraneo orientale». E il premier Matteo Renzi si è congratulato «per l’importante ritrovamento».
L’amministratore delegato dell’Eni, Claudio Descalzi, è volato di persona al Cairo per aggiornare il presidente egiziano Al-Sisi e il suo governo. Il numero uno del gruppo aveva annunciato a Londra, all’inizio dell’anno, la strategia di concentrare le ricerche di petrolio e di gas in zone limitrofe a quelle dove Eni ha già fatto scoperte (come l’Egitto), in modo da usare strutture presenti già in loco e abbassare i costi di esplorazione e di sviluppo a cifre compatibili con l’attuale periodo di prezzi bassi degli idrocarburi. Comunque i prezzi bassi non dureranno per sempre e quando ci sarà il rimbalzo il gruppo italiano avrà avuto tempo e modo i sviluppare questo e alcuni altri giacimenti di recente scoperta nel mondo.
La scoperta in acque egiziane è avvenuta in un punto esplorativo denominato Zohr, a 1450 metri di profondità d’acqua. Sommando l’acqua e il fondale, il pozzo Zohr è stato perforato a 4.131 metri di profondità complessiva. Le trivelle hanno incontrato uno strato di idrocarburi dello spessore di 630 metri. Ma non è finita qui: «La struttura di Zohr presenta anche un potenziale a maggiore profondità - dicono i tecnici dell’Eni - che sarà investigato in futuro attraverso un nuovo pozzo». E così gli 850 miliardi di metri cubi potrebbero diventare molti di più.
Al di là della scoperta in sé, è interessante valutare quali possano essere gli sviluppi di sistema. Già nei colloqui dell’altro giorno fra il premier israeliano Netanyahu si era ipotizzata la costruzione di una rete di gasdotti sottomarini che connettano la zona dei giacimenti di gas del Mediterraneo orientale non solo con i territori di Israele, Cipro ed Egitto ma anche con la Grecia e quindi (attraverso il gasdotto Tap, cioè Trans Adriatic Pipeline) con l’Italia e l’Europa tutta. Non si tratterebbe di costruire solo una linea che va da un punto a un altro punto ma di realizzare una rete flessibile, capace di gestire tutto il transito del gas euro-mediterraneo, indirizzandolo di volta in volta dove c’è più domanda, e facendo da compensazione anche a eventuali carenze dell’offerta in arrivo dalla Libia o dalla Russia.
In alternativa, un piano meno faraonico consisterebbe nel convogliare il gas del Mediterraneo orientale verso le strutture dell’Eni sulla costa egiziana, e qui liquefare il metano e poi trasportarlo su nave verso i rigassificatori italiani. In un caso o nell’altro, ci sarà da stendere moltissimi tubi sottomarini, attività in cui è leader la Saipem del gruppo Eni.

ALESSANDRO BARBERA
Come sempre capita quando di mezzo ci sono idrocarburi e affini, la scoperta del nuovo giacimento di gas in Egitto avrà riflessi geopolitici. Il sito si trova a cento chilometri da Port Said, e sarebbe il più grande mai scoperto nel Mediterraneo, più grande persino di quello finora conosciuto, Leviathan, nei mari di Israele. Vale due terzi delle riserve dell’Azerbaigian, uno dei più importanti esportatori asiatici di gas. Per il generale Al Sisi significa contare sempre di più nello scacchiere nordafricano, ed essere elemento di stabilizzazione dell’intera area. Il portavoce del ministero del Petrolio Hamdi Abdul Aziz si dice convinto che grazie a questa scoperta l’Egitto aumenterà le proprie riserve di un terzo e raggiungerà «entro cinque anni» l’indipendenza energetica. Forse ce ne vorrà qualcuno di più, certamente la scoperta contribuirà a rendere autonomo un Paese oggi governato da nemici conclamati dell’islamismo radicale. Per l’Occidente una novità di un certo rilievo.
Per l’Italia, in fieri, significherà ridurre la dipendenza da Russia, Algeria e Libia. Non è un caso se Renzi, che su Al-Sisi e l’Egitto conta moltissimo per aumentare l’export italiano, abbia immediatamente telefonato al generale egiziano e all’Eni per complimentarsi di una scoperta che rafforza «la partnership economico-strategica». Nel 2014 l’interscambio Italia-Egitto è stato pari a 5,180 miliardi di euro, e vale l’8 per cento dell’export egiziano. In poco più di un anno il viceministro al Commercio estero Carlo Calenda è volato al Cairo cinque volte.
La Russia oggi copre il 41 della domanda nazionale di gas, l’Algeria il 14, la Libia il 10. Non vi sono ancora certezze su quando il nuovo gas egiziano verrà venduto. L’Eni stima un paio d’anni, ma non c’è nessun tubo che ci collega all’Egitto (si useranno i terminali di liquefazione), né l’Eni può - lo vietano le regole antitrust - concedere prioritariamente i suoi prodotti all’Italia. Il gruppo del cane a sei zampe nel 2014 ha venduto 89 miliardi di metri cubi di gas, 34 dei quali in Italia, ed ha una quota di mercato del 52 per cento. In ogni caso un impatto ci sarà. Spiega Davide Tabarelli di Nomisma energia: «Se - per ipotesi - quella produzione fosse destinata tutta a noi varrebbe quanto quel che riceviamo dalla Russia». Di questi tempi però le maggiori preoccupazioni dell’intelligence italiana riguardano la Libia. Il Paese è fuori controllo, ha due governi - uno a est e uno a ovest - soffre della presenza dell’Isis ed è di fatto un teatro di guerra.
L’Eni, i cui utili l’anno scorso hanno sofferto le conseguenze della crisi e del calo del prezzo del petrolio, ora riparte da dove iniziò sessant’anni fa. Enrico Mattei sbarcò in Egitto nel 1954, modificando quella che allora era nota nelle aziende petrolifere come la formula «fifty-fifty», metà dei ricavi all’azienda, metà al Paese produttore. La prima scoperta, nel Sinai, è del 1955 e portò alla nascita di una società mista che riconobbe all’azienda italiana pari poteri decisionali nella produzione e sfruttamento delle risorse. Da allora il Cairo è sempre rimasto partner fondamentale: l’anno scorso Eni ha estratto il 28 per cento del petrolio e il 27 per cento del gas egiziano.
Twitter @alexbarbera

COME SI FA
Ma come si fa a trovare 630 metri di strati geologici pieni di gas, come è successo con il pozzo egiziano di Zohr, se sono ben nascosti sotto 1.450 metri di mare e 2.681 metri di fondale roccioso? Bisogna ricorrere a una procedura complessa, che richiede sofisticate competenze geologiche e tecnologiche.
Nella prima fase di esplorazione si fa una specie di ecografia del sottosuolo. Una nave appositamente attrezzata spara in acqua, in direzione del fondale, delle potenti onde sonore, con uno strumento definito in gergo «airgun» (cioè pistola ad aria). Non si usano bombe. Comunque quest’operazione è criticata dagli ambientalisti perché disturba gli animali marini.
Il suono attraversa l’acqua e anche le rocce, e qui provoca delle micro-vibrazioni. Le onde vengono riflesse in maniera differenziata a seconda della natura e della consistenza degli strati. Poi i sismografi a bordo della nave esploratrice registrano le informazioni. Questi dati vengono utilizzati non solo per la ricerca degli idrocarburi, ma anche per arricchire gli archivi degli istituti nazionali di geofisica. Poi con i computer si fa una specie di Tac a tre dimensioni del fondale marino. I cacciatori di petrolio e di metano ne traggono il primo indizio della presenza di accumuli di idrocarburi.
Ma fino a questo punto non c’è niente di sicuro. Là dove si crede di individuare qualcosa di promettente, si costruisce una piccola piattaforma, e si fa una trivellazione esplorativa. Si usano punte diverse a seconda della consistenza del suolo, e le si cambia a mano a mano che il lavoro procede. Queste punte vengono chiamate in gergo «scalpelli» e per quanto dure sono soggette a un’usura veloce; si sostituiscono al massimo ogni 100 metri di profondità. Le più tenere costano 5 mila euro l’una, le più dure anche 50 mila euro.
In questa fase le trivelle vengono protette dall’acqua, e poi isolate dalla roccia, con tubi di acciaio sempre più lunghi. Si aggiunge un tratto all’altro, e mentre si scava si riduce anche un po’ la sezione: da un diametro iniziale di 60 centimetri si può arrivare alla fine a una larghezza del tubo di soli 30 centimetri.
L’esplorazione dura mediamente sei mesi. Quando si trovano il petrolio o il gas, si torna a scavare con scalpelli più grandi, e si foderano i pozzi con cemento e acciai speciali.
Alla fine, gli idrocarburi spuntano fuori da soli, perché nel sottosuolo si trovano a forte pressione. Ma che fatica per arrivarci.
[lui. gra.]

il quarto maggior campo al mondo e il primo del Mediterraneo

l’impianto può arrivare a trasformare 8 milioni di metri cubi di gas ogni giorno.

«la conferma di una strategia che ci ha già portato ad altre importanti scoperte», per la precisione in Angola, Congo, Gabon, Ghana e Mozambico, ossia quella di «muoverci in Paesi che già conosciamo, sfruttando le sinergie con gli impianti che abbiamo, per tenere bassi i costi, e puntando su temi geologici di frontiera», che in parole povere significa cercare di estrarre gas o petrolio in luoghi e con modalità a cui altri non avevano ancora pensato.

Descalzi lo aveva annunciato fin da suo insediamento, poco più di un anno fa: meno enfasi sull’asse Est-Ovest (leggasi importazioni dalla Russia) e invece una scommessa su la direttrice Sud-Nord del mondo, con particolare attenzione proprio all’Africa. Così oggi l’Eni è la maggior compagnia energetica che opera nel continente e la sua concentrazione in quell’area le ha provocato anche le critiche di chi teme l’instabilità politica dovuta principalmente all’offensiva dell’Isis.

«Spero che non vedremo il petrolio arrivare a 40 dollari il barile, ma penso che rimarrà tra i 45 e i 65 dollari per almeno un paio d’anni».

CORSERA
Il pozzo Zohr 1X, attraverso il quale è stata effettuata la scoperta, si trova a 1.450 metri di profondità d’acqua, nel blocco Shorouk.

il Ceo dell’Eni Claudio Descalzi, che sabato era al Cairo dove ha incontrato il presidente Abdel Fattah Al Sisi

Negli ultimi sette anni abbiamo scoperto 10 miliardi di barili di risorse e 300 milioni negli ultimi sei mesi. Questa scoperta conferma così la posizione di Eni al top dell’industria e ci qualifica presso gli altri Paesi produttori come società capace di trovare risorse, ovunque ci siano opportunità». La scoperta ha anche un significato in termini di riserve acquisite (in Egitto si parla di risorse per 30-40 anni) e che hanno un costo ragionevole di produzione.

Lo sviluppo sarà fatto da Eni assieme alla società statale Petrobel, in una partnership al 50 per cento. Ci vorrà circa un mese per ottenere la licenza di produzione e a gennaio partiranno i primi pozzi di sviluppo, che in futuro produrranno. La produzione sarà avviata verosimilmente tra un paio d’anni. Il gas sarà venduto in primo luogo all’Egitto, che diventerà ancora più importante per l’Eni, qui presente dal 1954 e storicamente precursore nell’esplorazione e sfruttamento delle gas nel Paese fin dalla scoperta del Campo di Abu Maadi nel 1967. Ma non è escluso che una parte di gas possa arrivare in Europa attraverso il liquefattore di Damietta, città che si affaccia sul Mediterraneo sul Delta del Nilo, a circa 200 chilometri a nord del Cairo.

Con la sua popolazione di oltre 90 milioni di abitanti e i suoi territori estesi, l’Egitto è oggi un colosso che non conviene traballi o cada in mani anti-occidentali. Si trova tra la Libia (con la quale ha 1.115 chilometri di frontiera) percorsa da una guerra per bande e Israele (208 chilometri) che vede la propria sicurezza potenzialmente insidiata da un autoproclamato Califfato in grado di controllare parti di Siria e Iraq.
Se dal gas scoperto dall’Eni l’Egitto riceverà presto una quota dell’energia della quale ha bisogno per far fronte a un incremento demografico che accresce la domanda di elettricità e acqua, questo potrà essere un contributo alla sua stabilità.
Attualmente ciò significa un aiuto al presidente Abdul Fattah al Sisi, uomo di formazione militare, tutt’altro che tenero, ferreo e non certo liberale nella sua cruda repressione dei Fratelli musulmani. Il presidente del Consiglio Matteo Renzi il 2 agosto 2014 fu il primo capo di governo dell’Unione europea a incontrarlo dopo l’insediamento .
Al Sisi ha ricambiato nel novembre scorso scegliendo Roma come sua prima tappa di viaggio in Europa. Dopo la scoperta del giacimento, il raìs ha ricevuto l’amministratore delegato dell’Eni Claudio Descalzi. Alcuni sensori dell’Italia insomma hanno imboccato una strada. Il grosso della classe dirigente del Paese deve decidere se nel Mediterraneo ha da dire qualcosa al di là di tante autocommiserazioni sull’immigrazione e dei desideri di un fantastico mondo purtroppo irreale.